Caesar cum complures
suos vulnerari videret, ex omnibus oppidi partibus cohortes montem ascendere et simulatione moenium occupandorum clamorem
undique iubet tollere. Quo facto perterriti oppidani, cum quid ageretur in locis reliquis essent suspensi, revocant ab
impugnandis operibus armatos murisque disponunt. Ita nostri fine proeli facto celeriter opera flamma comprehensa partim
restinguunt, partim interscindunt. Cum pertinaciter resisterent oppidani, magna etiam parte amissa siti suorum in sententia
permanerent, ad postremum cuniculis venae fontis intercisae sunt atque aversac. Quo facto repente perennis exaruit fons
tantamque attulit oppidanis salutis desperationem, ut id non hominum consilio, sed deorum voluntate factum putarent. Itaque se
necessitate coacti tradiderunt.
Versione tradotta
Cesare, vedendo che
parecchi dei suoi venivano colpiti, ordina alle coorti di scalare il monte da tutti i lati della città e di levare dappertutto
violenti clamori, simulando di dover occupare le mura. Gli abitanti, terrorizzati dalla nostra manovra, inquieti su ciò che
succedeva altrove, richiamano i soldati che attaccavano le nostre costruzioni e li dispongono sulle mura. Così, i nostri,
chiusosi lo scontro, presto in parte domano, in parte isolano l'incendio che si era propagato sulle nostre difese. Eppure
gli assediati continuavano testardamente la difesa e, pur avendo perso per sete gran parte dei loro, rimanevano fermi nel loro
proposito; alla fine i nostri, con le gallerie, riuscirono a tagliare le vene della sorgente e a deviare l'acqua. Il che
inaridì all'improvviso una fonte perenne e provocò negli abitanti la caduta di ogni speranza, al punto che pensarono si
trattasse non di opera umana, ma della volontà divina. Così, costretti dalla necessità, si arresero.
- Letteratura Latina
- Libro 8
- Aulo Irzio
- De Bello Gallico