Exegisti a me, Novate, ut scriberem quemadmodum posset ira leniri, nec
immerito mihi videris hunc praecipue affectum pertimuisse maxime ex omnibus taetrum et rabidum. Ceteris (affectibus) enim
aliquid quieti placidique inest, hic totus concitatus et in impetu est doloris, armorum sanguinis suppliciorum minime humana
furens cupiditate, dum alteri noceat sui neglegens, in ipsa irruens tela et ultionis secum ultorem tracturae avidus. Quidam
itaque e sapientibus viris iram dixerunt brevem insaniam; aeque enim impotens sui est, decoris oblita, necessitudinum immemor,
in quod coepit pertinax et intenta, rationi consiliisque preclusa, vanis agitata causis, ad dispectum aequi verique inhabilis,
ruinis simillima quae super id quod oppressere franguntur.
Versione tradotta
Pretendesti da me, Novate, che
scrivessi in che modo lira potesse essere placata e ingiustamente mi sembra che tu abbai temuto molto questo sentimento, come
brutto e violento. Negli altri sentimenti infatti cè qualcosa di quieto e placido: questo è tutto infiammato nellimpeto di
esasperazione, furente per la condizione umana di armi, di sangue e di preghiere, fino al momento che indifferente di sé stesso
reca danno ad un altro, introducendosi nella stessa trama, avido di condurre con sé un vendicatore di castighi. Per questa
ragione qualcuno tra uomini saggi disse che lira fosse una pazzia: ugualmente infatti è incapace di dominare sé stesso,
dimentica il conveniente, immemore degli obblighi, è incurante di sé tra i parenti, ostinatamente rivolta a ciò che si è
prefissa, chiusa alla ragione e ai consigli, agitata per motivi vari, incapace di distinguere il giusto, molto simile alla
rovine che sono ciò che oppressero sono abbattute.
- Letteratura Latina
- Versioni di Catone
- Seneca