Eneide, Libro 9, traduzione vv. 525-589 - Studentville

Eneide, Libro 9, traduzione vv. 525-589

Vos, o Calliope, precor, aspirate canenti 9.525
quas ibi tum ferro strages, quae funera Turnus

ediderit, quem quisque virum demiserit Orco,
et mecum ingentis oras evolvite belli.
[et meministis enim, divae, et

memorare potestis ]
Turris erat vasto suspectu et pontibus altis, 530
opportuna loco, summis quam viribus omnes

expugnare Itali summaque evertere opum vi
certabant, Troes contra defendere saxis
perque cavas densi tela

intorquere fenestras.
princeps ardentem coniecit lampada Turnus 535
et flammam adfixit lateri, quae plurima vento

corripuit tabulas et postibus haesit adesis.
turbati trepidare intus frustraque malorum
velle fugam. dum se

glomerant retroque residunt
in partem quae peste caret, tum pondere turris 9.540
procubuit subito et caelum tonat omne

fragore.
semineces ad terram immani mole secuta
confixique suis telis et pectora duro
transfossi ligno veniunt. vix

unus Helenor
et Lycus elapsi; quorum primaevus Helenor, 545
Maeonio regi quem serva Licymnia furtim
sustulerat

vetitisque ad Troiam miserat armis,
ense levis nudo parmaque inglorius alba.
isque ubi se Turni media inter milia

vidit,
hinc acies atque hinc acies astare Latinas, 550
ut fera, quae densa venantum saepta corona
contra tela furit

seseque haud nescia morti
inicit et saltu supra venabula fertur;
haud aliter iuvenis medios moriturus in hostis

inruit et qua tela videt densissima tendit. 555
at pedibus longe melior Lycus inter et hostis
inter et arma fuga

muros tenet, altaque certat
prendere tecta manu sociumque attingere dextras.
quem Turnus pariter cursu teloque secutus

increpat his victor: ‘nostrasne evadere, demens, 9.560
sperasti te posse manus?’ simul arripit ipsum
pendentem

et magna muri cum parte revellit:
qualis ubi aut leporem aut candenti corpore cycnum
sustulit alta petens pedibus Iovis

armiger uncis,
quaesitum aut matri multis balatibus agnum 565
Martius a stabulis rapuit lupus. undique clamor

tollitur: invadunt et fossas aggere complent,
ardentis taedas alii ad fastigia iactant.
Ilioneus saxo atque ingenti

fragmine montis
Lucetium portae subeuntem ignisque ferentem, 570
Emathiona Liger, Corynaeum sternit Asilas,
hic

iaculo bonus, hic longe fallente sagitta,
Ortygium Caeneus, victorem Caenea Turnus,
Turnus Ityn Cloniumque, Dioxippum

Promolumque
et Sagarim et summis stantem pro turribus Idan, 575
Privernum Capys. hunc primo levis hasta Themillae

strinxerat, ille manum proiecto tegmine demens
ad vulnus tulit; ergo alis adlapsa sagitta
et laevo infixa est alte

lateri, abditaque intus
spiramenta animae letali vulnere rupit. 9.580
stabat in egregiis Arcentis filius armis

pictus acu chlamydem et ferrugine clarus Hibera,
insignis facie, genitor quem miserat Arcens
eductum Martis luco

Symaethia circum
flumina, pinguis ubi et placabilis ara Palici: 585
stridentem fundam positis Mezentius hastis
ipse

ter adducta circum caput egit habena
et media adversi liquefacto tempora plumbo
diffidit ac multa porrectum extendit

harena.

Versione tradotta

Voi, o Calliope, prego, ispirate a chi canta 525

quali stragi allora vi (fece) Turno, quali morti
produsse, quele uomo ciascuno spedì all'Orco,
e con me spiegate

le grandi arree di guerra.
[lo ricordate infatti, dee, e potete raccontare.]
C'era una torre di grande altezza ed

enormi ponti, 530
strategica per luogo, che tutti gli Itali con sommi
sforzi tentavano di espugnare ed abbattere con

somma potenza
di mezzi, di contro i Teucri a difenderla con sassi e
numerosi per le cave finestre a lanciare

armi.
Per primo Turno gettò una torcia ardente 535
ed appiccò la fiamma ad un lato, che grandissima per il

vento
afferrò le tavole e si attaccò alle porte divorate.
Turbati dentro trepidavano ed invano volevano la fuga
dei

mali. Mentre si radunavano e si fermavano dentro
nella parte che è priva di rovina, allora per il peso la torre 540

crollò improvvisamente e tutto il cielo rimbomba per il fragore.
Semivivi per terra, poiché la grande mole

seguiva,
giungono trafitti dalle loro armi e trapassati i petti
dal duro legno. A stento Elenore solo
e Lico

sfuggiti; il più giovane di questi Elenore, 545
che la schiava Licimnia furtivamente aveva allevato
per il re Meonio ed

aveva inviato a Troia con armi proibite,
veloce con la nuda spada e non famoso con.il bianco scudo.
Egli quando si vide

in mezzo alle migliaia di Turno,
di qua schiere ed ancora schiere latine sbarrarlo, 550
come belva, che assediata da una

fitta cerchia di cacciatori
infuria contro le armi e si getta alla morte, non inconscia,
e con un salto si porta sopra

gli spiedi;
non diversamente il giovane si lancia a morire in mezzo
ai nemici e si volge dove vede più fitte le armi.

555
Ma molto migliore di piedi Lico raggiunge in fuga
le mura sia tra nemici che tra le armi, tenta di afferrare
con

la mano gli alti tetti e toccare le destre dei compagni.
Ma Turno ugualmente seguendolo di corsa e con

l'arma
vittorioso lo apostrofa così: "Forse sperasti, pazzo, di poter 560
sfuggire le nostre mani?" Subito lo

afferra
mentre pencola e lo strappa con granparte del muro:
come quando (l'aquila) scudiero di Giove con le zampe

uncinate
librandosi in alto ha sollevato o una lepre o un cigno dal corpo
candido o il marzio lupo ha rapito dagli ovili

un agnello 565
cercato con molti belati dalla madre. Da ogni parte si alza
un grido: irrompono e riempiono il

fossato,
altri scagliano torce ardenti ai tetti.
Ilioneo atterra con un sasso ed un enorme frammento
di monte Lucezio

che s'avvicinava alla porta e portava fuochi, 570
Ligeri (atterra) Emazione, Asila Corineo,
bravo costui nel lancio,

l'altro con l'insidiante freccia da lontano,
Ceneo Ortigio, Turno Ceneo vincitore,
Turno Iti e Clonio, Dioxippo e

Promulo,
Sagari ed Ida che stava davanti alle altissime torri, 575
Capi Priverno. Prima la lancia di Temilla aveva

sfiorato costui, egli, pazzo, gettato lo scudo portò
la mano alla ferita; allora un'alata freccia arrivò
e si

infisse in alto sul fianco sinistro, dentro nascosta
ruppe con ferita mortale i passaggi della vita. 580
Stava in belle

armi il figlio di Arcente
lavorata la clamide con l'ago e splendido di porpora iberica,
notevole di aspetto, che il

padre Arcente aveva mandato
cresciutolo nel bosco di marte attorno al fiume Simeto,
dove (c'è) il ricco e benigno

altare di Palico: 585
lo stesso Mezenzio, deposte le lance, girò tre volte
attorno alla testa, tirata la cinghia, la

stridente fionda
e , di fronte, gli spaccò in mezzo le tempie col piombo
liquefatto e lo stese allungato su molta

sabbia.

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