Vercingetorix, cum ad suos redisset, proditionis insimulatus, quod castra propius Romanos movisset, quod cum omni equitatu
discessisset, quod sine imperio tantas copias reliquisset, quod eius discessu Romani tanta opportunitate et celeritate
venissent; – non haec omnia fortuito aut sine consilio accidere potuisse; regnum illum Galliae malle Caesaris concessu quam
ipsorum habere beneficio – tali modo accusatus ad haec respondit: quod castra movisset, factum inopia pabuli etiam ipsis
hortantibus; quod propius Romanos accessisset, persuasum loci opportunitate, qui se ipse sine munitione defenderet; equitum
vero operam neque in loco palustri desiderari debuisse et illic fuisse utilem quo sint profecti. Summam imperii se consulto
nulli discedentem tradidisse, ne is multitudinis studio ad dimicandum impelleretur; cui rei propter animi mollitiem studere
omnes videret, quod diutius laborem ferre non possent. Romani si casu intervenerint, Fortunae, si alicuius indicio vocati, huic
habendam gratiam, quod et paucitatem eorum ex loco superiore cognoscere et virtutem despicere potuerint, qui dimicare non ausi
turpiter se in castra receperint. Imperium se a Caesare per proditionem nullum desiderare quod habere victoria posset, quae iam
esset sibi atque omnibus Gallis explorata; quin etiam ipsis remitteret, si sibi magis honorem tribuere quam ab se salutem
accipere videantur. ‘Haec ut intellegatis’ inquit ‘a me sincere pronuntiari, audite Romanos milites.’ Producit
servos, quos in pabulatione paucis ante diebus exceperat et fame vinculisque excruciaverat. Hi iam ante edocti quae interrogati
pronuntiarent, milites se esse legionarios dicunt; fame atque inopia adductos clam ex castris exisse, si quid frumenti aut
pecoris in agris reperire possent; simili omnem exercitum inopia premi nec iam vires sufficere cuiusquam nec ferre operis
laborem posse; itaque statuisse imperatorem, si nihil in oppugnatione oppidi profecisset, triduo exercitum deducere.
‘Haec’ inquit ‘a me’ Vercingetorix ‘beneficia habetis, quem proditionis insimulatis; cuius opera sine vestro
sanguine tantum exercitum victorem fame paene consumptum videtis; quem turpiter se ex hac fuga recipientem ne qua civitas suis
finibus recipiat, a me provisum est.’
Versione tradotta
Vercingetorige, essendo
ritornato tra i suoi, accusato di tradimento, perché aveva tolto gli accampamenti troppo vicino ai Romani, perché s’era
allontanato con tutta la cavalleria, perché aveva lasciato senza comando così grandi truppe, perché con la sua partenza i
Romani erano giunti con così grande tempestività e velocità; – (che) tutte queste cose non erano potute capitare a caso o
senza un piano; che lui preferiva il regno della Gallia per concessione di Cesare che col loro favore – in tale modo accusato,
rispose a queste cose: che avesse levato gli accampamenti, era accaduto per mancanza di foraggio mentre anche loro lo
esortavano; che si fosse avvicinato troppo ai Romani, era stato persuaso dalla opportunità del luogo, che si difendeva da sé
senza fortificazione; inoltre l’opera dei cavalieri non doveva essere richiesta in un luogo paludoso ed era stata utile là
dove erano andati. Quando partiva non aveva dato il supremo comando a nessuno di proposito, perché egli non fosse spinto dalla
voglia della moltitudine a combattere; vedendo che tutti miravano a quella cosa per debolezza di spirito, per cui non potevano
sopportare a lungo la fatica. Se i Romani erano per caso sopraggiunti, bisognava ringraziare la (dea) Fortuna, se chiamati
dalla spia di qualcuno, (ringraziare) costui, perché avevano potuto conoscere dalla località superiore sia la loro esiguità
sia disprezzare il loro valore, (Romani) che non osando combattere s’erano ritirati vergognosamente negli accampamenti. Lui non
desiderava da parte di Cesare col tradimento nessun potere, che poteva avere con la vittoria, che ormai era per lui e per tutti
i Galli pregustata; addirittura si rimetteva a loro, se sembravano attribuire a lui più onore che ricevere salvezza da
lui.
“Perché capiate che queste cose, disse, sono affermate sinceramente da me, ascoltate i soldati romani.”
Fa avanzare
degli schiavi, che pochi giorni prima aveva catturati nel foraggiamento ed aveva torturato con la fame e le catene.
Questi
istruiti già precedentemente cosa dire, (se) interrogati, dicono di essere soldati legionari; spinti dalla fame e dalla
indigenza erano usciti di nascosto dagli accampamenti, se potessero reperire qualcosa di cereale o di bestiame nelle campagne;
tutto l’esercito era oppresso da simile indigenza e le forze di nessuno ormai erano sufficienti e non potevano sopportare la
fatica del lavoro; cosi il generale aveva deciso che, se non si fosse guadagnato nulla nell’assedio della città, dopo tre
giorni leverebbe l’esercito. “Questi, disse, i favori da me Vercingetorige, che voi accusate di tradimento; per la cui opera
voi vedete, senza il vostro sangue, un così grande esercito vincitore quasi consumato dalla fame; e quello mentre
vergognosamente si ritira in fuga, perché nessuna nazione lo riceva nei propri territori, è stato provveduto da me.”
- Letteratura Latina
- Libro 7
- Cesare
- De Bello Gallico