Egressi
superant fossas noctisque per umbram
castra inimica petunt, multis tamen ante futuri 315
exitio. passim somno vinoque
per herbam
corpora fusa vident, arrectos litore currus,
inter lora rotasque viros, simul arma iacere,
vina simul.
prior Hyrtacides sic ore locutus:
‘Euryale, audendum dextra: nunc ipsa vocat res. .320
hac iter est. tu, ne qua manus
se attollere nobis
a tergo possit, custodi et consule longe;
haec ego vasta dabo et lato te limite ducam.’
sic
memorat vocemque premit, simul ense superbum
Rhamnetem adgreditur, qui forte tapetibus altis 325
exstructus toto
proflabat pectore somnum,
rex idem et regi Turno gratissimus augur,
sed non augurio potuit depellere pestem.
tris
iuxta famulos temere inter tela iacentis
armigerumque Remi premit aurigamque sub ipsis 330
nactus equis ferroque secat
pendentia colla.
tum caput ipsi aufert domino truncumque relinquit
sanguine singultantem; atro tepefacta cruore
terra torique madent. nec non Lamyrumque Lamumque
et iuvenem Serranum, illa qui plurima nocte 335
luserat, insignis
facie, multoque iacebat
membra deo victus ; felix, si protinus illum
aequasset nocti ludum in lucemque tulisset:
impastus ceu plena leo per ovilia turbans
suadet enim vesana fames manditque trahitque 340
molle pecus mutumque
metu, fremit ore cruento.
nec minor Euryali caedes; incensus et ipse
perfurit ac multam in medio sine nomine plebem,
Fadumque Herbesumque subit Rhoetumque Abarimque
ignaros; Rhoetum vigilantem et cuncta videntem, 345
sed magnum
metuens se post cratera tegebat.
pectore in adverso totum cui comminus ensem
condidit adsurgenti et multa morte
recepit.
purpuream vomit ille animam et cum sanguine mixta
vina refert moriens, hic furto fervidus instat. 350
iamque ad Messapi socios tendebat; ibi ignem
deficere extremum et religatos rite videbat
carpere gramen equos,
breviter cum talia Nisus,
sensit enim nimia caede atque cupidine ferri,
‘absistamus’ ait, ‘nam lux inimica
propinquat. 355
poenarum exhaustum satis est, via facta per hostis.’
multa virum solido argento perfecta relinquunt
armaque craterasque simul pulchrosque tapetas.
Euryalus phaleras Rhamnetis et aurea bullis
cingula, Tiburti Remulo
ditissimus olim 360
quae mittit dona, hospitio cum iungeret absens,
Caedicus; ille suo moriens dat habere nepoti;
post mortem bello Rutuli pugnaque potiti:
haec rapit atque umeris nequiquam fortibus aptat.
tum galeam Messapi
habilem cristisque decoram
induit. excedunt castris et tuta capessunt.
Versione tradotta
Usciti superano i fossati e per l'ombra della notte
si dirigono all'accampamenot nemico, tuttavia prima
destinati 315
ad essere di rovina per molti. Qua e là nell'erba vedono giacere
corpi vinti dal sonno e dal vino,
cocchi alzati sul lido,
uomini tra redini e ruote, insieme armi,
vini insieme. Per primo l'Irtacide così parlando con
la bocca:
"Euriale, bisogna osare con la destra: ora la realtà stessa chiama. 320
Di qua è la strada. Tu, perché un
manipolo non possa alzarsi
per noi alle spalle, sta' in guardia e da lontano fa' attenzione;
io darò queste rovine
e ti guiderò per largo sentiero."
Così commenta ed abbassa la voce, insieme assale con la spada
il superbo Ramnete, che
allora sdraiato su alti 325
tappeti da tutto il petto soffiava il sonno,
re lui stesso e graditissimo augure del re
Turno,
ma con l'augurio non potè allontanare la rovina.
Vicino tre servitori giacenti fortuitamente tra le
armi,
sopprime l'armigero di Remo e raggiunto l'auriga sotto 330
gli stessi cavalli taglia col ferro i colli
pendenti.
Poi toglie allo stesso padrone la testa e lascia il tronco
singhiozzante di sangue; la terra intiepidita dalla
nera strage
ed i giacigli s'inzuppano. Ancora Lamiro,Lamo
ed il giovane Serrano, che in quella notte aveva giocato
335
Moltissimo, bello d'aspetto, e giaceva vinto le membra
da molto dio; fortunato continuamente avesse
eguagliato
quel gioco alla notte e l'avesse protratto fino alla luce:
come un leone digiuno terrorizzando per i pieni
ovili
infatti lo sprona una pazza fame e sbrana e strascina 340
il tenero gregge e muto di paura, rugge con la bocca
sanguinante.
Non minore la strage di Eurialo; eccitato anche lui
impazza e (uccide) molta plebe nel mezzo senza
nome,
e Fado ed Erbeso affronta e Reto ed Abari,
ignari; Reto che vegliava e vedeva tutto, 345
ma temendo si copriva
dietro un grande cratere.
A lui in pieno petto gli nascose tutta la spada
completamente mentre s'alzava e lo
ricevette con molta morte.
Quello vomita la vita purpurea e morendo rigetta vini
misti a sangue, questo incalza furioso
con la rapina. 350
Ormai si volgeva ai compagni di Messapo; li vedeva
l'ultimo fuoco svanire ed i cavalli legati con
cura
brucare l'erba, quando brevemente Niso così,
sentì infatti esser preso da troppa strage e
passione,
"Smettiamo, disse, la luce nemica s'avvicina. 355
si è compiuto abbastanza di vendette, tra i nemici la via
è fatta."
Lasciano molte armi di uomini lavorate in puro argento
insieme a creteri e bei tappeti.
Eurialo (lascia) le
falere di Ramnete e le cinture d'oro
con borchie, che un tempo inviò come doni a Remulo 360
di Tivoli, il ricchissimo
Cedico, alleandosi pur assente
con l'ospitalità; egli morendo lo dà da possedere a suo nipote;
dopo la morte i Rutuli
in guerra ed in battaglia se ne impadronirono:
queste le afferra e le adatta alle spalle inutilmente forti.
Allora vestì
l'agevole elmo di Messapo e decorato
di creste. Escono dall'accampamento e cercano il sicuro.
- Letteratura Latina
- Libro 9
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