L'interpretazione di Zambrano - Studentville

L'interpretazione di Zambrano

Ortega y Gasset visto dalla Zambrano.

Maria Zambrano (1904-1991) fu allieva di Josò Ortega y Gasset, all’Università  di Madrid, quando Ortega deteneva la cattedra di metafisica. Pensatrice e filosofa spagnola, Zambrano ò una figura di rilievo internazionale, forse ancora poco conosciuta in Italia ma di cui la critica sta iniziando ad occuparsi. Sembra allora interessante tentare, tramite la lettura di alcuni suoi frammenti, un approccio al pensiero orteghiano tramite il pensiero di chi l’ha conosciuto e che fece del suo maestro un alimento vitale da assimilare e superare. ” Appare evidente che non c’ò opera del molto umano pensiero che non mantenga una qualche relazione, sia pur lieve, con un’attitudine religiosa, benchò questa possa passare, come tale, inavvertita. Ma una volta messa in luce -se solo la si studia con la sottigliezza necessaria, ma così rara finora- questa attitudine si mantiene nella sua leggerezza come la guida di tutta un’opera, e persino di tutta una vita. Nel caso del lavoro filosofico spagnolo indiscutibilmente più puro e più chiaro, quello di don Josò Ortega y Gasset, la testura intima di una religiosità  autentica, da lui stesso dichiarata, si rivela immediatamente con la sua dea, l’Aurora; già  religione, quindi. Una singolare religione che non si esprime come tale, come succede anche in Miguel de Unamuno, che, secondo un topico insistente, rappresenterebbe il suo polo opposto. La verità  ò che nessuno di questi due pensatori, giunti a fronteggiarsi in una Spagna che dava le spalle alla filosofia, offre una religione dogmatica; hanno entrambi, considerati nella loro azione, un carattere aurorale. Ma nell’epoca di Ortega y Gasset l’Aurora appare esplicitamente come una guida, così nel prologo delle ‘Meditaciones del Quijote’. E’ in quel testo che si rivela limpidamente la sua vocazione di scrittore che, senza tregua ma senza fretta, sogna e tenta di praticare la riforma dell’essere spagnolo; quella riforma che, se si realizzasse, costituirebbe a nostro avviso un’autentica tramutazione. Agli spagnoli tutti Ortega offre una preghiera, la sua preghiera: “al mattino, quando mi alzo, recito una brevissima preghiera vecchia di mille anni, un versetto del Rig-Veda che contiene queste pochissime parole alate: ‘Signore, risvegliaci allegri e dacci conoscenza!’ “. Così predisposto, si immergeva nelle molteplici occupazioni della sua vita feconda: la cattedra di metafisica “in partibus infidelium” -come dichiarò lui stesso-, il giornale, le riviste che fondò e in particolare la “Revista de Occidente” e la sua casa editrice, le sue importanti attività  politiche e le sue altr4e numerose attività , tutte ben note, e tutte sotto il segno dell’Aurora. Nella seconda navigazione della sua vita le sue attività  penetrarono nella struttura dello Stato spagnolo e di istituzioni fondamentali come l’Università . (…) La sua vita stessa fu aurorale, e questo gli consentì di vedere in modo premonitore certi fenomeni sociali con grande nitidezza e precisione, come nella Rebeliòn de las masas, opera peraltro travisata, utilizzata in un senso completamentedifferente all’interno di paesi interi, da ideologie estranee al suo essere come al suo pensiero. Agli pseudopensatori da cui per un certo periodo l’Europa si ò vista gratificata, sembra così naturale che l’Aurora del pensiero -del pensiero di ortega, in questo caso- si converta in occaso, o come tale sia percepita. Ho avuto davanti agli occhi, e credo anche tra le mani, un libro di Ortega già  in bozze, intitolato La aurora de la razòn històrica. (…) Resta indelebile nella mia memoria quella invocazione che egli reputava centrale nella sua opera: la Aurora. Aurorale era anche disporsi a scoprire il “logos del Manzanares” [ piccolo fiume che attraversa Madrid evocato ad esempio, nella premessa delle Meditazioni sul Chisciotte, di un logos attento alla vita e capace di farsi carico e riscattare le circostanze anche apparentemente insignificanti, come appare il Manzanares. ndr] nom era espressione di uno speciale attaccamento a Madrid o alla Spagna, benchò questa fosse presente in altissimo grado. Era ragione, e in quanto tale -detto con le parole dello stesso Ortega-, “ragione d’amore”. Così anche le circostanze, che pure sono state evocate in modo così diverso, secondo lui chiedevano di venire considerate, integrate al logos, salvate. E l’esercizio della ragione, ci rimase sempre fedele, era per lui, in origine, esplicitamente, un esercizio d’amore. Si imponeva dunque, nel pensiero, di fornire sempre, come ragione, ragioni d’amore. Un logos che