Testo originale
Interea praemissi equites ex urbe Latina, 9.367
cetera dum legio campis instructa moratur,
ibant et
Turno regi responsa ferebant,
ter centum, scutati omnes, Volcente magistro. 370
iamque propinquabant castris murosque
subibant
cum procul hos laevo flectentis limite cernunt,
et galea Euryalum sublustri noctis in umbra
prodidit
immemorem radiisque adversa refulsit.
haud temere est visum. conclamat ab agmine Volcens: 375
‘state, viri. quae
causa viae? quive estis in armis?
quove tenetis iter?’ nihil illi tendere contra,
sed celerare fugam in silvas et
fidere nocti.
obiciunt equites sese ad divortia nota
hinc atque hinc, omnemque aditum custode coronant. 380
silva
fuit late dumis atque ilice nigra
horrida, quam densi complerant undique sentes;
rara per occultos lucebat semita
callis.
Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda
impediunt, fallitque timor regione viarum. 385
Nisus abit;
iamque imprudens evaserat hostis
atque locos qui post Albae de nomine dicti
Albani tum rex stabula alta Latinus
habebat,
ut stetit et frustra absentem respexit amicum:
‘Euryale infelix, qua te regione reliqui? 390
quave
sequar, rursus perplexum iter omne revolvens
fallacis silvae?” simul et vestigia retro
observata legit dumisque
silentibus errat.
audit equos, audit strepitus et signa sequentum;
nec longum in medio tempus, cum clamor ad auris 395
pervenit ac videt Euryalum, quem iam manus omnis
fraude loci et noctis, subito turbante tumultu,
oppressum rapit et
conantem plurima frustra.
quid faciat? qua vi iuvenem, quibus audeat armis
eripere? an sese medios moriturus in enses
9.400
inferat et pulchram properet per vulnera mortem?
ocius adducto torquet hastile lacerto
suspiciens altam Lunam
et sic voce precatur:
‘tu, dea, tu praesens nostro succurre labori,
astrorum decus et nemorum Latonia custos. 405
si qua tuis umquam pro me pater Hyrtacus aris
dona tulit, si qua ipse meis venatibus auxi
suspendive tholo aut
sacra ad fastigia fixi,
hunc sine me turbare globum et rege tela per auras.’
dixerat et toto conixus corpore ferrum
410
conicit. hasta volans noctis diverberat umbras
et venit aversi in tergum Sulmonis ibique
frangitur, ac fisso
transit praecordia ligno.
volvitur ille vomens calidum de pectore flumen
frigidus et longis singultibus ilia pulsat.
415
diversi circumspiciunt. hoc acrior idem
ecce aliud summa telum librabat ab aure.
dum trepidant, it hasta Tago
per tempus utrumque
stridens traiectoque haesit tepefacta cerebro.
saevit atrox Volcens nec teli conspicit usquam
9.420
auctorem nec quo se ardens immittere possit.
‘tu tamen interea calido mihi sanguine poenas
persolves
amborum’ inquit; simul ense recluso
ibat in Euryalum. tum vero exterritus, amens,
conclamat Nisus nec se celare
tenebris 425
amplius aut tantum potuit perferre dolorem:
‘me, me, adsum qui feci, in me convertite ferrum,
o
Rutuli. mea fraus omnis, nihil iste nec ausus
nec potuit; caelum hoc et conscia sidera testor;
tantum infelicem nimium
dilexit amicum.’ 430
talia dicta dabat, sed viribus ensis adactus
transadigit costas et candida pectora rumpit.
volvitur Euryalus leto, pulchrosque per artus
it cruor inque umeros cervix conlapsa recumbit:
purpureus veluti cum
flos succisus aratro 435
languescit moriens, lassove papavera collo
demisere caput pluvia cum forte gravantur.
at
Nisus ruit in medios solumque per omnis
Volcentem petit, in solo Volcente moratur.
quem circum glomerati hostes hinc
comminus atque hinc
proturbant. instat non setius ac rotat ensem
fulmineum, donec Rutuli clamantis in ore
condidit
adverso et moriens animam abstulit hosti.
tum super exanimum sese proiecit amicum
confossus, placidaque ibi demum morte
quievit. 445
Fortunati ambo. si quid mea carmina possunt,
nulla dies umquam memori vos eximet aevo,
dum domus
Aeneae Capitoli immobile saxum
accolet imperiumque pater Romanus habebit.
Versione Tradotta dell’Eneide Libro 9, vv. 367-449
Intanto i cavalieri inviati avanti dalla città latina,
mentre il resto della
legione si ferma schierata,
marciavano e portavano al re Turno le risposte,
in trecento, tutti con scudo, sotto la guida
di Volcente. 370
Ormai s’avvicinavano al campo ed arrivavano alle mura
quando vedon costoro che girano sul sentiero a
sinistra,
e l’elmo nell’ombra incerta della notte tradì l’immemore
Eurialo e di fronte risplendette di
raggi.
