Paragrafo 46
Caesar receptui
suorum timens crates ad extremum tumulum contra hostem proferri et adversas locari intra has mediocri latitudine fossam tectis
militibus obduci iussit locumque in omnes partes quam maxime impediri. Ipse idoneis locis funditores instruxit ut praesidio
nostris se recipientibus essent. His rebus comparatis legionem reduci iussit. Pompeiani hoc insolentius atque audacius nostros
premere et instare coeperunt cratesque pro munitione obiectas propulerunt ut fossas transcenderent. Quod cum animadvertisset
Caesar veritus ne non reducti sed reiecti viderentur maiusque detrimentum caperetur a medio fere spatio suos per Antonium qui
ei legioni praeerat cohortatus tuba signum dari atque in hostes impetum fieri iussit. Milites legionis VIIII subito conspirati
pila coniecerunt et ex inferiore loco adversus clivum incitati cursu praecipites Pompeianos egerunt et terga vertere coegerunt;
quibus ad recipiendum crates deiectae longuriique obiecti et institutae fossae magno impedimento fuerunt. Nostri vero qui satis
habebant sine detrimento discedere compluribus interfectis V omnino suorum amissis quietissime se receperunt pauloque citra eum
locum aliis comprehensis collibus munitiones perfecerunt.
Paragrafo 47
Erat nova et
inusitata belli ratio cum tot castellorum numero tantoque spatio et tantis munitionibus et toto obsidionis genere tum etiam
reliquis rebus. Nam quicumque alterum obsidere conati sunt perculsos atque infirmos hostes adorti aut proelio superatos aut
aliqua offensione permotos continuerunt cum ipsi numero equitum militumque praestarent; causa autem obsidionis haec fere esse
consuevit ut frumento hostes prohiberent. At tum integras atque incolumes copias Caesar inferiore militum numero continebat cum
illi omnium rerum copia abundarent; cotidie enim magnus undique navium numerus conveniebat quae commeatum supportarent neque
ullus flare ventus poterat quin aliqua ex parte secundum cursum haberent. Ipse autem consumptis omnibus longe lateque frumentis
summis erat in angustiis. Sed tamen haec singulari patientia milites ferebant. Recordabantur enim eadem se superiore anno in
Hispania perpessos labore et patientia maximum bellum confecisse meminerant ad Alesiam magnam se inopiam perpessos multo etiam
maiorem ad Avaricum maximarum gentium victores discessisse. Non illi hordeum cum daretur non legumina recusabant; pecus vero
cuius rei summa erat ex Epiro copia magno in honore habebant.
Paragrafo 48
st autem
genus radicis inventum ab eis qui fuerant vacui ab operibus quod appellatur chara quod admixtum lacte multum inopiam levabat.
Id ad similitudinem panis efficiebant. Eius erat magna copia. Ex hoc effectos panes cum in colloquiis Pompeiani famem nostris
obiectarent vulgo in eos iaciebant ut spem eorum minuerent.
Paragrafo 49
Iamque
frumenta maturescere incipiebant atque ipsa spes inopiam sustentabat quod celeriter se habituros copiam confidebant; crebraeque
voces militum in vigiliis colloquiisque audiebantur prius se cortice ex arboribus victuros quam Pompeium e manibus dimissuros.
Libenter etiam ex perfugis cognoscebant equos eorum tolerari reliqua vero iumenta interisse; uti autem ipsos valetudine non
bona cum angustiis loci et odore taetro ex multitudine cadaverum et cotidianis laboribus insuetos operum tum aquae summa inopia
affectos. Omnia enim flumina atque omnes rivos qui ad mare pertinebant Caesar aut averterat aut magnis operibus obstruxerat
atque ut erant loca montuosa et aspera angustias vallium sublicis in terram demissis praesaepserat terramque aggesserat ut
aquam contineret. Itaque illi necessario loca sequi demissa ac palustria et puteos fodere cogebantur atque hunc laborem ad
cotidiana opera addebant; qui tamen fontes a quibusdam praesidiis aberant longius et celeriter aestibus exarescebant. At
Caesaris exercitus optima valetudine summaque aquae copia utebatur tum commeatus omni genere praeter frumentum abundabat;
quibus cotidie melius succedere tempus maioremque spem maturitate frumentorum proponi videbant.
Paragrafo 50
In novo genere belli novae ab utrisque bellandi rationes reperiebantur. Illi
cum animadvertissent ex ignibus noctu cohortes nostras ad munitiones excubare silentio aggressi universi intra multitudinem
sagittas coniciebant et se confestim ad suos recipiebant. Quibus rebus nostri usu docti haec reperiebant remedia ut alio loco
ignes facerent .
