Respicit Aeneas subito et sub rupe sinistra
moenia lata
videt triplici circumdata muro,
quae rapidus flammis ambit torrentibus amnis,
Tartareus Phlegethon, torquetque sonantia
saxa.
porta adversa ingens solidoque adamante columnae,
vis ut nulla virum, non ipsi exscindere bello
caelicolae
valeant; stat ferrea turris ad auras,
Tisiphoneque sedens palla succincta cruenta
vestibulum exsomnis servat noctesque
diesque.
hinc exaudiri gemitus et saeva sonare
verbera, tum stridor ferri tractaeque catenae.
constitit Aeneas
strepitumque exterritus hausit.
‘quae scelerum facies? o virgo, effare; quibusve
urgentur poenis? quis tantus
plangor ad auras?’
tum vates sic orsa loqui: ‘dux inclute Teucrum,
nulli fas casto sceleratum insistere limen;
sed me cum lucis Hecate praefecit Avernis,
ipsa deum poenas docuit perque omnia duxit.
Cnosius haec Rhadamanthus
habet durissima regna
castigatque auditque dolos subigitque fateri
quae quis apud superos furto laetatus inani
distulit in seram commissa piacula mortem.
continuo sontis ultrix accincta flagello
Tisiphone quatit insultans,
torvosque sinistra
intentans anguis vocat agmina saeva sororum.
tum demum horrisono stridentes cardine sacrae
panduntur portae. cernis custodia qualis
vestibulo sedeat, facies quae limina servet?
quinquaginta atris immanis
hiatibus Hydra
saevior intus habet sedem. tum Tartarus ipse
bis patet in praeceps tantum tenditque sub umbras
quantus ad aetherium caeli suspectus Olympum.
hic genus antiquum Terrae, Titania pubes,
fulmine deiecti
fundo volvuntur in imo.
hic et Aloidas geminos immania vidi
corpora, qui manibus magnum rescindere caelum
adgressi
superisque Iovem detrudere regnis.
vidi et crudelis dantem Salmonea poenas,
dum flammas Iovis et sonitus imitatur
Olympi.
quattuor hic invectus equis et lampada quassans
per Graium populos mediaeque per Elidis urbem
ibat ovans,
divumque sibi poscebat honorem,
demens, qui nimbos et non imitabile fulmen
aere et cornipedum pulsu simularet equorum.
at pater omnipotens densa inter nubila telum
contorsit, non ille faces nec fumea taedis
lumina, praecipitemque
immani turbine adegit.
nec non et Tityon, Terrae omniparentis alumnum,
cernere erat, per tota novem cui iugera corpus
porrigitur, rostroque immanis vultur obunco
immortale iecur tondens fecundaque poenis
viscera rimaturque epulis
habitatque sub alto
pectore, nec fibris requies datur ulla renatis.
quid memorem Lapithas, Ixiona Pirithoumque?
quos super atra silex iam iam lapsura cadentique
imminet adsimilis; lucent genialibus altis
aurea fulcra toris,
epulaeque ante ora paratae
regifico luxu; Furiarum maxima iuxta
accubat et manibus prohibet contingere mensas,
exsurgitque facem attollens atque intonat ore.
hic, quibus invisi fratres, dum vita manebat,
pulsatusve parens et
fraus innexa clienti,
aut qui divitiis soli incubuere repertis
nec partem posuere suis quae maxima turba est,
quique ob adulterium caesi, quique arma secuti
impia nec veriti dominorum fallere dextras,
inclusi poenam
exspectant. ne quaere doceri
quam poenam, aut quae forma viros fortunave mersit.
saxum ingens volvunt alii, radiisque
rotarum
districti pendent; sedet aeternumque sedebit
infelix Theseus, Phlegyasque miserrimus omnis
admonet et magna
testatur voce per umbras:
“discite iustitiam moniti et non temnere divos.”
vendidit hic auro patriam dominumque
potentem
imposuit; fixit leges pretio atque refixit;
hic thalamum invasit natae vetitosque hymenaeos:
ausi omnes
immane nefas ausoque potiti.
non, mihi si linguae centum sint oraque centum,
ferrea vox, omnis scelerum comprendere
formas,
omnia poenarum percurrere nomina possim.’
Haec ubi dicta dedit Phoebi longaeva sacerdos,
‘sed iam
age, carpe viam et susceptum perfice munus;
acceleremus’ ait; ‘Cyclopum educta caminis
moenia conspicio atque
adverso fornice portas,
haec ubi nos praecepta iubent deponere dona.’
dixerat et pariter gressi per opaca viarum
corripiunt spatium medium foribusque propinquant.
occupat Aeneas aditum corpusque recenti
spargit aqua ramumque
adverso in limine figit.
Versione tradotta
Enea osserva: ed ecco
vede a sinistra sotto una rupe
ampi bastioni, circondati da triplice muto
che il tartare fiume Flegetonte
attornia
Con fiamme incandescenti e trascina massi risonanti.
La porta di fronte, enorme, le colonne di duro
acciaio,
che nessuna forza di uomini, né gli stessi celesti
possano rompere col ferro: una torre di ferro s'erge
nell'aria,
e Tisifone, sedendo, avvolta in cruento mantello,
insonne controlla il vestibolo notte e giorno.
