De Bello Gallico, Libro 7 - Par. 38 - Studentville

De Bello Gallico, Libro 7 - Par. 38

Litaviccus accepto exercitu cum milia passuum circiter xxx a Gergovia abesset, convocatis subito

militibus lacrimans ‘quo proficiscimur,’ inquit ‘milites? Omnis noster equitatus, omnis nobilitas interiit; principes

civitatis, Eporedorix et Viridomarus, insimulati proditionis ab Romanis indicta causa interfecti sunt. Haec ab his cognoscite,

qui ex ipsa caede fugerunt; nam ego fratribus atque omnibus meis propinquis interfectis dolore prohibeor quae gesta sunt

pronuntiare.’ Producuntur ii, quos ille edocuerat quae dici vellet, atque eadem, quae Litaviccus pronuntiaverat, multitudini

exponunt: omnes equites Haeduorum interfectos, quod conlocuti cum Arvernis dicerentur; ipsos se inter multitudinem militum

occultasse atque ex media caede fugisse. Conclamant Haedui et Litaviccum obsecrant, ut sibi consulat. ‘Quasi vero’ inquit

ille ‘consilii sit res ac non necesse sit nobis Gergoviam contendere et cum Arvernis nosmet coniungere. An dubitamus, quin

nefario facinore admisso Romani iam ad nos interficiendos concurrant? Proinde si quid in nobis animi est, persequamur eorum

mortem, qui indignissime interierunt, atque hos latrones interficiamus.’ Ostendit cives Romanos, qui eius praesidii fiducia

una ierant. Continuo magnum numerum frumenti commeatusque diripit, ipsos crudeliter excruciatos interficit. Nuntios tota

civitate Haeduorum dimittit, in eodem mendacio de caede equitum et principum permanet; hortatur ut simili ratione atque ipse

fecerit suas iniurias persequantur.

Versione tradotta

Litavicco, ricevuto l’esercito, distando da Gergovia circa 30 mila passi, convocati subito i soldati,

piangendo “Dove andiamo, disse, soldati? Tutta la nostra cavalieri, tutta la nobiltà è morta; i capi della nazione, Eporedorige

e Viridomaro, accusati di tradimento, indetto un precesso da parte dei Romani, sono stati uccisi.
Sapete queste cose da

questi, che fuggirono dalla stessa strage;
io, dopo che sono stati uccisi i fratelli e tutti i miei parenti, sono bloccato

dal dolore a raccontare le cose che sono state fatte.”
Sono fatti avanzare quelli, che egli aveva istruiti a cosa voleva si

dicesse e le stesse cose che Litavicco aveva pronunciato, le espongono alla folla: che erano stati uccisi tutti i cavalieri

degli Edui, perché si diceva che avevano parlato con gli Arverni; che loro stessi si eran nascosti tra la folla dei soldati ed

erano sfuggiti dal mezzo della strage. Gli Edui approvano e pregano Litavicco di provvedere per loro. “Come se, disse, la cosa

sia bisognosa di una decisione e non sia necessario per noi dirigerci a Gergovia ed unirci agli Arverni.
O dubitiamo che,

commesso un (primo) indicibile delitto, non corrano ormai ad ucciderci? Dunque se in noi c’è un qualcosa di coraggio,

vendichiamo la morte di coloro che sono morti molto indegnamente ed uccidiamo questi rapinatori.”
Mostra i cittadini romani,

che erano andati insieme nella fiducia della loro difesa.
Subito saccheggia una gran quantità di frumento e

vettovagliamento, ed uccide crudelmente gli stessi dopo averli torturati. Manda messaggeri per tutta la nazione degli Edui,

insiste nella stessa menzogna sulla strage dei cavalieri e dei capi; esorta che vendichino con lo stesso sistema che lui ha

usato, le loro offese.

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