Versione tradotta
46
Cesare, preoccupato per la ritirata dei suoi, fece portare sul ciglio del colle dei graticci da collocare come una
barriera di fronte al nemico, al riparo dei quali fece scavare ai soldati una fossa di media larghezza, per rendere il sito
quanto più impraticabile possibile in ogni direzione. Schierò quindi in punti opportuni i frombolieri per coprire la ritirata
dei nostri. Completati questi preparativi, ordinò alla legione di ritirarsi. Questo ebbe l'effetto di aumentare la tracotanza
e l'audacia dei pompeiani che si dettere a premere e incalzare i nostri, abbattendo i graticci di protezione per saltare i
fossati. Quando Cesare se ne accorse, temendo che la ritirata si trasformasse in una disfatta con un danno ben maggiore, quasi
a mezza via, fece esortare i suoi per bocca di Antonio che comandava quella legione e, fatta suonare la tromba, ordinò di
passare al contrattacco. I soldati della ix legione, d'improvviso, tutti insieme, lanciarono i giavellotti e, risalendo di
corsa il declivio, dal basso, cacciarono a precipizio i pompeiani, costringendoli a volgere le spalle; i graticci che
sbarravano la strada e i pali conficcati di traverso nelle fosse precedentemente scavate ostacolarono gravemente la loro
ritirata. I nostri invece, cui bastava ritirarsi senza danno, dopo aver causato molte perdite ed aver perduto in tutto cinque
dei loro, si ritirarono in tutta tranquillità e, occupati altri colli poco più avanti di questo, completarono i lavori di
fortificazione.
Era un modo di combattere nuovo e fuori dal comune
sia per il grande numero di fortilizi, per la vastità dell'area, per le imponenti fortificazioni, per le complesse tecniche di
assedio, sia per altri motivi. Infatti chiunque tenta un assedio, serra il nemico incalzandolo dopo che esso è stato fiaccato o
indebolito o superato in battaglia o provato da qualche insuccesso, forte della sua superiorità nel numero di soldati e
cavalieri; scopo poi dell'assedio di solito è questo: impedire il vettovagliamento ai nemici. Ma in quel frangente Cesare, con
un numero inferiore di soldati, serrava un esercito integro, in buona salute e che aveva abbondanza di tutto; infatti ogni
giorno una gran numero di navi giungeva da ogni parte a portare provviste e non poteva soffiare alcun vento che non fosse
favorevole almeno a una parte delle navi. Cesare invece, consumata tutta la scorta di frumento raccolta in lungo e in largo
nella zona, si trovava in grandissime difficoltà. Ciò nonostante i soldati sopportavano questa situazione con straordinaria
resistenza. Ricordavano infatti che nell'anno precedente in Spagna con gli stessi patimenti, e con la loro fatica e
resistenza, avevano portato a termine una guerra durissima; non dimenticavano di avere sofferto una grande carestia presso
Alesia, una ancora più grande presso Avarico e di essere risultati vincitori di popoli fortissimi. Ed essi non rifiutavano
l'orzo e i legumi, quando venivano loro distribuiti, ma gradivano molto il bestiame, proveniente dall'Epiro, dove ve ne è in
grande abbondanza.
Era stato anche scoperto da quelli che avevano
lavorato alle opere di fortificazione, un tipo di radice detto chara , che, mista al latte, alleviava di molto la mancanza di
cibo. Ne facevano una specie di pane e quando nei colloqui i pompeiani rinfacciavano ai nostri la loro fame, gliene gettavano
in gran quantità per deluderli.
E ormai il frumento incominciava a
maturare e la speranza stessa aiutava a sopportare la carestia, poiché i nostri confidavano di avere entro breve tempo
abbondanza di cibo; e durante le veglie e nei dialoghi si sentiva dire spesso dai soldati che, piuttosto che lasciarsi sfuggire
di mano Pompeo, avrebbero mangiato la corteccia degli alberi. Con piacere venivano anche a sapere dai disertori che i cavalli
dei nemici venivano tenuti in vita, ma che il restante bestiame era tutto morto e che i nemici stessi non erano più in buona
salute, tormentati come erano dalla mancanza di spazio, dal puzzo nauseabondo proveniente da una moltitudine di cadaveri, dalle
fatiche quotidiane, loro che non erano avvezzi a lavorare, e dall'assoluta mancanza di acqua. Infatti tutti i fiumi e i
ruscelli che si dirigevano al mare Cesare o li aveva fatti deviare o li aveva sbarrati con grandi lavori ed essendo le valli, a
causa delle asperità dei luoghi, strette e di difficile transito, egli le aveva sbarrate, piantando per terra dei pali e
ammassando contro di essi della terra per trattenere l'acqua. E così i nemici erano per necessità costretti a cercare luoghi
bassi e paludosi ove scavare dei pozzi e questa fatica si aggiungeva ai lavori quotidiani. Ma quelle sorgenti si trovavano
troppo lontane da alcuni presidi e, inoltre, per il caldo velocemente si prosciugavano. Al contrario l'esercito di Cesare
godeva ottima salute, aveva acqua in grande abbondanza e vettovaglie di ogni genere, ad eccezione del frumento, in grande
quantità. Stando così le cose, vedevano ogni giorno la situazione migliorare e, col maturare del grano, aumentare la
speranza.
In questo nuovo genere di guerra, da ambedue le parti
venivano escogitati nuovi tipi di combattimento. Quando i pompeiani si accorsero, dalla disposizione dei fuochi, che le nostre
corti vegliavano accanto alle fortificazioni, avanzando in silenzio, scagliavano tutte le loro frecce in mezzo alla massa dei
nostri e subito si ritiravano nelle loro linee. A questo stratagemma i nostri, istruiti dall'esperienza, trovarono questo
rimedio: accendevano i fuochi in un luogo diverso
- Letteratura Latina
- De Bello Civili di Giulio Cesare
- Cesare