Ab urbe condita - Libro 5, Par. 47 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 5, Par. 47

Dum haec Veiis agebantur, interim arx Romae Capitoliumque in ingenti periculo fuit. Namque

Galli, seu uestigio notato humano qua nuntius a Veiis peruenerat seu sua sponte animaduerso ad Carmentis saxo adscensu aequo,

nocte sublustri cum primo inermem qui temptaret uiam praemisissent, tradentes indc arma ubi quid iniqui esset, alterni innixi

subleuantesque in uicem et trahentes alii alios, prout postularet locus, tanto silentio in summum euasere ut non custodes solum

fallerent, sed ne canes quidem, sollicitum animal ad nocturnos strepitus, excitarent. Anseres non fefellere quibus sacris

lunonis in summa inopia cibi tamen abstinebatur. Quae res saluti fuit; namque clangore eorum alarumque crepitu excitus M.

Manlius qui triennio ante consul fuerat, uir bello egregius, armis arreptis simul ad arma ceteros ciens uadit et dum ceteri

trepidant, Gallum qui iam in summo constiterat umbone ictum deturbat. Cuius casus prolapsi cum proximos sterneret, trepidantes

alios armisque omissis saxa quibus adhaerebant manibus amplexos trucidat. Iamque et alii congregati telis missilibusque saxis

proturbare hostes, ruinaque tota prolapsa acies in praeceps deferri. Sedato deinde tumultu reliquum noctis, quantum in turbatis

mentibus poterat cum praeteritum quoque periculum sollicitaret, quieti datum est.

Versione tradotta

Mentre a Veio succedevano queste cose, intanto la cittadella romana ed il Campidoglio

furono in grande pericolo. Infatti i Galli, sia che avessero notato tracce del passaggio di un uomo dove il messaggero era

venuto da Veio, sia che si fossero resi conto di una roccia adatta alla scalata presso il tempio di Carmenta, durante la notte

molto chiara, dopo aver inviato un uomo che, disarmato, tentasse al via, consegnando poi loro le armi dove ci fosse qualche

difficoltà, gli uni con gli altri, appoggiandosi e sollevandosi a vicenda e trascinandosi l'uno con l'altro, come il

luogo richiedeva, in tanto silenzio raggiunsero di nascosto la cima che ingannarono non solo le sentinelle, ma non svegliarono

nemmeno i cani, che pure sono animali che si svegliano facilmente ai rumori notturni. Non ingannarono però le oche che

tuttavia, perché sono sacre a Giunone, anche nella grande penuria di cibo venivano risparmiate. E questo fatto garantì la

salvezza. Infatti M. Manlio, che era stato console tre anni prima, uomo di ottima disciplina militare, svegliato dal loro

starnazzare e dal rumore delle ali, prese le armi, si precipita risoluto chiamando tutti gli altri alle armi e mentre gli altri

si preparano in fretta colpisce con lo scudo e fa precipitare un Gallo che già si era fermato sulla sommità. Mentre la caduta

di costui, che era scivolato, travolgeva quelli più vicini, abbatte altri Galli impauriti che, abbandonate le armi, tentavano

di aggrapparsi con le mani e abbracciavano le rocce alle quali. Ormai aggiuntisi altri procuravano confusione ai nemici con

frecce e pietre, e il contingente dei nemici, travolta dalla caduta, cade al completo a precipizio. Una volta messa fine alla

confusione, il resto della notte fu dedicato al riposo, per quanto era possibile nelle menti sconvolte, poiché il pericolo

passato li teneva in ansia.

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