Hoc ipso tempore casu Germani equites interveniunt protinusque eodem illo quo venerant cursu ab decumana porta in castra inrumpere conantur, nec prius sunt visi obiectis ab ea parte silvis, quam castris adpropinquarent, usque eo ut qui sub vallo tenderent mercatores, recipiendi sui facultatem non haberent. Inopinantes nostri re nova perturbantur, ac vix primum impetum cohors in statione sustinet. Circumfunduntur hostes ex reliquis partibus, si quem aditum reperire possint. Aegre portas nostri tuentur; reliquos aditus locus ipse per se munitioque defendit. Totis trepidatur castris, atque alius ex alio causam tumultus quaerit; neque quo signa ferantur, neque quam in partem quisque conveniat provident. Alius castra iam capta pronuntiat, alius deleto exercitu atque imperatore victores barbaros venisse contendit. Plerique novas sibi ex loco religiones fingunt Cottaeque et Titurii calamitatem, qui in eodem occiderint castello, ante oculos ponunt. Tali timore omnibus perterritis confirmatur opinio barbaris, ut ex captivo audierant, nullum esse intus praesidium. Perrumpere nituntur seque ipsi adhortantur, ne tantam fortunam ex manibus dimittant.
Versione tradotta
In questo stesso tempo per caso i cavalieri germani sopraggiungono e subito con la stessa corsa con cui erano giunti tentano di irrompere dalla porta decumana negli accampamenti e, frapposte le selve, non furono visti prima che si avvicinassero agli accampamenti, al punto che i mercanti che si attendavano sotto il trinceramento, non avevano la possibilità di ritirarsi. Non aspettandoselo i nostri si scompigliavano per il nuovo fatto, e a stento la coorte in guardia sostiene il primo attacco. Dalle altre parti i nemici si spandono, se potessero trovare qualche passaggio. A fatica i nostri difendono le porte; il luogo stesso difende gli altri ingressi e per la fortificazione se stesso. In tutti gli accampamenti si trepida, ed uno chiede all’altro la causa dello scompiglio; e non vedono dove si portino le insegne, né in quale parte uno si riunisca. Uno annuncia gli accampamenti già presi, uno afferma che, distrutto l’esercito ed il generale, i barbari erano arrivati vincitori. Parecchi dalla situazione si immaginano nuovi elementi religiosi e mettono davanti agli occhi la disgrazia di Cotta e Titurio, che erano caduti nella stessa fortezza. Spaventati tutti da tale paura, si conferma per i barbari l’idea, come avevano sentito dai prigionieri, che dentro non ci fosse alcuna difesa. Tentano di irrompere e di esortano a vicenda, di non lasciarsi scappare dalle mani una così grande fortuna.
- De Bello Gallico
- Libro 6
- Cesare
- De Bello Gallico