Toto hoc in genere pugnae cum sub oculis omnium ac pro castris dimicaretur, intellectum est nostros propter gravitatem armorum, quod neque insequi cedentes possent neque ab signis discedere auderent, minus aptos esse ad huius generis hostem, equites autem magno cum periculo proelio dimicare, propterea quod illi etiam consulto plerumque cederent et, cum paulum ab legionibus nostros removissent, ex essedis desilirent et pedibus dispari proelio contenderent. Equestris autem proelii ratio et cedentibus et insequentibus par atque idem periculum inferebat. Accedebat huc ut numquam conferti, sed rari magnisque intervallis proeliarentur stationesque dispositas haberent atque alios alii deinceps exciperent integrique et recentes defatigatis succederent.
Versione tradotta
In tutto questo genere di battaglia scontrandosi sotto gli occhi di tutti e davanti agli accampamenti, si capì che i nostri per la pesantezza delle armi, poiché non potevano inseguire chi cedeva e non osavano allontanarsi dalle insegne, erano meno adatti contro un nemico di tal genere, che i cavalieri pure si scontravano in battaglia con grave rischio, per il fatto che quelli anche d’accordo per lo più cedevano e dopo aver allontanato un poco i nostri dalle legioni, saltavano giù dai carri ed attaccavano a piedi con mischia impari.
La tattica dunque dello scontro di cavalleria offriva uguale e pari pericolo sia ritirandosi (i nostri) che inseguendo.
Si aggiungeva a questo che mai combattevano serrati, ma sparsi ed a grandi intervalli ed avevano guarnigioni appostate ed alcuni a vicenda sostituivano gli altri e i freschi e riposati si avvicendavano agli spossati.
- Letteratura Latina
- Libro 5
- Cesare
- De Bello Gallico