Eneide, Libro 4, traduzione vv. 522-552 - Studentville

Eneide, Libro 4, traduzione vv. 522-552

Nox erat et

placidum carpebant fessa soporem
corpora per terras, silvaeque et saeva quierant
aequora, cum medio volvuntur sidera

lapsu,
cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,
quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis
rura

tenent, somno positae sub nocte silenti.
[lenibant curas et corda oblita laborum ]
at non infelix animi Phoenissa,

neque umquam
solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem
accipit: ingeminant curae rursusque resurgens
saevit

amor magnoque irarum fluctuat aestu.
sic adeo insistit secumque ita corde volutat:
‘en, quid ago? rursusne procos

inrisa priores
experiar, Nomadumque petam conubia supplex,
quos ego sim totiens iam dedignata maritos?
Iliacas

igitur classis atque ultima Teucrum
iussa sequar? quiane auxilio iuvat ante levatos
et bene apud memores veteris stat

gratia facti?
quis me autem, fac velle, sinet ratibusve superbis
invisam accipiet? nescis heu, perdita, necdum

Laomedonteae sentis periuria gentis?
quid tum? sola fuga nautas comitabor ovantis?
an Tyriis omnique manu stipata

meorum
inferar et, quos Sidonia vix urbe revelli,
rursus agam pelago et ventis dare vela iubebo?
quin morere ut

merita es, ferroque averte dolorem.
tu lacrimis evicta meis, tu prima furentem
his, germana, malis oneras atque obicis

hosti.
non licuit thalami expertem sine crimine vitam
degere more ferae, talis nec tangere curas;
non servata fides

cineri promissa Sychaeo.’

Versione Tradotta

Era notte ed i corpi stanchi prendevano placido riposo
sulle terre, le selve ed i mari crudeli erano

quieti,
quando le stelle volgono a metà del giro,
quando ogni campo tace, le mandrie e gli uccelli variopinti,
che

occupano attorno i limpidi laghi e campagne aspre
di spini, riposti nel sonno sotto notte silenziosa.
[addolcivano gli

affanni ed i cuori dimentichi delle fatiche]
ma non la Fenicia infelice nel cuore, né mai
si scioglie nel sonno o coglie

negli occhi e nel cuore
la notte: si raddoppiano gli affanni e di nuovo rinasce
incrudelisce amore e vacilla nella gran

vampa delle ire.
Così di più insiste e tra sé così medita in cuore:
” Ecco, che faccio? Forse di nuovo derisa

affronterò
i vecchi pretendenti, supplice cercherò le nozze dei Nomadi,
quei mariti che ormai tante volte ho sdegnato?

Inseguirò dunque le flotte iliache e gli ultimi ordini
dei Teucri? Forse perché serve siano stati prima alleviato

da
aiuto e sta bene la riconoscenza presso i memori d’un vecchio fatto?
Chi poi, ammetti di volerlo, permetterà o

accoglierà me odiata
sulle superbe barche? Ahimè, non sai, disperata e non capisci
i tradimenti del popolo Laomedonteo?

Che dunque? Da sola in fuga accompagnerò marinai festanti?
O attorniata dai Tirri e da ogni schiera dei miei
mi

trascinerò e, quelli che a stento portai dalla città Sidonia,
di nuovo porterò per il mare e ordinerò di dare la vele ai

venti?
Muori piuttosto come hai meritato, cancella con la spada il dolore.
Tu vinta dalle mie lacrime, sorella, tu per

prima mi aggravi
di questi mali e butti me pazza davanti al nemico.
Non fu lecito passar la vita priva di nozze senza

colpa
come una fiera, e non toccare tali affanni;
non fu salvata la fede promessa alla cenere di Sicheo”

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