Interim nuntio adlato omnes eorum milites
in potestate Caesaris teneri, concurrunt ad Aristium, nihil publico factum consilio demonstrant; quaestionem de bonis direptis
decernunt, Litavicci fratrumque bona publicant, legatos ad Caesarem sui purgandi gratia mittunt. Haec faciunt recuperandorum
suorum causa; sed contaminati facinore et capti compendio ex direptis bonis, quod ea res ad multos pertinebat, et timore poenae
exterriti consilia clam de bello inire incipiunt civitatesque reliquas legationibus sollicitant. Quae tametsi Caesar
intellegebat, tamen quam mitissime potest legatos appellat; nihil se propter inscientiam levitatemque vulgi gravius de civitate
iudicare neque de sua in Haeduos benevolentia deminuere. Ipse maiorem Galliae motum exspectans, ne ab omnibus civitatibus
circumsisteretur, consilia inibat, quemadmodum a Gergovia discederet ac rursus omnem exercitum contraheret, ne profectio nata a
timore defectionis similisque fugae videretur.
Versione tradotta
Intanto portata la notizia che
tutti i loro soldati erano tenuti nel potere di Cesare, accorrono da Aristio, affermano che nulla è stato fatto per decisione
pubblica; decidono un’inchiesta per i beni saccheggiati; confiscano i beni di Litavicco e dei fratelli, mandano ambasciatori da
Cesare per scusarsi.
Fanno queste cose per recuperare i loro; ma contaminati dal delitto e presi dal guadagno dei beni
saccheggiati, perché quella cosa riguardava molti, ed atterriti dalla paura della pena di nascosto cominciano ad intraprendere
piani e sobillano altre nazioni con ambascerie.
Anche se Cesare capiva tali cose, tuttavia quanto più benignamente può
chiama gli ambasciatori; (dice che) lui per l’ignoranza e la leggerezza del popolo non giudicava nulla di troppo severo per la
nazione e non diminuiva (nulla) circa la sua benevolenza verso gli Edui. Egli aspettando un moto maggiore della Gallia, per non
essere assediato da tutte le nazioni, e intraprendeva piani per partire dalle vicinanze di Gergovia e riunire di nuovo tutto
l’esercito, perché una partenza nata dal timore non sembrasse simile alla fuga.
- Letteratura Latina
- Libro 7
- Cesare
- De Bello Gallico