Tum duces principesque Nerviorum, qui aliquem sermonis aditum causamque amicitiae cum Cicerone habebant, conloqui sese velle dicunt. Facta potestate eadem quae Ambiorix cum Titurio egerat commemorant: omnem esse in armis Galliam; Germanos Rhenum transisse; Caesaris reliquorumque hiberna oppugnari. Addunt etiam de Sabini morte; Ambiorigem ostentant fidei faciundae causa. Errare eos dicunt, si quicquam ab iis praesidii sperent, qui suis rebus diffidant; sese tamen hoc esse in Ciceronem populumque Romanum animo, ut nihil nisi hiberna recusent atque hanc inveterascere consuetudinem nolint; licere illis per se incolumibus ex hibernis discedere et, quascumque in partes velint, sine metu proficisci. Cicero ad haec unum modo respondit: non esse consuetudinem populi Romani ullam accipere ab hoste armato condicionem; si ab armis discedere velint, se adiutore utantur legatosque ad Caesarem mittant; sperare pro eius iustitia quae petierint impetraturos.
Versione tradotta
Allora i capi e principi dei Nervi, che avevano qualche possibilità di parlare e motivo di amicizia con Cicerone, dicono di voler parlare.
Dato il permesso ricordano le stesse cose che Ambiorige aveva trattato con Titurio: che tutta la Gallia era in armi;
i Germani avevano passato il Reno;
gli accampamenti invernali di Cesare e degli altri erano assediati.
Aggiungono anche circa la morte di Sabino;
ostentano Ambiorige per far fede.
Dicono che sbagliano se sperano alcunché di aiuto da coloro, disperano della propria situazione;
tuttavia essi nei confronti di Cicerone e del popolo romano essi erano di questo atteggiamento, di rifiutare nulla se non gli accampamenti invernali e non volevano che tale abitudine diventi tradizione; era possibile per essi grazie a loro allontanarsi incolumi dagli accampamenti invernali e partire per qualunque direzione volessero senza paura. Cicerone a questo rispose solo una cosa:
non esser abitudine del popolo romano accettare dal nemico armato alcuna condizione; se volessero desistere dalle armi, usino lui come tramite e mandino ambasciatori da Cesare; sparavano per la sua giustizia di ottenere quello che chiedevano.
- De Bello Gallico
- Libro 5
- Cesare
- De Bello Gallico