Interea dum haec geruntur, hostium copiae ex Arvernis equitesque qui toti Galliae erant imperati conveniunt. Magno
horum coacto numero, cum Caesar in Sequanos per extremos Lingonum fines iter faceret, quo facilius subsidium provinciae ferre
posset, circiter milia passuum x ab Romanis trinis castris Vercingetorix consedit convocatisque ad concilium praefectis equitum
venisse tempus victoriae demonstrat; fugere in provinciam Romanos Galliaque excedere. Id sibi ad praesentem obtinendam
libertatem satis esse; ad reliqui temporis pacem atque otium parum profici; maioribus enim coactis copiis reversuros neque
finem bellandi facturos. Proinde agmine impeditos adoriantur. Si pedites suis auxilium ferant atque in eo morentur, iter
confici non posse; si – id quod magis futurum confidat – relictis impedimentis suae saluti consulant, et usu rerum
necessariarum et dignitate spoliatum iri. Nam de equitibus hostium, quin nemo eorum progredi modo extra agmen audeat, ne ipsos
quidem debere dubitare. Id quo maiore faciant animo, copias se omnes pro castris habiturum et terrori hostibus futurum.
Conclamant equites sanctissimo iure iurando confirmari oportere, ne tecto recipiatur, ne ad liberos, ad parentes, ad uxorem
aditum habeat, qui non bis per agmen hostium perequitarit.
Versione tradotta
Intanto mentre si fanno queste cose, arrivano dagli Arverni le truppe dei nemici ed i
cavalieri che erano stati comandati a tutta la Gallia.
Raccolto un gran numero di questi, mentre Cesare faceva la marcia
contro i Sequani attraverso l’estremità dei territori dei Linoni, per potere più facilmente portare aiuto alla provincia, a
circa 10 mila passi dai Romani Vercingetorige si fermò con tre accampamenti e chiamati a consiglio i prefetti dei soldati
dichiara che è arrivato il momento della vittoria; (dice che) i Romani fuggono in provincia ed escono dalla Gallia. Questo per
lui è sufficiente per ottenere una libertà presente; poco si guadagna per la pace e la tranquillità del tempo successivo;
infatti raccolte truppe sarebbero ritornati e non avrebbero fatto la fine del combattere. Dunque li assalgano impegnati in
fila. Se i fanti portano aiuto ai loro e si fermano per questo, la marcia non si può concludere; se – ciò che confida di più
che accada – lasciati i carriaggi badano alla propria incolumità, sarebbero stati spogliati dell’uso delle cose necessarie e
dell’onore. Infatti per i cavalieri dei nemici, essi non dovevano dubitare che nessuno di loro osa più avanzare fuori di
fila.Perché facciano ciò con maggiore coraggio, egli avrebbe tenuto tutte le truppe davanti agli accampamenti e sarebbe stato
di terrore ai nemici. I cavalieri acclamano che occorreva si confermasse con un giuramento sacrosanto, che non sia ricevuto in
casa, non abbia accesso ai figli, ai genitori, alla moglie, chi non abbia cavalcato per due volte attraverso la fila dei
nemici.
- Letteratura Latina
- Libro 7
- Cesare
- De Bello Gallico