Eneide, Libro 7, traduzione vv. 192-285 - Studentville

Eneide, Libro 7, traduzione vv. 192-285

Tali intus templo divum patriaque Latinus 7.192
sede sedens Teucros ad sese in tecta

vocavit,
atque haec ingressis placido prior edidit ore:
‘dicite, Dardanidae neque enim nescimus et urbem 195
et

genus, auditique advertitis aequore cursum,
quid petitis? quae causa rates aut cuius egentis
litus ad Ausonium tot per

vada caerula vexit?
sive errore viae seu tempestatibus acti,
qualia multa mari nautae patiuntur in alto, 7.200

fluminis intrastis ripas portuque sedetis,
ne fugite hospitium, neve ignorate Latinos
Saturni gentem haud vinclo

nec legibus aequam,
sponte sua veterisque dei se more tenentem.
atque equidem memini (fama est obscurior annis) 205

Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris
Dardanus Idaeas Phrygiae penetrarit ad urbes
Threiciamque Samum, quae

nunc Samothracia fertur.
hinc illum Corythi Tyrrhena ab sede profectum
aurea nunc solio stellantis regia caeli 210

accipit et numerum divorum altaribus auget.’
Dixerat, et dicta Ilioneus sic voce secutus:
‘rex, genus

egregium Fauni, nec fluctibus actos
atra subegit hiems vestris succedere terris,
nec sidus regione viae litusve

fefellit: 215
consilio hanc omnes animisque volentibus urbem
adferimur pulsi regnis, quae maxima quondam
extremo

veniens sol aspiciebat Olympo.
ab Iove principium generis, Iove Dardana pubes
gaudet avo, rex ipse Iovis de gente

suprema: 7.220
Troius Aeneas tua nos ad limina misit.
quanta per Idaeos saevis effusa Mycenis
tempestas ierit

campos, quibus actus uterque
Europae atque Asiae fatis concurrerit orbis,
audiit et si quem tellus extrema refuso 225

summovet Oceano et si quem extenta plagarum
quattuor in medio dirimit plaga solis iniqui.
diluvio ex illo tot vasta

per aequora vecti
dis sedem exiguam patriis litusque rogamus
innocuum et cunctis undamque auramque patentem. 230
non

erimus regno indecores, nec vestra feretur
fama levis tantique abolescet gratia facti,
nec Troiam Ausonios gremio

excepisse pigebit.
fata per Aeneae iuro dextramque potentem,
sive fide seu quis bello est expertus et armis: 235

multi nos populi, multae ne temne, quod ultro
praeferimus manibus vittas ac verba precantia
et petiere sibi et

voluere adiungere gentes;
sed nos fata deum vestras exquirere terras
imperiis egere suis. hinc Dardanus ortus, 7.240

huc repetit iussisque ingentibus urget Apollo
Tyrrhenum ad Thybrim et fontis vada sacra Numici.
dat tibi praeterea

fortunae parva prioris
munera, reliquias Troia ex ardente receptas.
hoc pater Anchises auro libabat ad aras, 245
hoc

Priami gestamen erat cum iura vocatis
more daret populis, sceptrumque sacerque tiaras
Iliadumque labor vestes.’

Talibus Ilionei dictis defixa Latinus
obtutu tenet ora soloque immobilis haeret, 250
intentos volvens oculos. nec

purpura regem
picta movet nec sceptra movent Priameia tantum
quantum in conubio natae thalamoque moratur,
et

veteris Fauni volvit sub pectore sortem:
hunc illum fatis externa ab sede profectum 255
portendi generum paribusque in

regna vocari
auspiciis, huic progeniem virtute futuram
egregiam et totum quae viribus occupet orbem.
tandem laetus

ait: ‘di nostra incepta secundent
auguriumque suum. dabitur, Troiane, quod optas. 7.260
munera nec sperno: non vobis

rege Latino
divitis uber agri Troiaeve opulentia deerit.
ipse modo Aeneas, nostri si tanta cupido est,
si iungi

hospitio properat sociusque vocari,
adveniat, vultus neve exhorrescat amicos: 265
pars mihi pacis erit dextram tetigisse

tyranni.
vos contra regi mea nunc mandata referte:
est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae
non patrio ex

adyto sortes, non plurima caelo
monstra sinunt; generos externis adfore ab oris, 270
hoc Latio restare canunt, qui

sanguine nostrum
nomen in astra ferant. hunc illum poscere fata
et reor et, si quid veri mens augurat, opto.’

haec effatus equos numero pater eligit omni
(stabant ter centum nitidi in praesepibus altis; ) 275
omnibus extemplo

Teucris iubet ordine duci
instratos ostro alipedes pictisque tapetis
aurea pectoribus demissa monilia pendent,

tecti auro fulvum mandunt sub dentibus aurum,
absenti Aeneae currum geminosque iugalis 7.280
semine ab aetherio

spirantis naribus ignem,
illorum de gente patri quos daedala Circe
supposita de matre nothos furata creavit.

talibus Aeneadae donis dictisque Latini
sublimes in equis redeunt pacemque reportant. 285

Versione tradotta

Dentro a tale tempio degli dei Latino sedendo sul seggio
paterno chiamò a sé nel

palazzo i Teucri, ed, entrati,
per primo pronunciò con volto calmo queste parole:
"Dite, Dardanidi, non ignoriamo la

città e la stirpe 195
e famosi affrontate la rotta per mare,
cosa chiedete? Quale causa o di cosa mancando portò
al

lido ausonio per tante onde azzurre?
Sia spinti da errore di viaggio sia da tempeste,
quali i marinai in alto mare molto

patiscono, 200
entraste tra le rive del fiume e sedete nel porto,
non rifuggite l'ospitalità, non ignorate i

