Cum fama exercitus ad hostes esset perlata,
calamitate ceterorum ducti Carnutes desertis vicis oppidisque, quae tolerandae hiemis causa constitutis repente exiguis ad
necessitatem aedificiis incolebant (nuper enim devicti complura oppida dimiserant), dispersi profugiunt. Caesar erumpentes eo
maxime tempore acerrimas tempestates cum subire milites nollet, in oppido Carnutum Cenabo castra ponit atque in tecta partim
Gallorum, partim quae coniectis celeriter stramentis tentoriorum integendorum gratia erant inaedificata, milites compegit.
Equites tamen et auxiliarios pedites in omnes partes mittit quascumque petisse dicebantur hostes; nec frustra: nam plerumque
magna praeda potiti nostri revertuntur. Oppressi Carnutes hiemis difficultate, terrore periculi, cum tectis expulsi nullo loco
diutius consistere auderent nec silvarum praesidio tempestatibus durissimis tegi possent, dispersi magna parte amissa suorum
dissipantur in finitimas civitates.
Versione tradotta
Quando la notizia di truppe in movimento giunse ai
nemici, i Carnuti, edotti dalle sciagure altrui, abbandonano i villaggi e le città in cui abitavano dopo aver frettolosamente
allestito piccole costruzioni per ripararsi dall'inverno (infatti, in seguito alla recente sconfitta avevano perduto
parecchie città) e fuggono sbandati. Cesare non voleva che i soldati affrontassero i rigori della stagione, tremendi proprio in
quel periodo: pone il campo in una città dei Carnuti, Cenabo, ammassa parte dei soldati nelle case dei Galli, parte in ripari
approntati gettando alla svelta paglia sulle tende. Comunque, manda i cavalieri e i fanti ausiliari in tutte le direzioni in
cui si diceva che si fossero mossi i nemici. E non invano: i nostri, infatti, rientrano per lo più con un ricco bottino. I
Carnuti si trovarono stretti dalle difficoltà dell'inverno e atterriti dal pericolo; cacciati dalle loro case, non osavano
fermarsi stabilmente in nessun luogo, né potevano sfruttare il riparo delle selve per l'inclemenza della stagione. Divisi,
perdono gran parte dei loro e si sparpagliano presso le popolazioni vicine.
- Letteratura Latina
- Libro 8
- Aulo Irzio
- De Bello Gallico