Interea videt Aeneas in valle reducta
seclusum nemus et virgulta sonantia silvae,
Lethaeumque domos placidas qui praenatat amnem.
hunc circum innumerae gentes populique volabant:
ac veluti in
pratis ubi apes aestate serena
floribus insidunt variis et candida circum
lilia funduntur, strepit omnis murmure
campus.
horrescit visu subito causasque requirit
inscius Aeneas, quae sint ea flumina porro,
quive viri tanto
complerint agmine ripas.
tum pater Anchises: ‘animae, quibus altera fato
corpora debentur, Lethaei ad fluminis undam
securos latices et longa oblivia potant.
has equidem memorare tibi atque ostendere coram
iampridem, hanc prolem
cupio enumerare meorum,
quo magis Italia mecum laetere reperta.’
‘o pater, anne aliquas ad caelum hinc ire
putandum est
sublimis animas iterumque ad tarda reverti
corpora? quae lucis miseris tam dira cupido?’
‘dicam equidem nec te suspensum, nate, tenebo’
suscipit Anchises atque ordine singula pandit.
‘Principio
caelum ac terras camposque liquentis
lucentemque globum lunae Titaniaque astra
spiritus intus alit, totamque infusa per
artus
mens agitat molem et magno se corpore miscet.
inde hominum pecudumque genus vitaeque volantum
et quae
marmoreo fert monstra sub aequore pontus.
igneus est ollis vigor et caelestis origo
seminibus, quantum non noxia
corpora tardant
terrenique hebetant artus moribundaque membra.
hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque, neque auras
dispiciunt clausae tenebris et carcere caeco.
quin et supremo cum lumine vita reliquit,
non tamen omne malum
miseris nec funditus omnes
corporeae excedunt pestes, penitusque necesse est
multa diu concreta modis inolescere miris.
ergo exercentur poenis veterumque malorum
supplicia expendunt: aliae panduntur inanes
suspensae ad ventos, aliis
sub gurgite vasto
infectum eluitur scelus aut exuritur igni:
quisque suos patimur manis. exinde per amplum
mittimur
Elysium et pauci laeta arva tenemus,
donec longa dies perfecto temporis orbe
concretam exemit labem, purumque relinquit
aetherium sensum atque aurai simplicis ignem.
has omnis, ubi mille rotam volvere per annos,
Lethaeum ad fluvium
deus evocat agmine magno,
scilicet immemores supera ut convexa revisant
rursus, et incipiant in corpora velle
reverti.’
Dixerat Anchises natumque unaque Sibyllam
conventus trahit in medios turbamque sonantem,
et tumulum
capit unde omnis longo ordine posset
adversos legere et venientum discere vultus.
Versione tradotta
Intanto
Enea vede nella valle solitaria
un bosco appartato ed i rami della selva risuonanti
ed il fiume Leteo che bagna le
tranquille dimore.
Attorno ad esso volavano innumerevoli popoli e stirpi:
e come nei prati quando le api nella serena
estete
si posano sui fiori colorati e si riversano attorno
ai candidi gigli: tutta la pianura echeggia per il
mormorio.
Rabbrividisce per la visione improvvisa, l'ignaro Enea
ne domanda i motivi: quali siano poi quelle
correnti,
o quali uomini abbiano riempito le rive con sì grande schiera.
Allora il padre Anchise: "Le anime, a cui per
fato
sono dovuti nuovi corpi, presso l'onda del fiume Leteo
bevono liquidi sicuri e lunghi oblii.
Senz'altro
desidero ricordarti e mostrare apertamente
e da tempo enumerare questa prole dei miei,
perché con me gioisca di più,
trovata l'Italia."
"O padre, bisogna pensare che alcune anime di qui
vadano leggere al cielo e di nuovo tornino ai
corpi
pesanti? Quale sì crudele desiderio di luce per le misere?"
"Parlerò certamente e non ti terrò sospeso,
figlio"
riprende Anchise e chiarisce con ordine cosa per cosa.
"In principio lo spirito dentro anima il cielo, le
terre,
le limpide pianure, il globo lucente della luna,
le stelle Titanie e l'anima diffusa per le membra
smuove
tutta la mole e s'unisce al grande corpo.
Di qui la specie umana ed animale, le vite degli uccelli,
ed i mostri che
il mare offre sotto l'onda marmorea.
Tali semi hanno vigore igneo ed origine celeste,
fin quando non li ritardino i
corpi nocive li
inebetiscano organi di terra e membra che devono morire.
Perciò temono e vogliono, soffrono e godono,
ma
non vedono i cieli, chiuse in tenebre e carcere cieco.
Anzi quando la vita se n'è andata con l'ultima
luce,
tuttavia non tutto il male né tutte le malattie fisiche
se ne vanno completamente dai miseri: è necessario
che
molte cose troppo indurite si sviluppino in strani modi.
Orbene sono travagliate dalle pene e pagano i
tormenti
dei mali passati: alcune vuote si aprono
sospese ai venti; per altre in un vasto gorgo
il peccato
impregnato viene lavato o bruciato dal fuoco:
tutti soffriamo i propri castighi: di lì siamo mandati
nell'ampio Elisio
ed in pochi otteniamo i campi felici,
finché un lungo giorno, compiutosi il corso del tempo,
ha tolto la macchia
impregnata e lascia puro
il senso celeste ed il fuoco dal semplice soffio.
Tutte queste le chiama il dio, quando hanno
girato la ruota
mille anni, presso il fiume Leteo in gran numero,
perché poi immemori rivedano il mondo di sopra
e di
nuovo comincino a voler ritornare nei corpi.
Aveva parlato Anchise ed attira il figlio ed anche la Sibilla
in mezzo a
gruppi e tra una folla che grida,
raggiunge un'altura, da cui potesse vedere tutti davanti
in lunga fila e riconoscere
i volti dei passanti
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