Atque hic Aeneas una namque ire videbat
egregium forma
iuvenem et fulgentibus armis,
sed frons laeta parum et deiecto lumina vultu
‘quis, pater, ille, virum qui sic
comitatur euntem?
filius, anne aliquis magna de stirpe nepotum?
qui strepitus circa comitum. quantum instar in ipso.
sed nox atra caput tristi circumvolat umbra.’
tum pater Anchises lacrimis ingressus obortis:
‘o gnate,
ingentem luctum ne quaere tuorum;
ostendent terris hunc tantum fata nec ultra
esse sinent. nimium vobis Romana propago
visa potens, superi, propria haec si dona fuissent.
quantos ille virum magnam Mavortis ad urbem
campus aget
gemitus. vel quae, Tiberine, videbis
funera, cum tumulum praeterlabere recentem.
nec puer Iliaca quisquam de gente
Latinos
in tantum spe tollet avos, nec Romula quondam
ullo se tantum tellus iactabit alumno.
heu pietas, heu prisca
fides invictaque bello
dextera. non illi se quisquam impune tulisset
obvius armato, seu cum pedes iret in hostem
seu spumantis equi foderet calcaribus armos.
heu, miserande puer, si qua fata aspera rumpas,
tu Marcellus eris.
manibus date lilia plenis
purpureos spargam flores animamque nepotis
his saltem accumulem donis, et fungar inani
munere.’ sic tota passim regione vagantur
aeris in campis latis atque omnia lustrant.
Versione Tradotta
Ma qui Enea (infatti vedeva
insieme procedere
un giovane, bello d’aspetto e splendente nelle armi,
ma poco lieta la fronte, gli occhi col
volto abbassato):
“Chi è, padre, colui che accompagna l’eroe che avanza?
Il figlio o qualcuno dei nipoti della grande
stirpe?
Che fervore di compagni, attorno! Quanta maestà in lui!
Ma una nera notte attornia il capo di triste
ombra”.
Allora il padre Anchise, spuntate le lacrime, iniziò:
“O figlio, con chiedere l’enorme lutto dei tuoi:
i
fatti lo mostreranno soltanto in terra né lasceranno
che resti di più. O celesti, la stirpe romana vi sembrò
troppo
potente se questi doni fossero stati suoi.
Quanti gemiti d’eroi provocherà quella piana presso
la grande città di
Marte! Quali funerali, o Tevere,
vedrai, quando scorrerai oltre la tomba fresca.
Nessun ragazzo della stirpe di Ilio
innalzerà a tanto
per speranza gli avi latini, né la terra di Romolo
si glorierà mai tanto di alcun figlio.
Oh pietà,
oh antica fede, destra invincibile
in guerra. A lui armato, nessuno si sarebbe recato contro
impunemente, sia andando
contro il nemico da fante, sia che calcasse
con gli speroni i fianchi di spumeggiante cavallo.
Ohi, ragazzo degno di
pianto: se mai rompessi i tuoi fati,
tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani,
che io sparga fiori purpurei e
colmi l’anima del nipote
almeno con questi doni e faccia un inutile regalo”.
Così camminano qua e là per tutta la
regione
in vaste pianure ariose ed osservano tutto.
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