Eneide, Libro 6, traduzione vv. 331-383 - Studentville

Eneide, Libro 6, traduzione vv. 331-383

Constitit Anchisa satus et

vestigia pressit
multa putans sortemque animo miseratus iniquam.
cernit ibi maestos et mortis honore carentis

Leucaspim et Lyciae ductorem classis Oronten,
quos simul a Troia ventosa per aequora vectos
obruit Auster, aqua

involvens navemque virosque.
Ecce gubernator sese Palinurus agebat,
qui Libyco nuper cursu, dum sidera servat,

exciderat puppi mediis effusus in undis.
hunc ubi vix multa maestum cognovit in umbra,
sic prior adloquitur:

‘quis te, Palinure, deorum
eripuit nobis medioque sub aequore mersit?
dic age. namque mihi, fallax haud ante

repertus,
hoc uno responso animum delusit Apollo,
qui fore te ponto incolumem finisque canebat
venturum Ausonios.

en haec promissa fides est?’
ille autem: ‘neque te Phoebi cortina fefellit,
dux Anchisiade, nec me deus aequore

mersit.
namque gubernaclum multa vi forte revulsum,
cui datus haerebam custos cursusque regebam,
praecipitans traxi

mecum. maria aspera iuro
non ullum pro me tantum cepisse timorem,
quam tua ne spoliata armis, excussa magistro,

deficeret tantis navis surgentibus undis.
tris Notus hibernas immensa per aequora noctes
vexit me violentus aqua;

vix lumine quarto
prospexi Italiam summa sublimis ab unda.
paulatim adnabam terrae; iam tuta tenebam,
ni gens

crudelis madida cum veste gravatum
prensantemque uncis manibus capita aspera montis
ferro invasisset praedamque ignara

putasset.
nunc me fluctus habet versantque in litore venti.
quod te per caeli iucundum lumen et auras,
per

genitorem oro, per spes surgentis Iuli,
eripe me his, invicte, malis: aut tu mihi terram
inice, namque potes, portusque

require Velinos;
aut tu, si qua via est, si quam tibi diva creatrix
ostendit neque enim, credo, sine numine divum

flumina tanta paras Stygiamque innare paludem,
da dextram misero et tecum me tolle per undas,
sedibus ut saltem

placidis in morte quiescam.’
talia fatus erat coepit cum talia vates:
‘unde haec, o Palinure, tibi tam dira

cupido?
tu Stygias inhumatus aquas amnemque severum
Eumenidum aspicies, ripamve iniussus adibis?
desine fata deum

flecti sperare precando,
sed cape dicta memor, duri solacia casus.
nam tua finitimi, longe lateque per urbes

prodigiis acti caelestibus, ossa piabunt
et statuent tumulum et tumulo sollemnia mittent,
aeternumque locus

Palinuri nomen habebit.’
his dictis curae emotae pulsusque parumper
corde dolor tristi; gaudet cognomine terra.

Versione Tradotta

Il figlio di Anchise si fermò e bloccò il passo,
pensando molto, commiserando l’iniqua

sorte nell’animo.
Vede lì mesti e mancanti dell’onore della morte
Leucapi ed Oronte, capo della flotta

Licia,
che l’Austro insieme portati da Troia per le acque ventose
sommerse, mentre l’acqua travolgeva nave ed

uomini.
Ecco avanzava il nocchiero Plinuro,
che da poco nel viaggio libico, mentre osservava le stelle,
era caduto da

poppa, sbalzato in mezzo alle onde.
Quando a stento lo riconobbe triste tra le grandi ombre,
così per primo parla: ”

O Palinuro, chi degli dei
ti strappò a noi e ti immerse nel mezzo del mare?
Orsù dimmi. Infatti Apollo, mai prima

scoperto
falso, ha illuso l’animo con questo solo responso
che profetava saresti stato incolume dal mare e saresti

giunto
nelle terre ausonie: Questa è dunque la fede promessa?
Ma lui: “L’oracolo di Febo non ti ingannò:
capo

Anchisiade, né un dio mi sommerse nell’acqua:
infatti precipitando, trassi con me il timone, divelto per caso
a gran

forza, a cui affidato come custode, ero attaccato
e guidavo la rotta. Giuro per i mari crudeli
che non ebbi alcun timore

solo per me, quanto
che la tua nave spogliata delle difese, privata della guida,
venisse meno, poiché s’alzavano sì

grandi onde.
Tre volte per tre fredde notti Noto mi trascinò violento nell’acqua
per l’immenso mare: ma al quarto

giorno vidi appena
l’Italia, alto sulla cresta dell’onda.
Un poco mi avvicinavo alla terra, ormai avevo la

sicurezza,
se un popolo crudele non m’avesse assalito col ferro, io appesantito,
con la veste madida, mentre afferravo

con mani adunche
le sporgenze aspre del monte e non m’avesse creduto una preda.
Ora il flutto mi tiene ed i

venti mi battono sul lido.
Prego te per la bella luce del cielo e per l’aria,
per il padre, per la speranza di Iulo

che cresce:
strappami, o invitto, dai mali: oppure buttami sopra
della terra ( lo puoi!) e cerca i porti velini:
o se

c’è una via, se la dea madre te la
indica ( non senza aiuto degli dei, credo,
ti prepari ad attraversare sì grandi

fiumi e la palude Stigia)
concedi la destra ad un misero e con te portami tra l’onde,
perché almeno io riposi nella

morte in placidi luoghi”:
Così aveva parlato, quando la profetessa cominciò così:
“Donde ha tu, o Palinuro, questa così

terribile voglia?
Tu insepolto vedrai le acque Stigie ed il severo
fiume delle Eumenidi o senza ordine raggiungerai la

riva?
Smetti di sperare che i fati degli dei si pieghino, pregando,.
Ma memore prendi i responsi, sollievo della sorte

crudele:
i vicini spinti per le città in lungo ed in largo dai prodigi celesti,
espieranno le tue ossa, costruiranno una

tomba
e sulla tomba porranno vittime,
il luogo avrà l’eterno nome di Palinuro.
A queste parole gli affanni furono

allontanati ed un poco
cacciato il dolore dal triste cuore: la terra gioisce per il nome.

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