Cum in contionem et consules processissent et res a perpetuis orationibus in altercationem vertisset, interroganti tribuno cur
plebeium consulem fieri non oporteret, ut fortasse vere, sic parum utiliter in praesens Curtius respondit, quod nemo plebeius
auspicia haberet, ideoque decemuiros conubium diremisse ne incerta prole auspicia turbarentur. Plebes ad id maxime indignatione
exarsit, quod auspicari, tamquam inuisi dis immortalibus, negarentur posse; nec ante finis contentionum fuit, cum et tribunum
acerrimum auctorem plebes nacta esset et ipsa cum eo pertinacia certaret, quam victi tandem patres ut de conubio ferretur
concessere, ita maxime rati contentionem de plebeiis consulibus tribunos aut totam deposituros aut post bellum dilaturos esse,
contentamque interim conubio plebem paratam dilectui fore. Cum Canuleius victoria de patribus et plebis favore ingens esset,
accensi alii tribuni ad certamen pro rogatione sua summa vi pugnant et crescente in dies fama belli dilectum impediunt.
Consules, cum per senatum intercedentibus tribunis nihil agi posset, concilia principum domi habebant. Apparebat aut hostibus
aut civibus de victoria concedendum esse. Soli ex consularibus valerius atque Horatius non intererant consiliis. C. Claudi
sententia consules armabat in tribunos, Quinctiorum Cincinnatique et Capitolini sententiae abhorrebant a caede violandisque
quos foedere icto cum plebe sacrosanctos accepissent. Per haec consilia eo deducta est res, ut tribunos militum consulari
potestate promisce ex patribus ac plebe creari sinerent, de consulibus creandis nihil mutaretur; eoque contenti tribuni,
contenta plebs fuit. Comitia tribunis consulari potestate tribus creandis indicuntur. Quibus indictis, extemplo quicumque
aliquid seditiose dixerat aut fecerat unquam, maxime tribunicii, et prensare homines et concursare toto foro candidati coepere,
ut patricios desperatio primo inritata plebe apiscendi honoris, deinde indignatio, si cum his gerendus esset honos, deterreret.
Postremo coacti tamen a primoribus petiere, ne cessisse possessione rei publicae viderentur. Euentus eorum comitiorum docuit
alios animos in contentione libertatis dignitatisque, alios secundum deposita certamina incorrupto iudicio esse; tribunos enim
omnes patricios creavit populus, contentus eo quod ratio habita plebeiorum esset. Hanc modestiam aequitatemque et altitudinem
animi ubi nunc in uno inueneris, quae tum populi universi fuit?
Versione tradotta
Anche i consoli si erano presentati a
parlare in assemblea e qui, dopo interminabili interventi, il dibattito si trasformò in un alterco. Al tribuno che chiedeva
perché mai un plebeo non dovesse diventare console, Curiazio - forse giustamente, ma poco opportunamente date le circostanze -,
rispose che nessun plebeo aveva il diritto di prendere gli auspici e che per questo i decemviri avevano vietato i matrimoni
misti, perché gli auspici non fossero turbati in caso di discendenza incerta. Di fronte a queste parole, presa da grande
indignazione, la plebe s'infiammò, perché le si negava la possibilità di trarre gli auspici, come se fosse in odio agli dèi
immortali. Siccome la plebe, che aveva trovato nel tribuno un difensore accanito della causa comune, gareggiava con lui in
ostinazione, lo scontro si concluse solo quando i patrizi cedettero, accettando finalmente una proposta di legge sul diritto di
matrimonio; essi erano pienamente convinti che in tal modo i tribuni avrebbero abbandonato definitivamente la questione dei
consoli plebei o almeno l'avrebbero rimandata alla fine della guerra, e che la plebe, soddisfatta per il diritto di
matrimonio, sarebbe stata disposta ad arruolarsi. Essendo cresciuto molto il prestigio di Canuleio per la vittoria sui patrizi
e per il favore della plebe, gli altri tribuni, incoraggiati alla lotta, si impegnano con tutte le forze per far passare la
loro proposta e impediscono la leva, benché ogni giorno di più prendano consistenza le voci di guerra. I consoli, non potendo
per il veto dei tribuni far prendere deliberazioni al senato, tenevano riunioni private con i membri più autorevoli. Era chiaro
che sarebbe stato inevitabile lasciare la vittoria o ai nemici o ai concittadini. Tra gli ex-consoli soltanto Valerio e Orazio
non prendevano parte a quelle riunioni. Gaio Claudio parlava di armare i consoli contro i tribuni, mentre i due Quinzi,
Cincinnato e Capitolino, erano assolutamente contrari a uccidere e usare violenza contro coloro che, in virtù del patto
stipulato con la plebe, avevano dichiarato sacri e inviolabili. A séguito di queste riunioni si arrivò ad accordare
l'elezione di tribuni militari con potere consolare, da scegliersi indifferentemente tra patrizi e plebei, mentre nulla
doveva essere mutato per quanto riguardava l'elezione dei consoli. Di questo furono contenti i tribuni e la plebe. Vengono
quindi indetti i comizi per l'elezione di tre tribuni con potere consolare. Non appena ne fu annunciata la data, tutti
quelli che avevano detto o fatto qualcosa di sedizioso (e soprattutto gli ex-tribuni), cominciarono a sollecitare la gente e,
vestiti col bianco dei candidati, andarono in giro per tutto il foro a caccia di voti. E lo fecero per scoraggiare i patrizi
che, in primo luogo non avevano alcuna speranza di raggiungere quella carica per via dell'irritazione della plebe, e poi
erano indignati all'idea di dover dividere la magistratura con loro. Ma alla fine furono costretti dai loro membri più
autorevoli a scendere in gara per non dar l'impressione di aver rinunciato al controllo della cosa pubblica. L'esito
delle elezioni dimostrò come sia diverso il comportamento degli uomini quando lottano per la libertà e l'onore rispetto a
quando giudicano a mente fredda gli eventi, una volta deposte le contese. Il popolo infatti elesse tre tribuni, tutti patrizi,
bastandogli che l'opinione dei plebei fosse stata presa in considerazione. Ma oggi dove si potrebbe trovare in un solo
individuo quel senso di equità, quella moderazione e quella nobiltà d'animo che allora erano nell'intera popolazione?
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