Eneide, Libro 8, traduzione vv.626-731 - Studentville

Eneide, Libro 8, traduzione vv.626-731

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, Libro 8 Versi 626-731

Lì re itale gesta ed i trionfi dei romani
non ignaro

dei vati e conoscitore del tempo futuro
il potente col fuoco le aveva plasmate, lì tutta la razza
della stirpe futura in

ordine da Ascanio e le guerre combattute.
Aveva plasmato anche la lupa di Marte che ha partorito 630
giacere nel verde

antro, attorno alle mammelle a lei pendenti,
i due bambini giocare ed impavidi succhiare
la madre, ella con la testa

tornita girata
accarezzava l’uno e l’altro e leccava i corpi con la lingua.
Né lontano da qui Roma e le Sabine

nella folla del circo, 635
rapite senza legge, compiuti i grandi giochi Circensi,
le aveva aggiunto ed improvvisamente

scatenarsi nuova guerra
tra Romulidi, il vecchio Tazio ed i Curi severi.
Dopo gli stessi re armati, fermato lo

scontro,
davanti all’altare di Giove erano in piedi tenendo 640
le coppe e stringevano patti, sacrificata una

porca.
Non lontano di lì le veloci quadrighe in direzioni contrarie
avevan spaccato Metto ( ma tu, Albano, dovevi restare

alle parole)
e Tullo trascinava le viscere dell’uomo falso
per la selva, ed i rovi sparsi grondavan di sangue. 645

Pure Porsenna ordinava di accogliere Tarquinio cacciato
e pressava la città di gigantesco assedio;
Gli Eneadi si

precipitavano alle armi per la libertà.
Lo avresti potuto vedere simile a chi s’indigna e simile
a chi minaccia,

poiché Coclite osava rompere il ponte 650
e Clelia, rotte le catene, passava a nuoto il fiume.
In cima alla rocca Tarpea

Manlio, il custode,
si ergeva davanti al tempio ed occupava l’alto Campidoglio,
la reggia nuova era irta della paglia

romulea.
Ancora qui svolazzante tra i portici d’oro un’oca 655
d’argento gridava che c’erano i Galli;
i

Galli attraverso roveti si avvicinavano ed occupavan la rocca
difesi dalle tenebre e dal dono d’una notte buia.
Essi

avevan capigliatura d’oro e veste d’oro,
brillano nei mantelli striati, poi i colli lattei 660
son intrecciati

d’oro, due lance alpine ciascuno
rosseggiano in mano, protetti i corpi da lunghi scudi.
Qui aveva scolpito i Salii

danzanti ed i nudi Luperci
i berretti di lana e gli ancili caduti dal cielo,
le caste madri conducevano per la città

sacri oggetti 665
su comodi carri. Pontano da qui aggiunse
anche le sedi tartaree, le alte porte di Dite,
pure le pene

dei delitti, e te, Catilina, pendente
da minaccioso scoglio e e temente i volti delle Furie,
i pii appartati, Catone che

dava ad essi le leggi. 670
Tra queste una dorata immagine di un mare gonfio correva
vastamente, ma le acque azzurre

spumeggiavano di bianco flutto,
ed attorno splendenti delfini d’argento in cerchio
le spazzavano con le code e

tagliavano la marea.
In mezzo era (possibile) vedere le flotte bronzee, 675
le guerre di Azio, e, schierato Marte, potevi

vedere
tutto il Laucate ribollire e risplendere nell’oro i flutti.
Di qui Cesare Augusto guidando gli Itali in

battaglie
coi senatori ed il popolo, i penati ed i grandi dei,
ritto su alta poppa, a cui le tempie liete lampeggiano

680
fiamme gemelle e si mostra sul capo la stella paterna.
Da un’altra parte con venti e dei propizi,

Agrippa
arduo, guidando una schiera, cui, (insegna superba di guerra),
rifulgono le tempie rostrate di corona

navale.
Di qui Antonio con la potenza barbarica e varie armi, 685
vincitore dai popoli dell?aurora e dal rosso

lido,
trae con sè l’Egitto, le forze d’Oriente e la lontanissima
Battriana, segue (orrore!) la coniuge

Egiziana.
Insieme tutti corrono e l’acqua tutta spumeggia
sconvolta dai remi ripresi e dai rostri a tre denti. 690

Si dirigono al largo; crederesti le Cicladi divelte nuotare
per mare o alti monti corrano contro monti,
con sì gran

mole su poppe turrite gli uomini incalzano.
Fiamma di stoppa e ferro volante si scaglia a mano
e con armi, i campi di

Nettuno rosseggiano di nuova strage. 695
La regina in mezzo col patrio sistro chiama le schiere,
non ancora vede le serpi

gemelle alle spalle.
Mostri di dei d’ogni parte ed Anubi che latra
tengono armi contro Nettuno e Venere e

contro
Minerva. Infuria Marte in mezzo allo scontro 700
lavorato su ferro, e le tristi Dire dall’etere,
Discordia,

strappato il mantello, avanza gioendo,
e Bellona la segue con la frusta di sangue.
Apollo d’Azio osservando questo

tendeva l’arco
da sopra; per quel terrore tutto l’Egitto e gli Indi, 705
ogni Arabo, tutti i Sabei voltavan le

spalle.
Si vedeva la stessa regina, chiamati i venti,
dare le vele e via via mollava le funi allentate.
Il potente col

fuoco l’aveva fatta che fra le stragi pallida
per la morte futura era portata dalle onde e da Iapige, 710
di fronte il

Nilo dal gran corpo dolorante
che apriva gli orli e con tutta la veste chiamava
nell’azzurro grembo e nei fiumi

tenebrosi i vinti.
Ma Cesare, salito sulle mura romane con triplice
trionfo, consacrava un voto immortale agli dei Itali,

715
trecento massimi templi per tutta la città.
Le vie per la gioia fremevano di giochi e d’applauso;
in tutti i

templi cori di madri, in tutti (c’erano) altari;
davanti agli altari giovenchi uccisi coprivan la terra.
Lui stesso

sedendo sul niveo seggio di Febo biancheggiante 720
esamina i doni dei popoli e li attacca ai superbi
battenti; avanzano

in lunga fila le genti vinte,
varie quanto di lingue, tanto del tipo di veste e di armi.
Qui la stirpe dei Nomadi e gli

Africani discinti
li aveva rappresentati il Mulcibero, i Lelegi, i Cari, i Geloni 725
che portan frecce; l’Eufrate

già più mite correva con le onde,
i Morini ultimi degli uomini, il Reno bicorne
gli indomiti Dai e l’Arasse adirato

per il ponte.
Tali cose ammirava sullo scudo di Vulcano, doni della
madre ed ignaro dei fatti gioisce per l’immagine

730
alzando sulla spalla sia la fama che i fati dei nipoti.

 

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