Constitit Anchisa satus et
vestigia pressit
multa putans sortemque animo miseratus iniquam.
cernit ibi maestos et mortis honore carentis
Leucaspim et Lyciae ductorem classis Oronten,
quos simul a Troia ventosa per aequora vectos
obruit Auster, aqua
involvens navemque virosque.
Ecce gubernator sese Palinurus agebat,
qui Libyco nuper cursu, dum sidera servat,
exciderat puppi mediis effusus in undis.
hunc ubi vix multa maestum cognovit in umbra,
sic prior adloquitur:
‘quis te, Palinure, deorum
eripuit nobis medioque sub aequore mersit?
dic age. namque mihi, fallax haud ante
repertus,
hoc uno responso animum delusit Apollo,
qui fore te ponto incolumem finisque canebat
venturum Ausonios.
en haec promissa fides est?’
ille autem: ‘neque te Phoebi cortina fefellit,
dux Anchisiade, nec me deus aequore
mersit.
namque gubernaclum multa vi forte revulsum,
cui datus haerebam custos cursusque regebam,
praecipitans traxi
mecum. maria aspera iuro
non ullum pro me tantum cepisse timorem,
quam tua ne spoliata armis, excussa magistro,
deficeret tantis navis surgentibus undis.
tris Notus hibernas immensa per aequora noctes
vexit me violentus aqua;
vix lumine quarto
prospexi Italiam summa sublimis ab unda.
paulatim adnabam terrae; iam tuta tenebam,
ni gens
crudelis madida cum veste gravatum
prensantemque uncis manibus capita aspera montis
ferro invasisset praedamque ignara
putasset.
nunc me fluctus habet versantque in litore venti.
quod te per caeli iucundum lumen et auras,
per
genitorem oro, per spes surgentis Iuli,
eripe me his, invicte, malis: aut tu mihi terram
inice, namque potes, portusque
require Velinos;
aut tu, si qua via est, si quam tibi diva creatrix
ostendit neque enim, credo, sine numine divum
flumina tanta paras Stygiamque innare paludem,
da dextram misero et tecum me tolle per undas,
sedibus ut saltem
placidis in morte quiescam.’
talia fatus erat coepit cum talia vates:
‘unde haec, o Palinure, tibi tam dira
cupido?
tu Stygias inhumatus aquas amnemque severum
Eumenidum aspicies, ripamve iniussus adibis?
desine fata deum
flecti sperare precando,
sed cape dicta memor, duri solacia casus.
nam tua finitimi, longe lateque per urbes
prodigiis acti caelestibus, ossa piabunt
et statuent tumulum et tumulo sollemnia mittent,
aeternumque locus
Palinuri nomen habebit.’
his dictis curae emotae pulsusque parumper
corde dolor tristi; gaudet cognomine terra.
Versione Tradotta
Il figlio di Anchise si fermò e bloccò il passo,
pensando molto, commiserando l’iniqua
sorte nell’animo.
Vede lì mesti e mancanti dell’onore della morte
Leucapi ed Oronte, capo della flotta
Licia,
che l’Austro insieme portati da Troia per le acque ventose
sommerse, mentre l’acqua travolgeva nave ed
uomini.
Ecco avanzava il nocchiero Plinuro,
che da poco nel viaggio libico, mentre osservava le stelle,
era caduto da
poppa, sbalzato in mezzo alle onde.
Quando a stento lo riconobbe triste tra le grandi ombre,
così per primo parla: ”
O Palinuro, chi degli dei
ti strappò a noi e ti immerse nel mezzo del mare?
Orsù dimmi. Infatti Apollo, mai prima
scoperto
falso, ha illuso l’animo con questo solo responso
che profetava saresti stato incolume dal mare e saresti
giunto
nelle terre ausonie: Questa è dunque la fede promessa?
Ma lui: “L’oracolo di Febo non ti ingannò:
capo
Anchisiade, né un dio mi sommerse nell’acqua:
infatti precipitando, trassi con me il timone, divelto per caso
a gran
forza, a cui affidato come custode, ero attaccato
e guidavo la rotta. Giuro per i mari crudeli
che non ebbi alcun timore
solo per me, quanto
che la tua nave spogliata delle difese, privata della guida,
venisse meno, poiché s’alzavano sì
grandi onde.
Tre volte per tre fredde notti Noto mi trascinò violento nell’acqua
per l’immenso mare: ma al quarto
giorno vidi appena
l’Italia, alto sulla cresta dell’onda.
Un poco mi avvicinavo alla terra, ormai avevo la
sicurezza,
se un popolo crudele non m’avesse assalito col ferro, io appesantito,
con la veste madida, mentre afferravo
con mani adunche
le sporgenze aspre del monte e non m’avesse creduto una preda.
Ora il flutto mi tiene ed i
venti mi battono sul lido.
Prego te per la bella luce del cielo e per l’aria,
per il padre, per la speranza di Iulo
che cresce:
strappami, o invitto, dai mali: oppure buttami sopra
della terra ( lo puoi!) e cerca i porti velini:
o se
c’è una via, se la dea madre te la
indica ( non senza aiuto degli dei, credo,
ti prepari ad attraversare sì grandi
fiumi e la palude Stigia)
concedi la destra ad un misero e con te portami tra l’onde,
perché almeno io riposi nella
morte in placidi luoghi”:
Così aveva parlato, quando la profetessa cominciò così:
“Donde ha tu, o Palinuro, questa così
terribile voglia?
Tu insepolto vedrai le acque Stigie ed il severo
fiume delle Eumenidi o senza ordine raggiungerai la
riva?
Smetti di sperare che i fati degli dei si pieghino, pregando,.
Ma memore prendi i responsi, sollievo della sorte
crudele:
i vicini spinti per le città in lungo ed in largo dai prodigi celesti,
espieranno le tue ossa, costruiranno una
tomba
e sulla tomba porranno vittime,
il luogo avrà l’eterno nome di Palinuro.
A queste parole gli affanni furono
allontanati ed un poco
cacciato il dolore dal triste cuore: la terra gioisce per il nome.
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