Cum omnes regiones Galliae togatae Caesar percucurrisset, summa celeritate ad exercitum Nemetocennam rediit
legionibusque ex omnibus hibernis ad fines Treverorum evocatis eo profectus est ibique exercitum lustravit. T. Labienum Galliae
togatae praefecit, quo maiore commendatione conciliaretur ad consulatus petitionem. Ipse tantum itinerum faciebat, quantum
satis esse ad mutationem locorum propter salubritatem existimabat. Ibi quamquam crebro audiebat Labienum ab inimicis suis
sollicitari certiorque fiebat id agi paucorum consiliis, ut interposita senatus auctoritate aliqua parte exercitus spoliaretur,
tamen neque de Labieno credidit quidquam neque contra senatus auctoritatem ut aliquid faceret potuit adduci. Iudicabat enim
liberis sententiis patrum conscriptorum causam suam facile obtineri. Nam C. Curio, tribunus plebis, cum Caesaris causam
dignitatemque defendendam suscepisset, saepe erat senatui pollicitus, si quem timor armorum Caesaris laederet, et quoniam
Pompei dominatio atque arma non minimum terrorem foro inferrent, discederet uterque ab armis exercitusque dimitteret: fore eo
facto liberam et sui iuris civitatem. Neque hoc tantum pollicitus est, sed etiam sc. per discessionem facere coepit; quod ne
fieret consules amicique Pompei iusserunt atque ita rem morando discusserunt.
Versione tradotta
Dopo aver percorso tutte le regioni della Gallia
togata, con estrema rapidità Cesare rientrò a Nemetocenna presso l'esercito; richiamate nelle terre dei Treveri le legioni
che erano nei campi invernali, le raggiunse e passò in rassegna le truppe. Pose T. Labieno a capo della Gallia togata, per
guadagnare un maggior favore alla sua candidatura al consolato. Spostava l'esercito di tanto, quanto gli pareva utile mutare
i luoghi per ragioni igieniche. In quel periodo gli giungeva ripetutamente voce che i suoi avversari facevano pressioni su
Labieno e veniva avvertito che, per le manovre di pochi, si cercava di sottrargli parte delle truppe mediante un intervento del
senato. Tuttavia, non prestò fede alle voci su Labieno, né si lasciò indurre ad atti che contrastassero con l'autorità del
senato. Era convinto, infatti, che se vi fosse stata una libera votazione dei senatori, la sua causa avrebbe prevalso con
facilità. E C. Curione, tribuno della plebe, avendo preso a difendere le ragioni e l'onore di Cesare, aveva più volte detto
al senato che, se il timore delle armi di Cesare infastidiva qualcuno, il potere assoluto e gli armamenti di Pompeo incutevano
al foro non meno terrore, e aveva proposto che entrambi deponessero le armi e congedassero i loro eserciti: la città, così,
sarebbe ritornata libera e indipendente. E non si limitò a proporlo, ma prese, lui, l'iniziativa di una votazione per
spostamento: a essa si opposero i consoli e gli amici di Pompeo e tirarono in lungo la cosa fino a che l'assemblea non si
sciolse.
- De Bello Gallico
- Libro 8
- Aulo Irzio
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