At procul ex celso miratus
vertice montis
adventum sociasque rates occurrit Acestes,
horridus in iaculis et pelle Libystidis ursae,
Troia
Criniso conceptum flumine mater
quem genuit. veterum non immemor ille parentum
gratatur reduces et gaza laetus agresti
excipit, ac fessos opibus solatur amicis.
Postera cum primo stellas Oriente fugarat
clara dies, socios in
coetum litore ab omni
advocat Aeneas tumulique ex aggere fatur:
‘Dardanidae magni, genus alto a sanguine divum,
annuus exactis completur mensibus orbis,
ex quo reliquias divinique ossa parentis
condidimus terra maestasque
sacravimus aras;
iamque dies, nisi fallor, adest, quem semper acerbum,
semper honoratum sic di voluistis habebo.
hunc ego Gaetulis agerem si Syrtibus exsul,
Argolicove mari deprensus et urbe Mycenae,
annua vota tamen
sollemnisque ordine pompas
exsequerer strueremque suis altaria donis.
nunc ultro ad cineres ipsius et ossa parentis
haud equidem sine mente, reor, sine numine divum
adsumus et portus delati intramus amicos.
ergo agite et laetum
cuncti celebremus honorem:
poscamus ventos, atque haec me sacra quotannis
urbe velit posita templis sibi ferre
dicatis.
bina boum vobis Troia generatus Acestes
dat numero capita in navis; adhibete penatis
et patrios
epulis et quos colit hospes Acestes.
praeterea, si nona diem mortalibus almum
Aurora extulerit radiisque retexerit
orbem,
prima citae Teucris ponam certamina classis;
quique pedum cursu valet, et qui viribus audax
aut iaculo
incedit melior levibusque sagittis,
seu crudo fidit pugnam committere caestu,
cuncti adsint meritaeque exspectent
praemia palmae.
ore favete omnes et cingite tempora ramis.’
Sic fatus velat materna tempora myrto.
hoc Helymus
facit, hoc aevi maturus Acestes,
hoc puer Ascanius, sequitur quos cetera pubes.
ille e concilio multis cum milibus ibat
ad tumulum magna medius comitante caterva.
hic duo rite mero libans carchesia Baccho
fundit humi, duo lacte novo,
duo sanguine sacro,
purpureosque iacit flores ac talia fatur:
‘salve, sancte parens, iterum; salvete, recepti
nequiquam cineres animaeque umbraeque paternae.
non licuit finis Italos fataliaque arva
nec tecum Ausonium,
quicumque est, quaerere Thybrim.’
dixerat haec, adytis cum lubricus anguis ab imis
septem ingens gyros, septena
volumina traxit
amplexus placide tumulum lapsusque per aras,
caeruleae cui terga notae maculosus et auro
squamam
incendebat fulgor, ceu nubibus arcus
mille iacit varios adverso sole colores.
obstipuit visu Aeneas. ille agmine longo
tandem inter pateras et levia pocula serpens
libavitque dapes rursusque innoxius imo
successit tumulo et depasta
altaria liquit.
hoc magis inceptos genitori instaurat honores,
incertus geniumne loci famulumne parentis
esse
putet; caedit binas de more bidentis
totque sues, totidem nigrantis terga iuvencos,
vinaque fundebat pateris animamque
vocabat
Anchisae magni manisque Acheronte remissos.
nec non et socii, quae cuique est copia, laeti
dona ferunt,
onerant aras mactantque iuvencos;
ordine aena locant alii fusique per herbam
subiciunt veribus prunas et viscera
torrent.
Versione tradotta
Ma lontano osservando dall'alta cima del monte
Aceste corre all'arrivo, alle navi amiche,
spaventoso nelle armi e nella pelle di orsa Libistide,
(lui) che madre troiana generò concepito dal fiume
Crinisio.
Egli non immemore degli antichi padri
festeggia i reduci e lieto e li accoglie con rustico
dono e consola gli stanchi
con regali amichevoli.
