Il discorso di Didone è uno dei momenti più intensi e drammatici dell’Eneide di Virgilio. La regina di Cartagine, Didone, è una figura tragica e affascinante, il cui destino è segnato dalla passione e dal dolore. Dopo essere stata ingannata dagli dèi e aver accolto Enea e i suoi compagni nella sua città, Didone si innamora profondamente dell’eroe troiano. Tuttavia, il fato e la volontà divina costringono Enea a lasciare Cartagine per continuare il suo viaggio verso l’Italia.
Nel suo discorso, Didone esprime con veemenza e disperazione i suoi sentimenti di amore tradito, di rabbia e di dolore. Rivolgendosi ad Enea e ai suoi sudditi, la regina denuncia l’ingiustizia subita e il tradimento dell’uomo che amava. Le sue parole sono cariche di passione e di un senso di inevitabile tragedia, riflettendo la complessità delle sue emozioni e la profondità della sua sofferenza.
Il discorso di Didone non è solo un momento cruciale nella narrazione epica di Virgilio, ma anche una riflessione potente sulla natura dell’amore, del destino e della vulnerabilità umana. Attraverso le parole di Didone, Virgilio esplora temi universali che continuano a risuonare con forza anche nel mondo moderno, rendendo il personaggio della regina di Cartagine una delle figure più memorabili e commoventi della letteratura classica.
Versione Tradotta dell’Eneide: Testo originale, versi 296-330 Libro 4 – il discorso di Didone
At regina dolos quis fallere possit amantem?
praesensit, motusque excepit prima futuros
omnia tuta timens. eadem impia Fama furenti
detulit armari classem cursumque parari.
saevit inops animi totamque
incensa per urbem
bacchatur, qualis commotis excita sacris
Thyias, ubi audito stimulant trieterica Baccho
orgia
nocturnusque vocat clamore Cithaeron.
tandem his Aenean compellat vocibus ultro:
‘dissimulare etiam sperasti,
perfide, tantum
posse nefas tacitusque mea decedere terra?
nec te noster amor nec te data dextera quondam
nec
moritura tenet crudeli funere Dido?
quin etiam hiberno moliri sidere classem
et mediis properas Aquilonibus ire per
altum,
crudelis? quid, si non arva aliena domosque
ignotas peteres, et Troia antiqua maneret,
Troia per undosum
peteretur classibus aequor?
mene fugis? per ego has lacrimas dextramque tuam te
quando aliud mihi iam miserae nihil
ipsa reliqui,
per conubia nostra, per inceptos hymenaeos,
si bene quid de te merui, fuit aut tibi quicquam
dulce
meum, miserere domus labentis et istam,
oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem.
te propter Libycae gentes
Nomadumque tyranni
odere, infensi Tyrii; te propter eundem
exstinctus pudor et, qua sola sidera adibam,
fama prior.
cui me moribundam deseris hospes
hoc solum nomen quoniam de coniuge restat?
quid moror? an mea Pygmalion dum moenia
frater
destruat aut captam ducat Gaetulus Iarbas?
saltem si qua mihi de te suscepta fuisset
ante fugam suboles, si
quis mihi parvulus aula
luderet Aeneas, qui te tamen ore referret,
non equidem omnino capta ac deserta
viderer.’
Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, versi 296-330 Libro 4 – il discorso di Didone
Ma la regina (chi potrebbe ingannare un amante?)
presentì, per prima colse i movimenti
futuri
temendo ogni sicurezza. La stessa empia Fama riferì
a lei impazzita, che si allestiva la flotta e si preparava la
rotta.
Impazza annichilita nel cuore e furiosa per la città
smania come baccante, come Tiade scossa, iniziati i
riti,
quando udito Bacco, le orge triennali la stimolano
ed il notturno Citerone la chiama col frastuono.
Infine
spontaneamente affronta Enea con queste frasi:
“Sperasti pure poter dissimulare, perfido, sì gran
sacrilegio e zitto
allontanarti dalla mia terra?
Né ti trattiene il nostro amore né la destra data un giorno
né una Didone desinata amore di
morte crudele?
Anzi anche con stella invernale allestisci la flotta
e ti affrettiamo ad andare al largo in mezzo agli
Aquiloni,
crudele? Che? Se non cercassi campi stranieri e
case ignote e restasse l’antica Troia, Troia
sarebbe
cercata con flotte per il mare ondoso?
Forse fuggi me? Io per queste lacrime e la tua destra te,
poiché io
stessa non lasciai null’altro a me misera,
per i nostri vincoli, per le nozze incominciate,
se per te meritai bene
qualcosa, o per te ci fu qualche
mia tenerezza, abbi pietà d’una casa che crolla e cancella,
ti prego, se ancora
c’è un posto per le preghiere, questa idea.
A causa di te i popoli libici ed i tiranni dei Nomadi
mi odiano, contrari
i Tirii; proprio a causa di te
fu estinto il pudore e la fama per prima, per la quale io sola
salivo alle stelle. A chi
mi abbandoni moribonda, ospite,
solo questo nome da un marito mi resta?
Che aspetto? Forse fin che il fratello
Pigmalione distrugga
le mie mura o il Getulo Iarba mi porti prigioniera?
Almeno se prima della fuga mi fosse nato da
te
un figlio, se un piccolo Enea mi giocasse
nella reggia, che ti richiamasse col volto,
non mi sembrerei del tutto
delusa e abbandonata”.
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