Eneide, Libro 6, traduzione vv. 175-211 - Studentville

Eneide, Libro 6, traduzione vv. 175-211

Ergo omnes magno circum clamore fremebant,
praecipue pius Aeneas. tum iussa Sibyllae,
haud mora,

festinant flentes aramque sepulcri
congerere arboribus caeloque educere certant.
itur in antiquam silvam, stabula alta

ferarum;
procumbunt piceae, sonat icta securibus ilex
fraxineaeque trabes cuneis et fissile robur
scinditur,

advolvunt ingentis montibus ornos.
Nec non Aeneas opera inter talia primus
hortatur socios paribusque accingitur armis.

atque haec ipse suo tristi cum corde volutat
aspectans silvam immensam, et sic forte precatur:
‘si nunc se nobis

ille aureus arbore ramus
ostendat nemore in tanto. quando omnia vere
heu nimium de te vates, Misene, locuta est.’

vix ea fatus erat, geminae cum forte columbae
ipsa sub ora viri caelo venere volantes,
et viridi sedere solo. tum

maximus heros
maternas agnovit avis laetusque precatur:
‘este duces, o, si qua via est, cursumque per auras

derigite in lucos ubi pinguem dives opacat
ramus humum. tuque, o, dubiis ne defice rebus,
diva parens.’ sic

effatus vestigia pressit
observans quae signa ferant, quo tendere pergant.
pascentes illae tantum prodire volando

quantum acie possent oculi servare sequentum.
inde ubi venere ad fauces grave olentis Averni,
tollunt se celeres

liquidumque per aera lapsae
sedibus optatis gemina super arbore sidunt,
discolor unde auri per ramos aura refulsit.

quale solet silvis brumali frigore viscum
fronde virere nova, quod non sua seminat arbos,
et croceo fetu teretis

circumdare truncos,
talis erat species auri frondentis opaca
ilice, sic leni crepitabat brattea vento.
corripit

Aeneas extemplo avidusque refringit
cunctantem, et vatis portat sub tecta Sibyllae.

Versione tradotta

Perciò tutti attorno fremevano con grande grido
Soprattutto il pio Enea. Allora piangendo

eseguono gli ordini
della Sibilla, senza esitare, e gareggiano a coprire con alberi
l'altare del sepolcro e ad alzarlo

fino al cielo.
Si va nell'antica boscaglia, profonde tane di fiere,
i pini stramazzano, il leccio risuona colpito

dalle scuri,
le travi di frassino, il rovere fendibile coi cunei
si spacca: enormi orni rotolano dai monti.
Nondimeno

Enea tra tali opere per primo esorta
i compagni e si cinge di uguali armi.
Egli medita questo col suo triste

cuore
osservando l'immensa selva e così proprio prega:
"Oh se adesso quel ramo dorato si mostrasse
dalla pianta in

così grande bosco, poiché con verità
la sacerdotessa disse tutto, ahi troppo, su di te, Miseno".
Aveva appena parlato,

quando per caso due colombe
vennero dal cielo volando sotto gli stessi occhi dell'eroe,
e si posarono sul verde

suolo. Allora il grandissimo eroe
riconobbe gli uccelli materni e lieto prega:
" Siate guide, oh, se c'è una via,

dirigete la rotta nell'aria
dentro i boschi, dove il ramo prezioso rinfresca la ricca
terra. Tu, o dea madre, non

venir meno
in situazioni dubbiose." Detto così, fermò il passo,
osservando quali segnali portino, dove vogliano

andare.
Esse beccando tanto avanzano volando
quanto potevano guardare a vista gli occhi di chi seguiva.
Poi quando

giunsero alle gole dell'Averno che gravemente puzza,
si alzano veloci e scivolando nella limpida aria
si posano sulle

sedi desiderate, una duplice pianta
donde l'aureola cangiante dell'oro brillò tra i rami.
Come il viscere è solito

rinverdire di nuove fronde
nelle selve nel freddo invernale, (che una pianta non sua semina),
e circondare i tronchi

rotondi di giallo germoglio,
tale era l'aspetto dell'oro frondeggiante nella fresca
elce, così la lamina mormorava

al vento leggero.
Subito Enea l'afferra ed avido lo spezza,
mentre dondola, e lo porta sotto i tetti della profetessa

Sibilla.

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