Eneide VI versi 295 330: Enea entra nell'Ade

Eneide Libro 6, vv. 295-330 - Enea entra nell'Ade

L’Eneide, uno dei capolavori della letteratura epica latina scritto da Virgilio, presenta nel sesto libro un viaggio affascinante e oscuro attraverso gli inferi. In particolare, nei versi 295-330 del VI libro dell’Eneide il poeta ci offre una descrizione dettagliata e potente del viaggio di Enea verso le acque del Tartaro.

In questo passaggio, Enea si trova di fronte al fiume Acheronte, con le sue acque torbide e vorticose, mentre le anime dei defunti si affollano sulle rive in attesa di essere traghettate dal temibile Caronte. L’atmosfera cupa e spettrale, ricca di immagini evocative e simboli mitologici, sottolinea l’importanza e la solennità di questo momento nel viaggio dell’eroe troiano. L’episodio mette in luce temi universali come la morte, l’attesa e il destino, rendendo questi versi un punto culminante dell’intera opera.

Eneide Libro VI, versi 295 330 – testo originale

Hinc via Tartarei quae fert Acherontis ad undas.
turbidus hic caeno vastaque voragine gurges
aestuat

atque omnem Cocyto eructat harenam.
portitor has horrendus aquas et flumina servat
terribili squalore Charon, cui

plurima mento
canities inculta iacet, stant lumina flamma,
sordidus ex umeris nodo dependet amictus.
ipse ratem

conto subigit velisque ministrat
et ferruginea subvectat corpora cumba,
iam senior, sed cruda deo viridisque senectus.

huc omnis turba ad ripas effusa ruebat,
matres atque viri defunctaque corpora vita
magnanimum heroum, pueri

innuptaeque puellae,
impositique rogis iuvenes ante ora parentum:
quam multa in silvis autumni frigore primo
lapsa

cadunt folia, aut ad terram gurgite ab alto
quam multae glomerantur aves, ubi frigidus annus
trans pontum fugat et

terris immittit apricis.
stabant orantes primi transmittere cursum
tendebantque manus ripae ulterioris amore.

navita sed tristis nunc hos nunc accipit illos,
ast alios longe summotos arcet harena.
Aeneas miratus enim motusque

tumultu
‘dic,’ ait, ‘o virgo, quid vult concursus ad amnem?
quidve petunt animae? vel quo discrimine ripas

hae linquunt, illae remis vada livida verrunt?’
olli sic breviter fata est longaeva sacerdos:
‘Anchisa

generate, deum certissima proles,
Cocyti stagna alta vides Stygiamque paludem,
di cuius iurare timent et fallere numen.

haec omnis, quam cernis, inops inhumataque turba est;
portitor ille Charon; hi, quos vehit unda, sepulti.
nec ripas

datur horrendas et rauca fluenta
transportare prius quam sedibus ossa quierunt.
centum errant annos volitantque haec

litora circum;
tum demum admissi stagna exoptata revisunt.’

 

Eneide Libro VI, versi 295 330 – traduzione

Da qui la via che porta alle onde di Acheronte Tartareo.
Qui un vortice turbolento di fango e di grande voragine
ribolle

e tutto il limo rigetta nel Cocito.
Il traghettatore orrendo sorveglia queste acque e fiumi
con terribile squallore, Caronte, su cui

molti capelli bianchi
scomposti ricadono sul mento, gli occhi fiammeggiano,
un sudicio mantello pende dalle spalle annodato.
Egli stesso

spinge la barca con un palo e gestisce le vele
e trasporta i corpi con la rugginosa barca,
già anziano, ma per un dio la vecchiaia è cruda e verde.

Qui tutta la folla si affollava riversandosi sulle rive,
madri e uomini e corpi privati della vita,
eroi magnanimi, ragazzi

e fanciulle non sposate,
e giovani posti sui roghi davanti agli occhi dei genitori:
come molte foglie cadono nei boschi al primo freddo
dell’autunno,

o come molti uccelli si radunano a terra dal gorgo profondo
quando l’anno freddo li spinge oltre il mare
e li invia alle terre

soleggiate.
Stavano pregando per primi di attraversare il corso
e tendevano le mani con desiderio della riva opposta.

Il nocchiero triste ora accoglie questi ora quelli,
mentre gli altri respinge lontano dalla spiaggia.
Enea, stupito e scosso dal tumulto,

chiese: ‘Dimmi, o vergine, che cosa significa questa folla al fiume?
Cosa cercano le anime? Con quale criterio lasciano le rive

queste, mentre quelle solcano le acque oscure con i remi?’
Così brevemente rispose la sacerdotessa anziana:
‘Generato

da Anchise, prole certissima degli dèi,
vedi le alte acque del Cocito e la palude Stigia,
di cui temono giurare e tradire il nume.

Tutta questa folla che vedi è priva di sepoltura e indigente;
quel traghettatore è Caronte; quelli che trasporta l’onda, sepolti.
Non è concesso

trasportare prima le rive orrende e i fiumi rauchi
prima che le ossa abbiano riposato nelle tombe.
Errano per cento anni e volano attorno a queste

rive;
poi, infine, ammessi, rivedono gli stagni desiderati.

 

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