Ab urbe condita - Libro 5, Par. 41, 4-10 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 5, Par. 41, 4-10

Galli et quia interposita nocte a contentione pugnae remiserant animos et quod nec in

acie ancipiti usquam certauerant proelio nec tum impetu aut ui capiebant urbem, sine ira, sine ardore animorum ingressi postero

die urbem patente Collina porta in forum perueniunt, circumferentes oculos ad templa deum arcemque solam belli speciem

tenentem. inde, modico relicto praesidio ne quis in dissipatos ex arce aut Capitolio impetus fieret, dilapsi ad praedam uacuis

occursu hominum uiis, pars in proxima quaeque tectorum agmine ruunt, pars ultima, uelut ea demum intacta et referta praeda,

petunt; inde rursus ipsa solitudine absterriti, ne qua fraus hostilis uagos exciperet, in forum ac propinqua foro loca

conglobati redibant; ubi eos, plebis aedificiis obseratis, patentibus atriis principum, maior prope cunctatio tenebat aperta

quam clausa inuadendi; adeo haud secus quam uenerabundi intuebantur in aedium uestibulis sedentes uiros, praeter ornatum

habitumque humano augustiorem, maiestate etiam quam uoltus grauitasque oris prae se ferebat simillimos dis. ad eos uelut

simulacra uersi cum starent, M. Papirius, unus ex iis, dicitur Gallo barbam suam, ut tum omnibus promissa erat, permulcenti

scipione eburneo in caput incusso iram mouisse, atque ab eo initium caedis ortum, ceteros in sedibus suis trucidatos; post

principium caedem nulli deinde mortalium parci, diripi tecta, exhaustis inici ignes.

Versione tradotta

I Galli,sia perché,dopo che era trascorsa la notte,avevano placato gli animi dalla tensione della

battaglia,e sia perché in campo non avevano mai combattuto con esito incerto e non conquistavano una città né con un assalto né

con la forza, il giorno dopo entrati in città dalla porta Collina spalancata arrivarono al foro senza ira e senza odio,

volgendo gli occhi ai templi degli dei e alla rocca, unica immagine di guerra. Quindi, lasciato un piccolo presidio, affinché

nessuno si lanciasse dalla rocca o dal Campidoglio su di loro sparsi qua e là, si erano sparpagliati in cerca di bottino per le

vie deserte, una parte irrompeva in massa nelle case più vicine, una parte assaliva quelle più lontane, come se quelle fossero

sicuramente intatte e piene di bottino. Quindi atterriti proprio da quella desolazione, affinché non li colpisse qualche

tranello nemico mentre erano in giro, ritornarono in gruppo nel foro o nelle vicinanze; qui, essendo chiuse le case della plebe

e aperti gli atri dei nobili, li tratteneva quasi una maggior esitazione a invadere quelle aperte che quelle chiuse; talmente

come presi da soggezione osservavano gli uomini seduti nei vestiboli delle case simili agli dei, oltre che per l’abbigliamento

e l’atteggiamento più sovrannaturale che umano anche per la maestà che mostrava il volto e la gravità dell’aspetto. Mentre

stavano davanti a quelli quasi come davanti a delle statue, si dice che Marco Papirio, uno fra loro, scatenò l’ira di un Gallo

che gli accarezzava la barba, che tutti allora portavano lunga, percuotendolo sulla testa con un bastone d’avorio, e da lì

iniziò la strage, tutti furono trucidati sui loro scanni; dopo la strage dei nobili nessuno fu più risparmiato, le case furono

saccheggiate e date alle fiamme.

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