Ab urbe condita, Libro 4, Par. 5 - Studentville

Ab urbe condita, Libro 4, Par. 5

“Denique utrum tandem populi Romani an vestrum summum imperium est?

Regibus exactis utrum vobis dominatio an omnibus aequa libertas parta est? Oportet licere populo Romano, si velit, iubere

legem, an ut quaeque rogatio promulgata erit vos dilectum pro poena decernetis, et simul ego tribunus vocare tribus in

suffragium coepero, tu statim consul sacramento iuniores adiges et in castra educes, et minaberis plebi, minaberis tribuno?

Quid si non quantum istae minae adversus plebis consensum valerent bis iam experti essetis? Scilicet quia nobis consultum

volebatis, certamine abstinuistis; an ideo non est dimicatum, quod quae pars firmior eadem modestior fuit? Nec nunc erit

certamen, Quirites; animos vestros illi temptabunt semper, vires non experientur. Itaque ad bella ista, seu falsa seu vera

sunt, consules, parata vobis plebes est, si conubiis redditis unam hanc civitatem tandem facitis, si coalescere, si iungi

miscerique vobis privatis necessitudinibus possunt, si spes, si aditus ad honores viris strenuis et fortibus datur, si in

consortio, si in societate rei publicae esse, si, quod aequae libertatis est, in vicem annuis magistratibus parere atque

imperitare licet. Si haec impediet aliquis, ferte sermonibus et multiplicate fama bella; nemo est nomen daturus, nemo arma

capturus, nemo dimicaturus pro superbis dominis, cum quibus nec in re publica honorum nec in privata conubii societas est

“.

Versione tradotta

" Ma infine il supremo potere appartiene al popolo romano o

a voi? La cacciata dei re ha fruttato la tirannide a voi o un'uguale libertà a tutti? Al popolo romano, se questo è il suo

desiderio, deve essere consentito di votare una legge, oppure, ogni qualvolta verrà presentata una nuova proposta, voi per

reazione indirete una leva militare? E non appena io, in qualità di tribuno, chiamerò le tribù al voto, tu súbito, in qualità

di console, costringerai i più giovani a prestare il giuramento militare e li porterai al campo, distribuendo minacce alla

plebe e ai suoi tribuni? Che cosa succederebbe se non aveste già sperimentato per ben due volte quanto poco valgano queste

minacce di fronte al consenso unanime della plebe? È - vero che avete evitato di scontrarvi per venire incontro alle nostre

esigenze, oppure non si è combattuto perché la parte più forte era anche la più moderata? Non ci sarà scontro neppure adesso, o

Quiriti: i patrizi continueranno sempre a saggiare il vostro coraggio, ma non arriveranno mai a mettere alla prova la vostra

forza. Perciò, o consoli, la plebe è pronta ad affrontare queste guerre - vere o false che siano -, solo se voi, ripristinato

il diritto al matrimonio, finalmente riunirete questa città; se i plebei potranno fondersi, unirsi e mescolarsi con voi in base

a legami privati di parentela; se ad uomini valorosi e forti sarà data la speranza di accedere alle cariche pubbliche; se sarà

consentito a tutti di partecipare alla gestione della cosa pubblica; se, uguali nella libertà, si avrà l'opportunità di

governare e di obbedire a turno, secondo l'avvicendamento annuale delle magistrature. Se qualcuno dovesse respingere queste

condizioni, voi consoli potrete parlare di guerre e moltiplicarle coi vostri discorsi: nessuno di noi andrà a iscriversi,

nessuno imbraccerà le armi, nessuno combatterà per dei padroni arroganti, coi quali non ha nulla in comune: né riconoscimenti

nella vita pubblica, né matrimoni in quella privata ".

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