Quis tibi tum, Dido, cernenti talia sensus,
quosve
dabas gemitus, cum litora fervere late
prospiceres arce ex summa, totumque videres
misceri ante oculos tantis clamoribus
aequor.
improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis.
ire iterum in lacrimas, iterum temptare precando
cogitur et
supplex animos summittere amori,
ne quid inexpertum frustra moritura relinquat.
‘Anna, vides toto properari litore
circum:
undique convenere; vocat iam carbasus auras,
puppibus et laeti nautae imposuere coronas.
hunc ego si potui
tantum sperare dolorem,
et perferre, soror, potero. miserae hoc tamen unum
exsequere, Anna, mihi; solam nam perfidus
ille
te colere, arcanos etiam tibi credere sensus;
sola viri mollis aditus et tempora noras.
i, soror, atque hostem
supplex adfare superbum:
non ego cum Danais Troianam exscindere gentem
Aulide iuravi classemve ad Pergama misi,
nec
patris Anchisae cinerem manisve revelli:
cur mea dicta negat duras demittere in auris?
quo ruit? extremum hoc miserae det
munus amanti:
exspectet facilemque fugam ventosque ferentis.
non iam coniugium antiquum, quod prodidit, oro,
nec
pulchro ut Latio careat regnumque relinquat:
tempus inane peto, requiem spatiumque furori,
dum mea me victam doceat
fortuna dolere.
extremam hanc oro veniam miserere sororis,
quam mihi cum dederit cumulatam morte remittam.’
Talibus orabat, talisque miserrima fletus
fertque refertque soror. sed nullis ille movetur
fletibus aut voces ullas
tractabilis audit;
fata obstant placidasque viri deus obstruit auris.
ac velut annoso validam cum robore quercum
Alpini Boreae nunc hinc nunc flatibus illinc
eruere inter se certant; it stridor, et altae
consternunt terram
concusso stipite frondes;
ipsa haeret scopulis et quantum vertice ad auras
aetherias, tantum radice in Tartara
tendit:
haud secus adsiduis hinc atque hinc vocibus heros
tunditur, et magno persentit pectore curas;
mens immota
manet, lacrimae volvuntur inanes.
Versione tradotta
Quale sensazione allora per te, Didone, che osservavi tali cose
che gemiti mandavi,
spiando dall'alto della rocca attorno
animarsi i lidi e vedendo davanti agli occhi
tutto il mare sconvolgersi di così
alte grida.
Malvagio Amore, a cosa non spingi i cuori mortali?
Ancora è costretta a gettarsi in lacrime, ancora a
tentare
supplice, pregando, di soggiogare all'amore i sentimenti,
per non lasciare invano qualcosa destinata a
morire.
"Anna, vedi che ci si affretta attorno a tutto il lido:
si sono radunati da ogni parte; ormai la vela invoca i
venti,
e allegri i marinai misero sulle poppe le corone.
Se io potei immaginare questo sì gran dolore,
sorella, potrò
pure sopportarlo. Per me misera tuttavia,
Anna, esegui solo questo: quel perfido infatti te sola
onorava, a te pure
affidava arcani sentimenti;
tu sola conoscevi le tenere vie ed i momenti dell'uomo.
Va, sorella, e supplice parla al
superbo nemico:
non io giurai con i Danai di sterminare il popolo troiani
in Aulide o mandai a Pergamo la flotta,
né
violai il cenere o i Mani del padre Anchise:
perché rifiuta di accogliere nelle dure orecchie i miei detti?
Dove scappa?
Dia questo ultimo dono alla misera amante:
aspetti una fuga facile e venti che aiutano.
Non chiedo più l'antica
unione, che tradì,
né che si privi del bel Lazio e abbandoni il regno.
Chiedo un tempo vuoto, quiete e spazio al
furore,
fin che la mia sorte mi insegni a soffrire, vinta.
Questa ultima grazia prego, abbi pietà della sorella,
e se mela concederà la restituirò accresciuta dalla morte."
Con tali parole pregava, e la miserrima sorella
porta e
riporta tali pianti. Ma lui non è smosso da alcun
pianto o arrendevole ascolta alcuna espressione;
i fati lo vietano e un
dio chiude le calme orecchie dell'eroe.
E come quando le Bore alpine gareggiano tra loro a
sradicare una forte quercia
di annosa forza con soffi
ora di qui ora di là; va lo stridore e le alte fronde
cospargono la terra, essendo scosso il
tronco;
lei aderisce ai macigni e quanto colla cima tende
ai cieli, altrettanto con la radice al Tartaro:
non
diversamente l'eroe è colpito da una parte e dall'altra
da frasi continue, e nel gran petto recepisce gli
affanni;
la mente resta immota, le lacrime scorrono inutili.
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