Longius prosequi veritus quod silvae paludesque intercedebant – neque etiam parvulo detrimento illum locum relinqui videbat -, omnibus suis incolumibus eodem die ad Ciceronem pervenit. Institutas turres, testudines munitionesque hostium admiratur; producta legione cognoscit non decimum quemque esse reliquum militem sine vulnere; ex his omnibus iudicat rebus quanto cum periculo et quanta cum virtute res sint administratae. Ciceronem pro eius merito legionemque conlaudat; centuriones singillatim tribunosque militum appellat, quorum egregiam fuisse virtutem testimonio Ciceronis cognoverat. De casu Sabini et Cottae certius ex captivis cognoscit. Postero die contione habita rem gestam proponit, milites consolatur et confirmat: quod detrimentum culpa et temeritate legati sit acceptum, hoc aequiore animo ferundum docet, quod beneficio deorum immortalium et virtute eorum expiato incommodo neque hostibus diutina laetitia neque ipsis longior dolor relinquatur.
Versione tradotta
Temendo di inseguirli più a lungo, poiché c’eran di mezzo selve e paludi – e non vedeva che non si lasciava nessun luogo anche per un piccolo danneggiamento -, essendo tutti i suoi incolumi, nello stesso giorno giunge da Cicerone.
Si stupisce delle torri costruite, delle testuggini e fortificazioni dei nemici; introdotta la legione, si rende conto che ogni dieci soldati solo uno è senza ferita; da tutte queste cose comprende con quanto grande pericolo e quanto grande eroismo siano state condotte le cose. Elogia Cicerone per il suo merito e
la legione;
chiama singolarmente i centurioni ed i tribuni dei soldati, il cui coraggio aveva saputo esser stato straordinario su testimonianza di Cicerone.
Sulla sorte di Sabino e Cotta viene a sapere meglio dai prigionieri. Il giorno dopo tenuto un discorso presenta l’impresa, consola i soldati e li rincuora:
il fatto che il danno sia stato ricevuto per la colpa e la leggerezza di un legato, insegna che questo deve essere sopportato con animo più sereno, perché per grazia degli dei immortali e per il loro eroismo, espiato il danno, non restava né una lunga gioia per i nemici né un dolore troppo lungo per loro stessi.
- Letteratura Latina
- Libro 5
- Cesare
- De Bello Gallico