Qui si
sentivano gemiti e frustate crudeli
risuonavano, poi stridore di ferro e catene strascinate.
Si fermò Enea ed atterrito
dallo strepito esitò:
che spettacolo di delitti?vergine, parla; da che pene
sono straziati?Che pianto sì grande
nell'aria?
Allora la profetessa così cominciò a dire: "Illustre guida dei Teucri,
a nessun giusto è lecito stare sulla
soglia scellerata;
ma quando Ecate mi incaricò dei boschi dell'Averno,
lei stessa narrò le pene degli dei e mi
condusse dappertutto.
Radamanto di Cnosso tiene questi terribilissimi regni,
castiga, sente gli inganni e costringe a
confessare
ciò che ognuno tra i vivi, contento d'un vano furto,
differì alla morte lontana l'espiazione
dovuta.
Subito, balzando, Tisifone vendicatrice, munita di frusta, scuote
ed incalza i colpevoli, scagliando con la
sinistra torve
serpi e chiama le terribili schiere delle sorelle.
Poi finalmente le sacre porte stridendo sul
cardine
dal suono orrendo si aprono. Vedi quale guardia
sieda nel vestibolo? Che mostro controlli la soglia?
L'Idra
dalle enormi cinquanta gole nere, troppo crudele,
occupa il luogo dentro. Poi Tartaro stesso
due volte si apre a
precipizio e tanto s'addentra tra le ombre
quanto l'altezza del cielo rispetto al celeste Olimpo.
Qui l'antica
prole della Terra, il popolo titanio,
cacciati da un fulmine si rotolano nel fondo dell'abisso.
Qui pure vidi i
gemelli Aloidi, corpi
giganteschi, che tentarono con le mani di squarciare
il grande cielo e cacciare Giove dai regni
celesti.
Vidi anche Salmoneo che espiava pene crudeli:
mentre imita le fiamme di Giove ed i rimbombi
dell'Olimpo,
lui trascinato da quattro cavalli e scuotendo una fiaccola
attraverso i popoli dei Grai e la città del
centro dell'Elide,
andava esultando e si arrogava il culto degli dei:
pazzo! Tanto da simulare i nembi ed il fulmine
inimitabile
col bronzo e col galoppo dei cavalli zoccolati.
Ma il padre onnipotente scagliò tra le dense nubi
un'arma,
non fiaccole e neppure luci fumose per fiaccole
e lo gettò a precipizio in un gigantesco vortice.
C'era
pure da vedere Tizio, figlio della Terra generatrice
universale, il cui corpo si stende per nove iugeri
interi: un
gigantesco avvoltoio rodendo col becco adunco
il fegato immortale, viscere feconde per le pene, lo scava
per il pasto ed
abita sotto l'alto petto:
e non viene dato alcun riposo alle fibre rinate.
Perché ricordare i Lpiti, Issione,
Piritoo?
Sopra di essi una nera roccia che quasi quasi sta per crollare,
non dissimile da una che cade: aurei sostegni
splendono
per gli alti letti festosi e sono pronti davanti alle bocche i pranzi
con lusso regale; vicino la maggiore
delle Furie
vigila e e vieta di toccare con le mani le mense si alza reggendo
una fiamma e tuona con la bocca.
Qui,
quelli che odiarono i fratelli, mentre la vita scorreva,
o cacciato un genitore e si intentò una frode al povero
oppure
quelli che da egoisti si buttarono su ricchezze
trovate, ma non le spartirono: questa folla è immensa,
quelli uccisi per
adulterio, che seguirono
le empie armi non temendo di tradire le destre dei padroni,
rinchiusi aspettano la pena. Non
chieder di sapere
quale pena e che forma o sorte travolse gli uomini.
Alcuni rotolano un masso enorme, altri
pendono
legati a raggi di ruote; siede e siederà in eterno
l'infelice Teseo ed il miserrimo Flegias ammonisce
tutti
ed a gran voce dichiara tra le ombre:
"Ammoniti imparate la giustizia e non disprezzare gli dei".
Questi ha venduto la
patria per denaro ed impose un potente
tiranno, fece e disfece le leggi dietro compenso;
costui occupò il letto della
figlia, nozze proibite:
tutti osando enorme sacrilegio ed ottennero quanto osato.
No, se avessi cento lingue e cento
bocche,
una voce di ferro, non potrei abbracciare tutte le forme
di delitti, enumerare tutti i nomi delle pene."
Come
l'anziana sacerdotessa di Febo espresse queste parole,
"Ma orsù, prendi la via e compi l'offerta
iniziata;
affrettiamoci disse. Vedo le mura costruite dalle officine
dei Ciclopi e le porte con l'arco davanti,
dove gli ordini ci obbligano di deporre questi doni":
Aveva detto ed avanzando insieme per il buio delle strade
completano la distanza frapposta e s'avvicinano ai battenti
Enea occupa l'ingresso ed asperge di acqua
fresca
il corpo ed attacca il ramo sulla soglia davanti
- Letteratura Latina
- Libro 6
- Virgilio