Nox erat et
placidum carpebant fessa soporem
corpora per terras, silvaeque et saeva quierant
aequora, cum medio volvuntur sidera
lapsu,
cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres,
quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis
rura
tenent, somno positae sub nocte silenti.
[lenibant curas et corda oblita laborum ]
at non infelix animi Phoenissa,
neque umquam
solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem
accipit: ingeminant curae rursusque resurgens
saevit
amor magnoque irarum fluctuat aestu.
sic adeo insistit secumque ita corde volutat:
‘en, quid ago? rursusne procos
inrisa priores
experiar, Nomadumque petam conubia supplex,
quos ego sim totiens iam dedignata maritos?
Iliacas
igitur classis atque ultima Teucrum
iussa sequar? quiane auxilio iuvat ante levatos
et bene apud memores veteris stat
gratia facti?
quis me autem, fac velle, sinet ratibusve superbis
invisam accipiet? nescis heu, perdita, necdum
Laomedonteae sentis periuria gentis?
quid tum? sola fuga nautas comitabor ovantis?
an Tyriis omnique manu stipata
meorum
inferar et, quos Sidonia vix urbe revelli,
rursus agam pelago et ventis dare vela iubebo?
quin morere ut
merita es, ferroque averte dolorem.
tu lacrimis evicta meis, tu prima furentem
his, germana, malis oneras atque obicis
hosti.
non licuit thalami expertem sine crimine vitam
degere more ferae, talis nec tangere curas;
non servata fides
cineri promissa Sychaeo.’
Versione Tradotta
Era notte ed i corpi stanchi prendevano placido riposo
sulle terre, le selve ed i mari crudeli erano
quieti,
quando le stelle volgono a metà del giro,
quando ogni campo tace, le mandrie e gli uccelli variopinti,
che
occupano attorno i limpidi laghi e campagne aspre
di spini, riposti nel sonno sotto notte silenziosa.
[addolcivano gli
affanni ed i cuori dimentichi delle fatiche]
ma non la Fenicia infelice nel cuore, né mai
si scioglie nel sonno o coglie
negli occhi e nel cuore
la notte: si raddoppiano gli affanni e di nuovo rinasce
incrudelisce amore e vacilla nella gran
vampa delle ire.
Così di più insiste e tra sé così medita in cuore:
” Ecco, che faccio? Forse di nuovo derisa
affronterò
i vecchi pretendenti, supplice cercherò le nozze dei Nomadi,
quei mariti che ormai tante volte ho sdegnato?
Inseguirò dunque le flotte iliache e gli ultimi ordini
dei Teucri? Forse perché serve siano stati prima alleviato
da
aiuto e sta bene la riconoscenza presso i memori d’un vecchio fatto?
Chi poi, ammetti di volerlo, permetterà o
accoglierà me odiata
sulle superbe barche? Ahimè, non sai, disperata e non capisci
i tradimenti del popolo Laomedonteo?
Che dunque? Da sola in fuga accompagnerò marinai festanti?
O attorniata dai Tirri e da ogni schiera dei miei
mi
trascinerò e, quelli che a stento portai dalla città Sidonia,
di nuovo porterò per il mare e ordinerò di dare la vele ai
venti?
Muori piuttosto come hai meritato, cancella con la spada il dolore.
Tu vinta dalle mie lacrime, sorella, tu per
prima mi aggravi
di questi mali e butti me pazza davanti al nemico.
Non fu lecito passar la vita priva di nozze senza
colpa
come una fiera, e non toccare tali affanni;
non fu salvata la fede promessa alla cenere di Sicheo”
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