Latini,
popolo di Saturno, non giusto per vincolo o leggi,
ma per sua volontà si attiene secondo il costume

dell'antico re.
Ricordo bene ( la fama è troppo oscurata dagli anni) 205
che i vecchi Aurunci così narravano, come

Dardano nato
in queste terre emigrò verso le città idee della Frigia
ed alla Samo tracia, che ora si dice

Samotracia.
Di qui, partito dlla sede tirrena di Corito, ora
la reggia aurea del cielo stellato l'accoglie sul soglio

210
ed aumenta con gli altari il numero degli dei.
Aveva detto e pronunciata la frase così Ilioneo proseguì:
"Re,

ilustre stirpe di Fauno, né la nera tempesta ci costrinse
spinti dai flutti a raggiungere le vostre terre,
né stella o

lido ci ingannò circa il percorsodella rotta: 215
di proposito tutti con animi volonterosi ci rechiamo
in questa città,

caccaiti dai regni, che un tempo il sole
venendo dall'estremo Olimpo vedeva come i più grandi.
Da Giove l'inizio

della stirpe, la gioventù dardana gioisce
di Giove come avo, lo stesso re dall'alta stirpe di Giove: 220
il troiano

Enea ci inviò alla tua reggia.
Quale grande tempesta mossa dalla crudele Micene
sia corsa per le piane idee, da quali

fati spinto l'uno e
l'altro mondo d'Asia e d'Europa abbia corso,
udì (ognuno) anche se uno lo tiene

l'estremità della terra, 225
rifluito l'Oceano su se stesso, anche se uno lo tien separato
la zona del sole

rovente, stesa in mezzo alle quattro zone.
Da quel diluvio portati per tanti vasti mari
chiediamo per gli dei patrii una

piccola sede ed un lido
sicuro, un'nda ed un'aria aperta per tutti. . 230
Non saremo indegni del regno, né la

vostra fama sarà
resa piccola e non svanirà la gratitudine di tanta azione,
né gli Ausoni si pentiranno di aver accolto

in seno Troia.
Giuro per i fati di Enea e per la potente destra,
che è provato in fedeltà, in guerra e nell'armi: 235

molti popoli, molte nazioni ci chiesero e ci vollero
unire a sé, non disprezzarci perché per di più portiamo
in mano

bende sacre e parole invocanti;
ma i fati degli dei pretesero coi loro ordini di cercare
le vostre terre. Da qui nacque

Dardano, 240
qui ritorna, con forti comandi Apollo lo impone,
al Tevere tirreno ed ai sacri passaggi della fonte di

Numico.
Ti dà inoltre picoli doni della precedente
fortuna, resti raccolti da Troia in fiamme.
Con questo oro il

padre Anchise libava presso gli altari, 245
questa era l'insegna di Priamo, quando, chiamati i popoli,
rendeva

giustizia secondo la legge, lo scettro, la sacra tiara,
le vesti, opera delle Iliadi."
A tali parole di Ilioneo, Latino

tiene il volto fisso
in tensione e immobile lo fissa al suolo, 250
mantenendo gli occhi attenti. Non commuove il re

la porpora dipinta né lo commuovono gli scettri di Priamo
tanto quanto siferma sulle nozze ed il matrimonio della

figli,
ed agita nel cuore l'oracolo del vecchio Fauno:
dai fati era questo quel genero predetto, partito 255
da

lontana sede e da pari auspici era chiamato
al regno, per lui sarebbe stata la stirpe illustre
per coraggio e con

potenza occuperebbe tutto il mondo.
Finalmente lieto disse: " Gli dei assecondino i nostri inizi
ed la loro profezia.

Sarà concesso, Troiano, quel che desideri: 260
non disprezzo i doni: sotto il re Latino non vi mancherà
la fertile

opulenza di ricco terreno o di Troia.
Ora lo stesso Enea, se ha tanto desiderio di noi,
se s'affretta ad unirsi in

ospitalità e chiamarsi alleato,
venga, né abbia paura di volti amici: 265
per me sarà una parte di pace aver toccato la

destra d'un sovrano.
Voi di rimando riferite al re ora i miei impegni:
io ho una figlia, che per oracolo paterno le

sorti e molti
prodigi dal cielo non permettono maritare ad un uomo
della nostra razza; rivelano che i generi si

presenteranno 270
da terre straniere, per portare conla stirpe il nostro nome alle stelle,
che questo si riserva per il

Lazio. Che questo tale chiedano
i fati, lo penso e, se un che di vero presagisce il cuore, lo voglio".
Detto questo il

padre sceglie i cavalli da tutto il gruppo
(trecento splendidi stavano in ampie stalle;) 275
Ordina che subito sian

portati a tutti i Teucri in ordine,
i veloci cavalli coperti di porpora e ricamati drappi,
dorati collari appesi pindono

dai petti, coperti d'oro
mordono sotto i denti rosso oro,
per Enea assente un cocchio e gemelli cavalli aggiogati 280

di sangue etereo, spiranti fuoco dalle narici,
dalla razza di quelli che l'ingegnosa Circe, rubatili al

padre,
aveva creato bastardi da madre accoppiata.
Con tali doni e parole di Latino gli Eneadi, alti
sui cavalli

ritornano e riportano la pace.

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