Eneide, Libro 8, traduzione vv.184-279 - Studentville

Eneide, Libro 8, traduzione vv.184-279

Postquam exempta fames et amor compressus edendi,
rex Evandrus ait: ‘non haec sollemnia nobis, 185
has ex more

dapes, hanc tanti numinis aram
vana superstitio veterumque ignara deorum
imposuit: saevis, hospes Troiane, periclis

servati facimus meritosque novamus honores.
iam primum saxis suspensam hanc aspice rupem, 190
disiectae procul ut

moles desertaque montis
stat domus et scopuli ingentem traxere ruinam.
hic spelunca fuit vasto summota recessu,

semihominis Caci facies quam dira tenebat
solis inaccessam radiis; semperque recenti 195
caede tepebat humus,

foribusque adfixa superbis
ora virum tristi pendebant pallida tabo.
huic monstro Volcanus erat pater: illius atros

ore vomens ignis magna se mole ferebat.
attulit et nobis aliquando optantibus aetas 8.200
auxilium adventumque dei.

nam maximus ultor
tergemini nece Geryonae spoliisque superbus
Alcides aderat taurosque hac victor agebat
ingentis,

vallemque boves amnemque tenebant.
at furis Caci mens effera, ne quid inausum 205
aut intractatum scelerisve dolive

fuisset,
quattuor a stabulis praestanti corpore tauros
avertit, totidem forma superante iuvencas.
atque hos, ne qua

forent pedibus vestigia rectis,
cauda in speluncam tractos versisque viarum 210
indiciis raptor saxo occultabat opaco;

quaerenti nulla ad speluncam signa ferebant.
interea, cum iam stabulis saturata moveret
Amphitryoniades armenta

abitumque pararet,
discessu mugire boves atque omne querelis 215
impleri nemus et colles clamore relinqui.
reddidit

una boum vocem vastoque sub antro
mugiit et Caci spem custodita fefellit.
hic vero Alcidae furiis exarserat atro

felle dolor: rapit arma manu nodisque gravatum 8.220
robur, et aerii cursu petit ardua montis.
tum primum nostri

Cacum videre timentem
turbatumque oculis; fugit ilicet ocior Euro
speluncamque petit, pedibus timor addidit alas.

ut sese inclusit ruptisque immane catenis 225
deiecit saxum, ferro quod et arte paterna
pendebat, fultosque emuniit

obice postis,
ecce furens animis aderat Tirynthius omnemque
accessum lustrans huc ora ferebat et illuc,
dentibus

infrendens. ter totum fervidus ira 230
lustrat Aventini montem, ter saxea temptat
limina nequiquam, ter fessus valle

resedit.
stabat acuta silex praecisis undique saxis
speluncae dorso insurgens, altissima visu,
dirarum nidis domus

opportuna volucrum. 235
hanc, ut prona iugo laevum incumbebat ad amnem,
dexter in adversum nitens concussit et imis

avulsam solvit radicibus, inde repente
impulit; impulsu quo maximus intonat aether,
dissultant ripae refluitque

exterritus amnis. 8.240
at specus et Caci detecta apparuit ingens
regia, et umbrosae penitus patuere cavernae,
non

secus ac si qua penitus vi terra dehiscens
infernas reseret sedes et regna recludat
pallida, dis invisa, superque

immane barathrum 245
cernatur, trepident immisso lumine Manes.
ergo insperata deprensum luce repente
inclusumque

cavo saxo atque insueta rudentem
desuper Alcides telis premit, omniaque arma
advocat et ramis vastisque molaribus

instat. 250
ille autem, neque enim fuga iam super ulla pericli,
faucibus ingentem fumum mirabile dictu
evomit

involvitque domum caligine caeca
prospectum eripiens oculis, glomeratque sub antro
fumiferam noctem commixtis igne

tenebris. 255
non tulit Alcides animis, seque ipse per ignem
praecipiti iecit saltu, qua plurimus undam
fumus agit

nebulaque ingens specus aestuat atra.
hic Cacum in tenebris incendia vana vomentem
corripit in nodum complexus, et

angit inhaerens 8.260
elisos oculos et siccum sanguine guttur.
panditur extemplo foribus domus atra revulsis

abstractaeque boves abiurataeque rapinae
caelo ostenduntur, pedibusque informe cadaver
protrahitur. nequeunt

expleri corda tuendo 265
terribilis oculos, vultum villosaque saetis
pectora semiferi atque exstinctos faucibus ignis.

ex illo celebratus honos laetique minores
servavere diem, primusque Potitius auctor
et domus Herculei custos

Pinaria sacri 270
hanc aram luco statuit, quae maxima semper
dicetur nobis et erit quae maxima semper.
quare agite,

o iuvenes, tantarum in munere laudum
cingite fronde comas et pocula porgite dextris,
communemque vocate deum et date

vina volentes.’ 275
dixerat, Herculea bicolor cum populus umbra
velavitque comas foliisque innexa pependit,
et

sacer implevit dextram scyphus. ocius omnes
in mensam laeti libant divosque precantur.