Non impunemente si vide. Dalla schiera Volcente grida: 375
“Fermate, uomini. Quale motivo di viaggio? O chi siete
con armi?
Dove volgete il cammino?” Nulla essi davano in risposta,
ma affrettavan la fuga nelle selve e s’affidavan
alla notte.
Si lanciano i cavalieri alle note biforcazioni
di qua e di là, e attorniano ogni accesso di guardie. 380
Fu una selva irta attorno di rovi e di nera elce,
che da ogni parte dense spine riempivano;
un rado sentiero
luccicava per nascosti passaggi.
Le tenebre dei rami e la pesante preda bloccano
Eurialo e il timore sulla direzione
delle vie lo inganna. 385
Niso se ne va; e già senza pensare aveva superato i nemici
ed i luoghi che poi son detti Albani
dal nome di Alba,
allora il re Latino aveva grandi stalle,
come si fermò ed invano guardò all’amico
assente:
“Eurialo infelice, in che direzione t’ho lasciato? 390
Dove seguirti, rifacendo di nuovo tutto l’ntricato
percorso
della ingannevole selva?” Nello stesso tempo scruta
a ritroso le orme stampate ed erra tra rovi silenti.
Sente i cavalli, sente gli strepiti ed i segnali degli inseguitori;
e non molto tempo nel mezzo, quando giunge un grido
395
alle orecchie e vede Eurialo, ma ormai tutta la schiera
per l’inganno del luogo e della notte, agitandosi un
improvviso
scompiglio, lo afferra sorpreso e divincolandosi tantissimo invano.
Che fare? Con quale forza, con queli armi
osare strappare
il giovane? O buttarsi a morire in mezzo alle spade 400
ed affrettare una bella morte tra i colpi?
Piuttosto rapidamente alzato il braccio brandisce la lancia
guardando all’alta Luna e così prega con la voce:
”
Tu, dea, tu presente soccorri la nostra impresa,
splendore deglia astri e latonia custode dei boschi. 405
Se mai mio
padre Irtaco per me offrì qualche dono
davanti ai tuoi altari, se io stesso li aumentai con le mie cacce
o li sospesi
alla cupola o li fissai ai sacri frontoni,
lascia che io sconvolga questa schiera e guida le armi nell’aria.”
Aveva
detto e tesosi con tutto il corpo lancia 410
il ferro. La lancia volando rompe le ombre della notte
e giunse nella
schiena di Sulmone voltato e lì
s’infrange e trapassa le viscere, rotto il legno.
Rotola quello vomitando dal petto un
caldo fiume,
e freddo sbatte i fianchi con lunghi singulti. 415
Da ogni parte guadano. Lui più accanito per
questo
ecco librava un’altra arma all’altezza dell’orecchio.
Mentre trepidano, la lancia va su Tago per entrambe
le tempie
stridendo e trapassato il cervello s’arrestò intirpidita.
Impazza feroce Volcente né vede in alcun posto
l’autore 420
del lancio né dove possa buttarsi fremente.
“Tu però intanto mi pagherai il fio per entrambi
col caldo
sangue” disse; insieme sguainata la spada
andava contro Eurialo. Allora sì, atterrito, fuor di sé,
Niso grida né potè di
più celarsi nelle tenebre 425
o sopportare un così garnde dolore.
“Me, me, son io che l’ho fatto, antro me volgete il
ferro,
o Rutuli, mio ogni inganno, niente costui né osò
ne potè; invoco a testimoni di ciò il cielo e le stelle
coscienti;
soltanto amò troppo un amico infelice.” 430
Offriva tali parole, ma con forze la spada spinta
trapassa le
costole e rompe i candidi petti.
Rotola Eurialo nella morte, e per le belle membra
corre il sangue e la testa rovesciata
sulle spalle s’abbandona:
come quando un purpureo fiore reciso dall’aratro 435
languisce morente, o sul collo
stanco i papaveri
abbassarono il capo quando per caso son gravati da pioggia.
Ma Niso precipita in mezzo e tra tutti
cerca il solo
Volcente, sul solo Volcente si ferma.
Ma i nemici schierati attorno di qua e di là da vicino 440
lo
respingono. Non di meno insiste e ruota la spada
fulminea, finchè la nascose nella bocca di fronte
del Rutulo urlante e,
morente, tolse la vita al nemico.
Poi si gettò sopra l’amico esanime,
trafitto, e li finalmente riposò di placida
morte. 445
Fortunati entrambi. Se i miei versi posson qualcosa,
nessun giorno mai vi toglierà da un’epoca
memore,
fin che la casa d’Enea abiterà l’immobile roccia
del Campidoglio el il padre romano terrà il
potere.
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