Erat attributus Antonio
praefectus equitum C. Volusenus Quadratus qui cum eo hibernaret. Hunc Antonius ad persequendum equitatum hostium mittit.
Volusenus ad eam virtutem, quae singularis erat in eo, magnum odium Commi adiungebat, quo libentius id faceret quod
imperabatur. Itaque dispositis insidiis saepius equites eius adgressus secunda proelia faciebat. Novissime, cum vehementius
contenderetur, ac Volusenus ipsius intercipiendi Commi cupiditate pertinacius eum cum paucis insecutus esset, ille autem fuga
vehementi Volusenum produxisset longius, inimicus homini suorum invocat fidem atque auxilium, ne sua vulnera per fidem imposita
paterentur impunita, conversoque equo se a ceteris incautius permittit in praefectum. Faciunt hoc idem omnes eius equites
paucosque nostros convertunt atque insequuntur. Commius incensum calcaribus equum coniungit equo Quadrati lanceaque infesta
magnis viribus medium femur traicit Voluseni. Praefecto vulnerato non dubitant nostri resistere et conversis equis hostem
pellere. Quod ubi accidit, complures hostium magno nostrorum impetu perculsi vulnerantur ac partim in fuga proteruntur, partim
intercipiuntur; quod malum dux equi velocitate evitavit: graviter adeo vulneratus praefectus, ut vitae periculum aditurus
videretur, refertur in castra. Commius autem sive expiato suo dolore sive magna parte amissa suorum legatos ad Antonium mittit
seque et ibi futurum, ubi praescripserit, et ea facturum, quae imperarit, obsidibus firmat; unum illud orat, ut timori suo
concedatur, ne in conspectum veniat cuiusquam Romani. Cuius postulationem Antonius cum iudicaret ab iusto nasci timore, veniam
petenti dedit, obsides accepit.
Scio Caesarem singulorum annorum singulos commentarios confecisse; quod ego non existimavi
mihi esse faciendum, propterea quod insequens annus, L. Paulo C. Marcello consulibus, nullas habet magnopere Galliae res
gestas. Ne quis tamen ignoraret, quibus in locis Caesar exercitusque eo tempore fuissent, pauca esse scribenda coniungendaque
huic commentario statui.
Versione tradotta
Ad Antonio era stato assegnato il prefetto della
cavalleria C. Voluseno Quadrato, che svernava con lui. Antonio lo manda a inseguire la cavalleria nemica. Voluseno, allo
straordinario valore, accompagnava un odio feroce nei confronti di Commio, perciò obbedì all'ordine ancor più volontieri.
Così, tendendo imboscate, attaccava con notevole frequenza i cavalieri nemici e dava vita a scontri coronati da successo. In
ultimo, mentre si combatteva con particolare asprezza, Voluseno, con pochi dei suoi, insegue Commio con eccessiva ostinazione,
per la smania di catturarlo; e quello, fuggendo a precipizio, costringe Voluseno ad allontanarsi troppo. Poi, nemico com'era
di Voluseno, all'improvviso fa appello alla fedeltà e all'aiuto dei suoi, chiede loro di non lasciar invendicate le
ferite che gli erano state inferte a tradimento: volge il cavallo e, spingendosi davanti a tutti, si lancia inaspettatamente
contro il prefetto. Altrettanto fanno i suoi cavalieri: costringono i pochi nostri a volgere le spalle e li inseguono. Commio,
pungolando ferocemente coi talloni il cavallo, affianca il destriero di Quadrato e, lancia in resta, gli trapassa con violenza
la coscia. Vedendo il prefetto colpito, i nostri non esitano a bloccarsi di colpo, volgono i cavalli e respingono il nemico.
Subito molti degli avversari, scombussolati dall'impetuoso assalto dei nostri, vengono feriti; alcuni cadono sotto gli
zoccoli dei cavalli mentre cercavano la fuga, altri sono catturati. Il comandante nemico, grazie alla velocità del suo cavallo,
riesce a scamparla; in quella battaglia vittoriosa, però, il prefetto romano rimase gravemente ferito, al punto che sembrava
dovesse morire, e fu riportato all'accampamento. Ma Commio, vuoi, che sentisse placato il proprio rancore, vuoi per la
perdita della maggior parte dei suoi, invia una legazione ad Antonio: sarebbe rimasto dove gli avesse ordinato e avrebbe
obbedito a ogni comando, sancendo la promessa con l'invio di ostaggi; di una sola cosa lo pregava, che, in ragione del suo
timore, gli fosse concesso di non comparire al cospetto di nessun romano. Antonio, giudicando che la richiesta nasceva da una
giusta paura, accordò il permesso e accolse gli ostaggi.
So che Cesare ha composto singoli commentari per ciascun anno, ma
non ho ritenuto il caso di fare altrettanto, perché l'anno seguente, durante il consolato di L. Paolo e C. Marcello, non si
verificarono in Gallia imprese di rilievo. Tuttavia, perché si sappia in quali zone rimasero in quell'anno Cesare e
l'esercito, ho deciso di scrivere poche pagine e di unirle al presente commentario.
- De Bello Gallico
- Libro 8
- Aulo Irzio
- De Bello Gallico