L'identità esistenziale e letteraria di Jacopo Ortis - Studentville

L'identità esistenziale e letteraria di Jacopo Ortis

Iacopo Ortis, la proiezione letteraria del giovane Foscolo.

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Jacopo Ortis, l'eroe del romanzo, è considerato una proiezione letteraria dello scrittore giovane. Tuttavia non bisogna confondere la realtà storica riferita alla vita del giovane Foscolo
autore reale con la personalità di Jacopo, protagonista del romanzo epistolare e pura creazione letteraria. L'identità di Jacopo è infatti soprattutto identità letteraria: egli assomiglia molto agli eroi alfieriani suicidi nel rivendicare la loro libertà morale contro il tiranno. Tutti gli atteggiamenti di Jacopo e la sua stessa psicologia sono il risultato di numerose letture e di precisi modelli culturali. Tra questi modelli ricordiamo:

Machiavelli, primo sostenitore dell'indipendenza italiana e critico testimone del crudele potere dei principi

Vico, pensatore settecentesco che richiama la ricorsività della storia.

Parini, difensore della funzione culturale e morale dell'intellettuale

Alfieri, ispiratore del modello tragico del suicida, che rivendica lo spirito di libertà di fronte al tiranno.

Goethe, che nel Werther individua il topos del suicida per amore

Socrate, Seneca, Cocceo Nerva esempi classici di filosofi e personaggi del mondo classico morti suicidi.

Al lettore

Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio e conforto.

Lorenzo Alderani

Tutto è apparecchiato; la notte è già troppo avanzata – addio – fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità. Nel nulla? Sì. – Sì, sì; poiché sarò senza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserba alcun luogo ov'io possa riunirmi teco per sempre, le prego dalle viscere dell'anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perché egli m'abbandoni soltanto nel nulla. Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai – ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.

Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. – Ora tu accogli l'anima mia.

Questi passi, tratti rispettivamente dalla prima e dalle ultime pagine del romanzo, fanno riferimento al personaggio di Jacopo ed alla sua forte personalità. La scelta radicale del suicidio, a lungo meditata e conseguenza della duplice delusione politica ed amorosa, viene vista dall'amico Alderani non come un atto di debolezza, ma come un gesto virtuoso (io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta)  al quale molti giovani potranno riferirsi come esempio di lealtà e di coerenza morale. Essa si spinge fino alla rinuncia della vita per non venire a patti con una realtà bassa e compromissoria.

L'identità del personaggio sembra essere assolutamente nitida, senza ombre. Così Jacopo dice di se stesso poco prima di morire Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso. E questo a anche se noi sappiamo che Jacopo è stato a lungo tentato dall'intraprendere una nuova azione militare nel Veneto per ribaltare gli esiti del trattato di Campoformio, con cui si cedeva il Veneto all'Austria. Dunque la sua decisione è passata attraverso debolezze e valutazioni, che altri personaggi hanno avuto il compito di presentare. In particolare è stato Parini a dissuadere Jacopo dall'azione militare, del tutto inattuabile in questo momento storico.

Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch'io m'abbia mai conosciuto; e d'altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l'amore figliale – e poi mi tesseva gli annali recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d'animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e' si vedano presso il patibolo – ma ladroncelli, tremanti, saccenti – più onesto insomma è tacerne. – A quelle parole io m'infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore. – Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si rialzò con aria minaccevole – io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. – Il Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accennandomi perch'io tornassi a sedermi: E pensi, tu, proruppe, che s'io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaja in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni?
Allora io guardai nel passato – allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato.

Milano, 4 dicembre

In conclusione il suicidio di Jacopo si può interpretare come una rappresentazione letteraria del dramma del giovane Foscolo, entusiasta delle idee giacobine di democrazia e libertà ma profondamente deluso dagli esiti delle campagne napoleoniche in Italia e dall'atteggiamento del generale francese. Al centro del romanzo c'è un personaggio che incarna romanticamente questo dramma storico, utilizzando anche modelli classici, attualizzati e reinterpretati.

La tendenza a rivivere poeticamente le grandi leggende ed i grandi miti del passato, mettendo l'accento sull'attualità esistenziale e psicologica di queste situazioni è del resto una costante dell'opera di Foscolo. La sua identità / personalità si può interpretare solo attraverso tali attualizzazioni nostalgiche e disperate che sdoppiano l'autore in altrettante proiezioni poetiche.

– Ulisse è modello dell'esule, eterno e sventurato viaggiatore, capace però del ritorno alla sua terra

– Ettore è l'eroe guerriero capace di sacrificio per la sua patria

– Omero è il poeta vate che ricorda ai posteri le belle imprese di vincitori e vinti e canta il dolore per la morte dei virtuosi.

  • 800
  • Ugo Foscolo
  • Letteratura Italiana - 800

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