Versione tradotta

Dopo che fu tolta la fame e saziata la voglia di

mangiare,
il re Evandro disse: "Questi solenni riti per noi, 185
queste mense di tradizione, questo altare di sì gran

divinità
non l'impose una vuota superstizione ed ignara degli dei
antichi: ospite troiano, salvati da crudeli

pericoli
facciamo e rinnoviamo onori meritati.
Prima osserva questa rupe sospesa su rocce, 190
come lontano le masse

spaccate e la casa del monte
sta deserta ed i massi provocarono enorme rovina.
Qui ci fu la spelonca, separata da vasto

cavità,
che il crudele aspetto del semiuomo Caco teneva
inaccessibile ai raggi del sole; e sempre la terra era

tiepida
di nuova strage, ai superbi battenti pendevano
pallidi volti di uomini con triste marciume.
A questo mostro

Vulcano era padre. Vomitando neri
fuochi dalla sua bocca si muoveva con grande mole.
E finalmente il tempo portò a noi

che lo desideravamo 200
l'aiuto e l'arrivo del dio. Infatti il massimo vendicatore
Alcide, superbo per

l'uccisione e le spoglie del triplice
Gerione, arrivava e spingeva di qui, vincitore, enormi
tori, ed i buoi

occupavano la valle ed il fiume.
Ma l'istinto bestiale di Caco ladro, perché qualcosa 205
non fosse stato inosato o

intentato o di delitto o di inganno,
rubò dalle stalle quattro tori dal corpo superbo,
ed altrettante giovenche

d'aspetto straordinario.
E questi, perché non vi fossero delle impronte per gli zoccoli dritti,
tirati dalla spelonca

per la coda e girate le tracce dei percorsi 210
il ladrone li nascondeva sotto buia rupe;
per chi cercava nessun segno

portava alla spelonca.
Intanto, quando ormai l'Anfitrionisde muoveva
dalle stalle gli armenti sazi e preparava la

partenza,
i buoi muggivano nel partire e tutto il bosco si riempiva 215
di lamenti ed i colli si abbandonavano con

rimbombo.
Una delle vacche rispose al richiamo e sotto il vasto antro
muggì e chiusa tradì la speranza di

Caco.
Allora però il dolore era arso di nera bile per la rabbia
ad Alcide:strappa con la mano le armi ed una quercia 220

pesante di nodi e di corsa si dirige ai pendii dell'aereo monte,
allora per la prima volta i nostri videro Caco che

temeva
e turbato negli occhi; subito fugge più forte di Euro
e cerca la spelonca, ai piedi il timore aggiunse le

ali.
Come si chiuse e rotte le catene abbassò un masso 225
enorme, che pendeva grazie al ferro e l'arte

paterna,
con una sbarrà fortificò i battenti rafforzati,
ecco il Tirinzio furente nel cuore era là e spiando
ogni

accesso portava gli sguardi qua e là,
fremendo coi denti. Tre volte perlustra, acceso d'ira, 230
tutto il monte

Aventino, tre volte invano tenta
le soglie rocciose, trevolte, stanco, si sedette nella valle.
Un'acuta roccia si

alzava, ovunque su pietre scoscese,
sorgendo sul dorso della spelonca, altissima a vedersi,
dimora adatta ai nidi di

uccelli rapaci. 235
Questa, come dal giogo pendeva china a sinistra sul fiume,
da destra spingendosi contro la scosse e

la divelse strappata
dalla profondità delle radici, poi subito la spinse;
a quellla spinta rimbomba l'altissimo

cielo,
sussultan le rive e rifluisce atterrito il torrente. 240
Ma la spelonca e l'immensa reggia di Caco

apparve
scoperta, e le ombrose caverne si aprirono completamente,
non diversamente se per una qualche forza la terra

spaccandosi
completamente aprisse le sedi infernali e schiudesse i pallide
regni, odiosi agli dei, e si vedesse

dall'alto l'immenso 245
baratro, trepiderebbero i Mani per la luce immessa.
Quindi sorpreso improvvisamente dalla

luce inaspettata
e chiuso nella cava roccia e ruggendo insolitamente
dall'alto Alcide lo incalza di colpi, chiama

tutte
e armi sovrasta con rami e massi enormi. 250
Quello però, infatti non c'è più alcuna fuga del

pericolo,
dalle fauci vomita un enorme, mirabile a dirsi,
fumo ed avvolge la casa di cieca caligine
togliendo la

vista agli occhi, accumula sotto l'antro
una fumosa notte, mescolate al fuoco le tenebre. 255
Non sopportò in cuore

l'Alcide, lui stesso si lanciò nel fuoco
con un salto a capofitto, dove il maggior fumo
spinge l'onda e

l'ingente spelonca bolle di nera nebbia.
Qui nelle tenebre afferra Caco che vomita vani incendi
avvinghiandolo in un

nodo e stringendo lo soffoca 260
gli occhi schizzati e la gola secca di sangue.
Subito si apre la nera casa, divelti i

battenti,
le vacche strappate e le rapine negate con giuramento
si mostrano al cielo, per i piedi l'orribile

cadavere
viene tirato. Non posson saziarsi i cuori vedendo 265
i terribili occhi, il volto ed il petto villoso di

setole
della semibestia ed i fuochi spenti nelle fauci.
Da allora fu celebrata la festa e lieti i

discendenti
conservarono il giorno, e per primo il promotore Potizio,
e la casa Pinaria custode del culto di Ercole 270

fondò questo altare nel bosco, che da noi sempre sarà
detta massima e che sempre sarà massima.
Perciò orsù, giovani,

cingete le chiome di fronda
nel dovere di tanti ringraziamenti e porgete coppe nelle destre,
invocate il comune dio e

volentieri date vini." 275
Aveva detto, il pioppo bicolore con l'ombra erculea
velò le chiome e pendette intrecciato

di foglie,
e la coppa sacro riempì la destra. Più velocemente tutti
lieti libano sulla mensa e pregano gli dei.

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