Poi appena il chiaro giorno aveva cacciato le stelle
dal primo Oriente, Enea chiama a raccolta da
tutta la spiaggia
i compagni e parla dall'argine di un rialzo:
"Grandi Dardanidi, stirpe dall'alto sangue degli
dei,
si compie, trascorsi i mesi, il giro d'un anno,
da quando seppellimmo in terra i resti e le ossa
del padre
divino e consacrammo i mesti altari.
Ormai, se non sbaglio, ricorre il giorno, che sempre
riterrò acerbo, ma sempre
onorato (così voleste, o dei).
Se io, esule, lo passassi nelle Sirti Getule
o, catturato, nel mare Argolico e nella città
di Micene,
tuttavia eseguirei i voti annuali e le solenni cerimonie,
secondo il rito e riempirei gli altari dei loro
doni.
Ora poi siamo vicini alle ceneri ed alle ossa dello stesso
padre, non credo senza un progetto, senza una
volontà
degli dei ed entriamo, spinti, in porti amici.
Oesù e celebriamo tutti la lieta festa;
chiamiamo i venti; egli
voglia che io annualmente,
fondata la città, offra a lui in templi consacrati questi riti.
Aceste, generato da
Troia, vi dà due capi, in tutto, di buoi
per navi: invitate anche i penati ai banchetti
anche quelli che l'ospite
Aceste onora.
Inoltre se la nona Aurora porterà ai mortali
il santo giorno e ricoprirà il mondo di raggi,
indirò per i
Teucri per prime le gare della flotta veloce;
e chi vale nella corsa a piedi e chi, audace per forze
o si presenta
migliore nel giavellotto e nelle frecce leggere
o si fida d'attaccare uno scontro col forte cesto,
tutti siano
presenti e s'aspettino i premi della meritata palma.
Propiziate tutti col silenzio e cingete le tempia di rami"
Così
espressosi, vela le tempia di mirto materno:
Questo fa Elimo, questo Aceste, maturo d'età,
questo il giovane Ascanio e
l'altra gioventù li segue.
Egli avanzava dall'assemblea verso il tumulo con molte
migliaia, in mezzo, mentre una
grande folla l'accompagna.
Qui ritualmente libando due coppe di puro Bacco,
(ne) versa per terra, due di latte fresco,
due di sangue sacro,
e sparge fiori purpurei e dice tali cose:
"Salve, padre santo, di nuovo salve, ceneri
invano raccolte, anime ed ombre paterne.
Non fu lecito con te cercare i territori itali ed i campi
fatali, né,
qualunque sia, l'Ausonio Tevere".
Aveva detto queste cose, quando dai luoghi più profondi
una serpe enorme, viscida,
trasse sette cerchi, sette giri
abbracciando placidamente il tumulo e scivolando tra gli altari,
macchiato sul dorso di
nota cerulea, ed un fulgore accendeva
la squama d'oro, come l'arcobaleno proietta tra le nubi
mille diversi colori,
quando il sole è davanti
Stupì alla vista Enea. Quello con lungo snodo
finalmente strisciando tra le tazze e le leggere
coppe
libò le offerte e di nuovo, innocuo, si ritrasse nel profondo
del tumulo e lasciò gli altari assaggiati.
Per
questo riprende di più i riti iniziati per il padre,
incerto se credere se sia il genio del luogo o un messaggero
del
padre; sgozza secondo il rito due pecore,
altrettanti porci, altrettanti giovenchi neri nei dorsi,
con le coppe versava
vini ed invocava l'anima
del grande Anchise ed i Mani richiamati dall'Acheronte.
Non meno i compagni, quale a
ciascuno è dato, lieti
portano doni, riempiono gli altari e sacrificano giovenchi;
alcuni collocano in ordine
caldaie e sparsi nell'erba
mettono spine sotto gli spiedi ed arrostiscono le carni.
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