Eneide, Libro 9, traduzione vv. 473-524 - Studentville

Eneide, Libro 9, traduzione vv. 473-524

Interea pavidam volitans pennata per urbem 9.473
nuntia Fama ruit matrisque

adlabitur auris
Euryali. at subitus miserae calor ossa reliquit, 475
excussi manibus radii revolutaque pensa.
evolat

infelix et femineo ululatu spondaico
scissa comam muros amens atque agmina cursu
prima petit, non illa virum, non illa

pericli
telorumque memor, caelum dehinc questibus implet: 480
‘hunc ego te, Euryale, aspicio? tune ille senectae

sera meae requies, potuisti linquere solam,
crudelis? nec te sub tanta pericula missum
adfari extremum miserae data

copia matri?
heu, terra ignota canibus data praeda Latinis 485
alitibusque iaces. nec te tua funera mater
produxi

pressive oculos aut vulnera lavi,
veste tegens tibi quam noctes festina diesque
urgebam, et tela curas solabar anilis.

quo sequar? aut quae nunc artus avulsaque membra 490
et funus lacerum tellus habet? hoc mihi de te,
nate, refers?

hoc sum terraque marique secuta?
figite me, si qua est pietas, in me omnia tela
conicite, o Rutuli, me primam absumite

ferro;
aut tu, magne pater divum, miserere, tuoque 495
invisum hoc detrude caput sub Tartara telo,
quando aliter

nequeo crudelem abrumpere vitam.’
hoc fletu concussi animi, maestusque per omnis
it gemitus, torpent infractae ad

proelia vires.
illam incendentem luctus Idaeus et Actor 9.500
Ilionei monitu et multum lacrimantis Iuli
corripiunt

interque manus sub tecta reponunt.
At tuba terribilem sonitum procul aere canoro onomat
increpuit, sequitur clamor

caelumque remugit.
accelerant acta pariter testudine Volsci 505
et fossas implere parant ac vellere vallum;
quaerunt

pars aditum et scalis ascendere muros,
qua rara est acies interlucetque corona
non tam spissa viris. telorum effundere

contra
omne genus Teucri ac duris detrudere contis, 510
adsueti longo muros defendere bello.
saxa quoque infesto

volvebant pondere, si qua
possent tectam aciem perrumpere, cum tamen omnis
ferre iuvet subter densa testudine casus.

nec iam sufficiunt. nam qua globus imminet ingens, 515
immanem Teucri molem volvuntque ruuntque,
quae stravit

Rutulos late armorumque resolvit
tegmina. nec curant caeco contendere Marte
amplius audaces Rutuli, sed pellere vallo

missilibus certant. 9.520
parte alia horrendus visu quassabat Etruscam
pinum et fumiferos infert Mezentius ignis;

at Messapus equum domitor, Neptunia proles,
rescindit vallum et scalas in moenia poscit.

Versione tradotta

Intanto la pennuta fama volteggiando per la città sgomenta annun
corre messaggera e

sfiora le orecchie della madre
di Eurialo. Ma improvviso il calore abbandona le ossa, 475
i fusi crollarono dalle mani

rotolarono i gomitoli di lana.
Vola via l'infelice e con un urlo di donna
scilta la chioma, fuor di sé di corsa cerca

le mura e
le prime schiere, non memore, lei, degli uomini, non lei
del pericolo, quindi riempie il cielo di lamenti:

480
"Così io te, Eurialo, vedo? Tu quella pace finale
della mia vecchiaia, potesti lasciarmi sola,
crudele? Né fu

data la possibilità alla misera madre
un'ultima volta di parlare a te inviato a così gravi pericoli?
Ahi, giaci su

terra ignota, come preda data ai cani 485
latini ed agli uccelli. Né io, la madre, preparai te, le tue
esequie o chiusi

gli occhi o lavai le ferite,
coprendo con la veste che per te sollecita giorni e noti
affrettavo e con la tela consolavo

gli affanni senili.
Dove seguirti? O quale terra adesso tiene le braccia e 490
le membra squartate ed il cadavere lacero?

Questo di te mi
riporti, figlio? Per questo ti ho seguita per terra e per mare?
Trafiggetemi, se c'è una pietà, tutte

le armi su di me
gettatele, o Rutuli, me per prima annientate col ferro;
o tu, grande padre degli dei, abbi pietà e con

la tua 495
arma scaglia questo capo odioso sotto il Tartaro,
poiché non posso diversamente annientare una vita

crudele."
A questo pianto si sconvolsero gli animi, un mesto gemito
corre fra tutti, le forze spezzate sono fiacche per

gli scontri.
Lei che incendiava pianti l'afferrano Ideo ed Attore 500
su consiglio di Ilioneo e di Iulo piangente a

dirotto
e tra le braccia la riportono sotto i tetti.
Ma la tromba da lontano col bronzo sonoro un terribile

squillo
echeggiò, segue un grido ed il cielo rimbomba.
Creata una testuggine i Volsci s'affrettano insieme 505
e

si preparano a riempire i fossati e svellere il vallo;
parte cercano un varco e scalare le mura con scale,
dove la

schiera è rada risalta una cerchia non tanto
densa di uomini. I Teucri riversano contro ogni sorta
di armi e respingono

con dure pertiche, 510
abituati a difender le mura con lunga guerra.
Rotolavano fure sassi di peso terrificante, si

potessero
da qualche parte spezzare la schiera coperta, mentre è dovere
sopportare ogni situazione sotto la testuggine.

Ma ormai non resistono. Infatti dove il gruppo incalza 515
numeroso, i Teucri rotolano e precipitano un masso

gigantesco,
che atterrò atorno i Rutuli e rovinò i tetti
di armi. Ma i Rutuli audacinon curano più di lottare
con

Marte cieco, ma s'impegnano a cacciarli dal vallo
con proiettili. 520
Da un'altra parte, orribile a vedersi,

Mezenzio scuoteva
un pino etrusco e porta fuochi fumosi;
ma Messapo, domator di cavalli, prole di Nettuo,
spacca il

vallo e chiede scale contro le mura.

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