Testo originale
Talia dicentem iamdudum aversa tuetur
huc illuc volvens oculos totumque pererrat
luminibus tacitis et sic accensa
profatur:
‘nec tibi diva parens generis nec Dardanus auctor,
perfide, sed duris genuit te cautibus horrens
Caucasus Hyrcanaeque admorunt ubera tigres.
nam quid dissimulo aut quae me ad maiora reservo?
num fletu ingemuit
nostro? num lumina flexit?
num lacrimas victus dedit aut miseratus amantem est?
quae quibus anteferam? iam iam nec
maxima Iuno
nec Saturnius haec oculis pater aspicit aequis.
nusquam tuta fides. eiectum litore, egentem
excepi et
regni demens in parte locavi.
amissam classem, socios a morte reduxi
heu furiis incensa feror: nunc augur Apollo,
nunc Lyciae sortes, nunc et Iove missus ab ipso
interpres divum fert horrida iussa per auras.
scilicet is superis
labor est, ea cura quietos
sollicitat. neque te teneo neque dicta refello:
i, sequere Italiam ventis, pete regna per
undas.
spero equidem mediis, si quid pia numina possunt,
supplicia hausurum scopulis et nomine Dido
saepe
vocaturum. sequar atris ignibus absens
et, cum frigida mors anima seduxerit artus,
omnibus umbra locis adero. dabis,
improbe, poenas.
audiam et haec Manis veniet mihi fama sub imos.’
his medium dictis sermonem abrumpit et auras
aegra fugit seque ex oculis avertit et aufert,
linquens multa metu cunctantem et multa parantem
dicere. suscipiunt
famulae conlapsaque membra
marmoreo referunt thalamo stratisque reponunt.
Versione Tradotta dell’Eneide Libro 4, vv. 362-392
Girata ormai lo guarda dir tali cose
girando qua e là con gli occhi e tutto lo
squadra
con sguardi muti e così accesa prorompe:
“Né una dea ti fu genitrice né Dardano capostipite,
perfido, ma ti
generò da duri macigni l’orrendo
Caucaso e tigri Ircane offrirono le mammelle.
Ma che dissimulo o a quali cose
maggiori mi riservo?
Forse che gemette al nostro pianto? Forse chinò gli sguardi?
Forse, vinto, versò lacrime o commiserò
l’amante?
Cosa opporrò a cosa? Ormai neppure la massima Giunone
né il padre saturnio guarda questo con occhi
giusti.
In nessun luogo lealtà sicura. L’ ho accolto buttato sul lido,
bisognoso ed io pazza lo misi a parte del
regno.
Riportai la flotta perduta ed i compagni da morte.
Ahi, incendiata dalle furie sono portata..: ora Apollo
augure,
ora i responsi di Licia, ora anche l’interprete degli dei
mandato dallo stesso Giove porta per i cieli i
comandi.
Senz’altro questa è la pena per i celesti, tale affanno affatica
i tranquilli. Né ti trattengo né ribatto le
parole:
Va, insegui coi venti l’Italia, cerca regni attraverso le onde.
Spero davvero che in mezzo a scogli,
se le pie preghiere
possono qualcosa, berrai i supplizi e spesso chiamerai per nome
“Didone!”. Assente t’inseguirò con
neri fuochi
e, quando la morte separerà le membra dall’anima,
io, ombra sarò in tutti i luoghi. Pagherai, malvagio, il
fio.
Sentirò anche sotto i profondi Mani verrà tale notizia”.
Con queste parole ruppe a metà il discorso ed i
cieli
fugge, malata, si volse e si toglie dagli occhi,
lasciandolo molto tentennante di paura e preparandosi a
dire
molto: la sorreggono le ancelle e riportano le membra crollate
sul letto di marmo e le ripongono sui cuscini.
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