Huc geminas nunc flecte acies, hanc aspice gentem
Romanosque tuos. hic Caesar et omnis
Iuli
progenies magnum caeli ventura sub axem.
hic vir, hic est, tibi quem promitti saepius audis,
Augustus Caesar,
divi genus, aurea condet
saecula qui rursus Latio regnata per arva
Saturno quondam, super et Garamantas et Indos
proferet imperium; iacet extra sidera tellus,
extra anni solisque vias, ubi caelifer Atlas
axem umero torquet
stellis ardentibus aptum.
huius in adventum iam nunc et Caspia regna
responsis horrent divum et Maeotia tellus,
et
septemgemini turbant trepida ostia Nili.
nec vero Alcides tantum telluris obivit,
fixerit aeripedem cervam licet, aut
Erymanthi
pacarit nemora et Lernam tremefecerit arcu;
nec qui pampineis victor iuga flectit habenis
Liber, agens
celso Nysae de vertice tigris.
et dubitamus adhuc virtutem extendere factis,
aut metus Ausonia prohibet consistere
terra?
Versione Tradotta dell’Eneide Libro 6, vv. 788-807
Ora volgi qui i tuoi due
occhi: osserva questo popolo,
i tuoi Romani.Qui c’è Cesare e tutta la stirpe
di Iulo, che verrà sotto l’asse
del cielo:
Qui c’è l’eroe, questi, che più volte ti senti promesso,
Cesare Augusto, stirpe del dio, che di nuovo
sul Lazio
fonderà le età d’oro , per campi un tempo governati
da Saturno, porterà il regno sopra i Garamanti
e gli
Indi: il territorio sta fuori degli astri,
fuori dalle vie dell’anno e del sole, dove Atlante, portatore del
cielo,
regge sulla spalla l’asse ornato di stelle splendenti.
Già ora per il suo arrivo i regni del Caspio
temono
per i responsi degli dei, la terra Meozia
e le trepidanti foci del settemplice Nilo si turbano.
Neppure
l’Alcide affrontò tanta terra
anche se trafisse la cerva dagli zoccoli di bronzo e se pacificò
i boschi d’Erimanto
e se atterrì Lerna con l’arco:
ma neppure Libero, che vincitore guida le pariglie con briglie
di pampini, spingendo le
tigri dall’alta cima di Nisa.
E ancora dubitiamo di aumentare l’eroismo con le azioni
o la paura impedisce di
fermarci in terra Ausonia?
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