Eneide, Libro 7, traduzione vv. 107-147 - Studentville

Eneide, Libro 7, traduzione vv. 107-147

Aeneas primique duces et pulcher Iulus 7.107
corpora sub ramis deponunt arboris altae,

instituuntque dapes et adorea liba per herbam
subiciunt epulis (sic Iuppiter ipse monebat ) 110
et Cereale solum

pomis agrestibus augent.
consumptis hic forte aliis, ut vertere morsus
exiguam in Cererem penuria adegit edendi,
et

violare manu malisque audacibus orbem
fatalis crusti patulis nec parcere quadris: 115
‘heus, etiam mensas

consumimus?’ inquit Iulus,
nec plura, adludens. ea vox audita laborum
prima tulit finem, primamque loquentis ab ore

eripuit pater ac stupefactus numine pressit.
continuo ‘salve fatis mihi debita tellus 7.120
vosque’ ait ‘o

fidi Troiae salvete penates:
hic domus, haec patria est. genitor mihi talia namque
nunc repeto Anchises fatorum arcana

reliquit:
“cum te, nate, fames ignota ad litora vectum
accisis coget dapibus consumere mensas,
tum sperare domos

defessus, ibique memento
prima locare manu molirique aggere tecta.”
haec erat illa fames, haec nos suprema manebat

exitiis positura modum.
quare agite et primo laeti cum lumine solis 130
quae loca, quive habeant homines, ubi moenia

gentis,
vestigemus et a portu diversa petamus.
nunc pateras libate Iovi precibusque vocate
Anchisen genitorem, et

vina reponite mensis.’
Sic deinde effatus frondenti tempora ramo
implicat et geniumque loci primamque deorum

Tellurem Nymphasque et adhuc ignota precatur
flumina, tum Noctem Noctisque orientia signa
Idaeumque Iovem

Phrygiamque ex ordine matrem
invocat, et duplicis caeloque Ereboque parentis. 7.140
hic pater omnipotens ter caelo

clarus ab alto
intonuit, radiisque ardentem lucis et auro
ipse manu quatiens ostendit ab aethere nubem.
diditur hic

subito Troiana per agmina rumor
advenisse diem quo debita moenia condant. 145
certatim instaurant epulas atque omine

magno
crateras laeti statuunt et vina coronant.

Versione tradotta

Enea, i primi capi ed il bello Iulo
posano i corpi

sotto i rami di un'alta pianta,
preparano il banchetto e nell'erba mettono focacce
di farro sotto le vivande (così

Giove stesso ordinava) 110
e accrescono il suolo cereale di frutti agresti.
Allora consumato già il resto, come la

povertà del
mangiare spinse a volgere i morsi verso la piccola
Cerere e violare con mani e mascelle audaci il

piatto
della focaccia fatale né risparmiare le larghe focacce:
"Ahi, mangiamo anche le mense? Disse Iulo,
nulla più,

scherzando. Quella iniziale frase udita
portò la fine delle fatiche, il padre la strappò all'inizio
dalla bocca del

parlante e stupito dalla divinità lo zittì.
Subito "Salve terra dovutami dai fati 120
e voi, disse, fidati penati di

Troia, salve:
qui la casa, questa la patria. Mio padre Anchise, ora
lo ricordo, lasciò i misteri dei fati:
"Quando,

figlio, spinto su ignoti lidi la fame, finite
le vivande ti costringerà a mangiare le mense,
allora stanco ricordati di

sperare le case, e lì collocare
con le mani i primi tetti e fortificarli con un vallo"
Questa era quella fame, questa

ultima restava per porre
un termine ai mali.
Dunque su e colla prima luce del sole, lieti 130
indaghiamo quali luoghi,

quali uomini abitino, dove i popoli abbian mura e dal porto cerchiamo parti diverse.
Ora innalzate le coppe a Giove e con

preghiere invocate
il padre Anchise e mettete vino sulle mense"
Poi così espressosi, cinge le tempia di ramo
frondoso

e prega il genio del luogo, la Terra, prima
degli dei, le Ninfe ed i fiumi ancora ignoti,
poi la Notte e le stelle

nascenti della Notte,
ed invoca per ordine Giove Ideo, la madre Frigia,
ed i duplici genitori nel cielo e nell'Erebo.

140
Allora il padre onnipotente distinto tre volte dall'alto
cielo tuonò, e lui stesso scotendo coi raggi di luce e

con l'oro mostro una nueb ardente dall'etere.
Allora subito per le schiere troiane si sparge la voce
che è ginto

il giorno in cui fondare le dovute mura: 145
A gara preparan banchetti e lieti per il grande augurio
prendono coppe e

incoronano i vini.

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