Augustus, cum in villa esset atque iniqu¡ febricul¡ laboraret, noctes inquietas plerumque agebat. Etenim non amplius horas quinque quiescere poterat nec eas continuas, cum somno obesset creberrimus tristisque noctuae cantus; unde fiebat ut nocte ter repente expergisceretur. Sed molestiam cum extenuare non posset, lectorem arcessebat, ut vox legentis submissa aliquando somnum sibi conciliaret. At ne hoc quidem ei profuit. Olim igitur, cum audivisset senatorem, quamvis aere alieno oppressum, arte et graviter dormire posse, misit confestim in urbem servum, ut illus culctam emeret. Cum amici quaererent cur tantopere ei prodesset alienam culcitam habere, sic respondit: «Ut illa culcita, in qua homo, qui tantum debebat, semper dormire potuit, prosit somno meo».
Versione tradotta
Augusto, trovandosi nella villa e soffrendo a causa di una nociva febbriciattola, trascorreva generalmente notti inquiete. Ed infatti non riusciva a dormire per più di cinque ore e queste neppure continue, dato che il triste e molto assiduo canto della civetta disturbava il sonno; da ciò accadeva che si svegliasse improvvisamente tre o quattro volte durante la notte. Ma non potendo attenuare il fastidio, mandava a chiamare il lettore, affinché la voce sommessa di colui che leggeva gli conciliasse una buona volta il sonno. Ma neppure ciò gli fu utile. Una volta dunque, avendo udito che un senatore, sebbene oppresso dai debiti, riusciva a dormire pesantemente e profondamente, inviò immediatamente in città un servo, a comprare il materasso di costui. Quando gli amici gli chiedevano perché gli giovasse tanto avere il materasso altrui, rispose così: "perché quel materasso, su cui un uomo, che aveva tanti debiti, riuscì sempre a dormire, giovi al mio sonno".
- Letteratura Latina
- La Lingua delle Radici 1
- Versioni dai Libri di Esercizi