costituisce un punto di partenza indelebile per il mio pensiero, perchè mi ha permesso di pensare: mi ha dato respiro per pensare, ormai per conto mio, il mio sentire originario riguardo a un logos che si facesse carico delle viscere, che arrivasse alle viscere e fosse per esse alveo di senso; che elevasse alla ragione ciò che fatica e duole senza tregua, riscattando la passività , la fatica e anche l’umiliazione di quanto palpita senza essere udito, perchè non ha parola. Un logos che, seguendo Empedocle, deve essere ben distribuito nelle viscere, e che sia, l’ho già  detto, voce delle viscere, luce del sangue. (…) Fu proprio lui, con la sua concezione del logos espressa nel logos del Manzanares, ad aprirmi la possibilità  di avventurarmi per un tale cammino, dove ho incontrato la ragione poetica: forse l’unica ragione che sarebbe in grado di far recuperare il respiro alla filosofia e di salvarla – nello stesso modo di una circostanza – dalle tergiversazioni e dalle trappole di cui ò rimasta prigioniera. ” ” Ortega y Gasset distingue le idee dalle convinzioni. Le idee sono figlie del dubbio, come tutto ciò che ò pensiero, e come pensiero sono perciò figlie della solitudine umana, che si manifesta solo nell’individuo. Le idee sono state quindi pensate un giorno da una persona determinata, in un momento determinato. Al contrario, potremmo dire che le convinzioni appartengono al passato, infatti le collochiamo sempre nel passato quando ci accorgiamo di averne, visto che spesso neppure ci rendiamo conto che sono convinzioni; la nostra vita ne ò piena e basta. Quando si pensa, invece, si va verso il futuro: ogni idea ò diretta verso il futuro e lo prepara. Viceversa, le convinzioni le sentiamo sempre provenire dal passato: per questo ci sostengono e ci offrono un riparo quando il futuro si fa oscuro e sembra chiudersi davanti ai nostri occhi. ” ” Nel suo ‘Ensimismamiento y alteraciòn’, Ortega y Gasset indica la differenza tra l’uomo e l’animale nel fatto che l’uomo sente la necessità  di raccogliersi in se stesso, di entrare in un luogo proprio, in una specie di “chez soi”, così dice, in cui ritirarsi dall’attenzione verso ciò che lo circonda, mentre gli animali – in particolare le scimmie antropomorfe di cui analizza il comportamento – sono in continua agitazione, assorti nell’attenzione verso ciò che li circonda, totalmente occupati a vivere, come abbiamo detto. L’uomo può e si sente persino obbligato a trattenere questo “dover vivere” per entrare dentro di sè, là  dove la sua solitudine lo sta aspettando. Qui ovviamente continua a vivere, ma in maniera del tutto differente. Oltre a vivere come l’animale, vive in modo diverso “. ” Ne ‘La ribellione delle masse’ (…) si denuncia il fenomeno del “pieno”; pieno nei teatri, nei tram, nella strada…un pieno che ò andato aumentando. Come un oceano, la massa ha invaso piano piano tutto quanto. La massa… Ortega caratterizza l’uomo della massa come colui che riconosce solo i propri diritti, avido di usare e di godere delle cose che non solo non ò capace di creare, ma neppure conosce. L’uomo, dunque, che vive dei risultati dei prodotti, il cui processo di creazione gli ò del tutto sconosciuto e, ancora più grave, persino indifferente. La minoranza, invece, si caratterizza per l’ansia di perfezione, per una specie di godimento nell’essere esigente con se stessa, era una costante tensione vitale “. ” Definendo la Ragione Vitale, il filosofo Ortega y Gasset sostiene che vivere umanamente significa dover scegliere tra le circostanze. Ma esiste una scelta preliminare, decisiva per eccellenza: ò quella che facciamo di noi stessi. Ho sempre inteso la formula di Ortega, “Siamo costretti ad essere liberi”, come equivalente a quest’altra: “Siamo costretti ad essere persone”. Eppure non ò lo stesso se oltre a esservi costretti si vuole anche esserlo, perchè ò solo allora che si ò davvero liberi. E’ solo allora che si realizza la libertà , quella comune e quella propria “. ” Nel primo, il più poetico, il più bello dei suoi libri, ‘Meditazioni del Quijote’, Ortega parlava delle circostanze come di supplici che chiedono di essere salvati, e diceva anche di Manzanares, umile fiume di Madrid, ha il suo logos, ha la sua ragione. Ortega non si assoggettò ai grandi sistemi filosofici che non arrivano a riscattare, ma nemmeno a guardare, il logos del Manzanares; in seguito, il pensiero di Ortega y Gasset ò stato interpretato come una conoscenza strategica per adattarsi alle circostanze. Mentre ò il contrario, ò un sapere di salvezza, un sapere di trasformazione, e anche solo per questo, gli rimarrò fedele “.

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