Eneide, Libro 6, traduzione vv. 860-887 - Studentville

Eneide, Libro 6, traduzione vv. 860-887

Atque hic Aeneas una namque ire videbat
egregium forma

iuvenem et fulgentibus armis,
sed frons laeta parum et deiecto lumina vultu
‘quis, pater, ille, virum qui sic

comitatur euntem?
filius, anne aliquis magna de stirpe nepotum?
qui strepitus circa comitum. quantum instar in ipso.

sed nox atra caput tristi circumvolat umbra.’
tum pater Anchises lacrimis ingressus obortis:
‘o gnate,

ingentem luctum ne quaere tuorum;
ostendent terris hunc tantum fata nec ultra
esse sinent. nimium vobis Romana propago

visa potens, superi, propria haec si dona fuissent.
quantos ille virum magnam Mavortis ad urbem
campus aget

gemitus. vel quae, Tiberine, videbis
funera, cum tumulum praeterlabere recentem.
nec puer Iliaca quisquam de gente

Latinos
in tantum spe tollet avos, nec Romula quondam
ullo se tantum tellus iactabit alumno.
heu pietas, heu prisca

fides invictaque bello
dextera. non illi se quisquam impune tulisset
obvius armato, seu cum pedes iret in hostem

seu spumantis equi foderet calcaribus armos.
heu, miserande puer, si qua fata aspera rumpas,
tu Marcellus eris.

manibus date lilia plenis
purpureos spargam flores animamque nepotis
his saltem accumulem donis, et fungar inani

munere.’ sic tota passim regione vagantur
aeris in campis latis atque omnia lustrant.

Versione Tradotta

Ma qui Enea (infatti vedeva

insieme procedere
un giovane, bello d’aspetto e splendente nelle armi,
ma poco lieta la fronte, gli occhi col

volto abbassato):
“Chi è, padre, colui che accompagna l’eroe che avanza?
Il figlio o qualcuno dei nipoti della grande

stirpe?
Che fervore di compagni, attorno! Quanta maestà in lui!
Ma una nera notte attornia il capo di triste

ombra”.
Allora il padre Anchise, spuntate le lacrime, iniziò:
“O figlio, con chiedere l’enorme lutto dei tuoi:
i

fatti lo mostreranno soltanto in terra né lasceranno
che resti di più. O celesti, la stirpe romana vi sembrò
troppo

potente se questi doni fossero stati suoi.
Quanti gemiti d’eroi provocherà quella piana presso
la grande città di

Marte! Quali funerali, o Tevere,
vedrai, quando scorrerai oltre la tomba fresca.
Nessun ragazzo della stirpe di Ilio

innalzerà a tanto
per speranza gli avi latini, né la terra di Romolo
si glorierà mai tanto di alcun figlio.
Oh pietà,

oh antica fede, destra invincibile
in guerra. A lui armato, nessuno si sarebbe recato contro
impunemente, sia andando

contro il nemico da fante, sia che calcasse
con gli speroni i fianchi di spumeggiante cavallo.
Ohi, ragazzo degno di

pianto: se mai rompessi i tuoi fati,
tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani,
che io sparga fiori purpurei e

colmi l’anima del nipote
almeno con questi doni e faccia un inutile regalo”.
Così camminano qua e là per tutta la

regione
in vaste pianure ariose ed osservano tutto.

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