De Bello Gallico, Libro VIII - Par. 48 - Studentville

De Bello Gallico, Libro VIII - Par. 48

Erat attributus Antonio

praefectus equitum C. Volusenus Quadratus qui cum eo hibernaret. Hunc Antonius ad persequendum equitatum hostium mittit.

Volusenus ad eam virtutem, quae singularis erat in eo, magnum odium Commi adiungebat, quo libentius id faceret quod

imperabatur. Itaque dispositis insidiis saepius equites eius adgressus secunda proelia faciebat. Novissime, cum vehementius

contenderetur, ac Volusenus ipsius intercipiendi Commi cupiditate pertinacius eum cum paucis insecutus esset, ille autem fuga

vehementi Volusenum produxisset longius, inimicus homini suorum invocat fidem atque auxilium, ne sua vulnera per fidem imposita

paterentur impunita, conversoque equo se a ceteris incautius permittit in praefectum. Faciunt hoc idem omnes eius equites

paucosque nostros convertunt atque insequuntur. Commius incensum calcaribus equum coniungit equo Quadrati lanceaque infesta

magnis viribus medium femur traicit Voluseni. Praefecto vulnerato non dubitant nostri resistere et conversis equis hostem

pellere. Quod ubi accidit, complures hostium magno nostrorum impetu perculsi vulnerantur ac partim in fuga proteruntur, partim

intercipiuntur; quod malum dux equi velocitate evitavit: graviter adeo vulneratus praefectus, ut vitae periculum aditurus

videretur, refertur in castra. Commius autem sive expiato suo dolore sive magna parte amissa suorum legatos ad Antonium mittit

seque et ibi futurum, ubi praescripserit, et ea facturum, quae imperarit, obsidibus firmat; unum illud orat, ut timori suo

concedatur, ne in conspectum veniat cuiusquam Romani. Cuius postulationem Antonius cum iudicaret ab iusto nasci timore, veniam

petenti dedit, obsides accepit.
Scio Caesarem singulorum annorum singulos commentarios confecisse; quod ego non existimavi

mihi esse faciendum, propterea quod insequens annus, L. Paulo C. Marcello consulibus, nullas habet magnopere Galliae res

gestas. Ne quis tamen ignoraret, quibus in locis Caesar exercitusque eo tempore fuissent, pauca esse scribenda coniungendaque

huic commentario statui.

Versione tradotta

Ad Antonio era stato assegnato il prefetto della

cavalleria C. Voluseno Quadrato, che svernava con lui. Antonio lo manda a inseguire la cavalleria nemica. Voluseno, allo

straordinario valore, accompagnava un odio feroce nei confronti di Commio, perciò obbedì all'ordine ancor più volontieri.

Così, tendendo imboscate, attaccava con notevole frequenza i cavalieri nemici e dava vita a scontri coronati da successo. In

ultimo, mentre si combatteva con particolare asprezza, Voluseno, con pochi dei suoi, insegue Commio con eccessiva ostinazione,

per la smania di catturarlo; e quello, fuggendo a precipizio, costringe Voluseno ad allontanarsi troppo. Poi, nemico com'era

di Voluseno, all'improvviso fa appello alla fedeltà e all'aiuto dei suoi, chiede loro di non lasciar invendicate le

ferite che gli erano state inferte a tradimento: volge il cavallo e, spingendosi davanti a tutti, si lancia inaspettatamente

contro il prefetto. Altrettanto fanno i suoi cavalieri: costringono i pochi nostri a volgere le spalle e li inseguono. Commio,

pungolando ferocemente coi talloni il cavallo, affianca il destriero di Quadrato e, lancia in resta, gli trapassa con violenza

la coscia. Vedendo il prefetto colpito, i nostri non esitano a bloccarsi di colpo, volgono i cavalli e respingono il nemico.

Subito molti degli avversari, scombussolati dall'impetuoso assalto dei nostri, vengono feriti; alcuni cadono sotto gli

zoccoli dei cavalli mentre cercavano la fuga, altri sono catturati. Il comandante nemico, grazie alla velocità del suo cavallo,

riesce a scamparla; in quella battaglia vittoriosa, però, il prefetto romano rimase gravemente ferito, al punto che sembrava

dovesse morire, e fu riportato all'accampamento. Ma Commio, vuoi, che sentisse placato il proprio rancore, vuoi per la

perdita della maggior parte dei suoi, invia una legazione ad Antonio: sarebbe rimasto dove gli avesse ordinato e avrebbe

obbedito a ogni comando, sancendo la promessa con l'invio di ostaggi; di una sola cosa lo pregava, che, in ragione del suo

timore, gli fosse concesso di non comparire al cospetto di nessun romano. Antonio, giudicando che la richiesta nasceva da una

giusta paura, accordò il permesso e accolse gli ostaggi.
So che Cesare ha composto singoli commentari per ciascun anno, ma

non ho ritenuto il caso di fare altrettanto, perché l'anno seguente, durante il consolato di L. Paolo e C. Marcello, non si

verificarono in Gallia imprese di rilievo. Tuttavia, perché si sappia in quali zone rimasero in quell'anno Cesare e

l'esercito, ho deciso di scrivere poche pagine e di unirle al presente commentario.

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