Uno degli aspetti più importanti della filosofia di Locke è il suo pensiero politico, la sua riflessione sul diritto e sullo Stato, per mezzo della quale egli si confronta con le grandi trasformazioni politiche che attraversano la storia inglese del 1600. Il pensiero politico lockiano è contenuto soprattutto nei Trattati sul governo del 1690. Il primo di essi, che ha carattere esclusivamente polemico, si prefigge di confutare la tesi sostenuta da Robert Filmer nel Patriarca in cui Filmer difendeva la concezione assolutistica del potere monarchico, sostenendo che esso è stato conferito direttamente da Dio ad Adamo e da questi trasmesso, per successione ereditaria, alle generazioni di sovrani che lo hanno seguito. Servendosi della ragione come strumento critico che svela gli errori e i pregiudizi di tradizioni culturali prive di fondamento, Locke mostra l’ assurdità dell’ assimilazione operata da Filmer dell’ autorità paterna ( che Dio conferisce ad Adamo ) a quella politica ( che nasce tra un patto reciproco tra gli uomini ). Il secondo trattato contiene invece l’ esposizione organica delle teorie politiche di Locke. Come già per Hobbes e per gli altri esponenti del giusnaturalismo, il punto di partenza è la definizione dello stato di natura. Rispetto a quella di Hobbes, la dottrina lockiana della condizione naturale si differenzia tuttavia su due punti decisivi. In primis, l’ individuo non possiede un generico diritto su tutto, bensì tre diritti naturali specifici ( vita, libertà e proprietà ) che terminano laddove iniziano quelli degli altri. In secondo luogo, e di conseguenza, lo stato di natura non si configura come una condizione di disordine giuridico in cui tutti possono pretendere tutto, ma come una condizione in cui a ciascuno spetta il suo, secondo un ordinato disegno della legge naturale che si fonda sulla ragione. Lo stato di natura non è dunque originariamente una condizione di guerra ( come diceva Hobbes ), ma uno stato di pace e di armonia. Nonostante questo, nello stato di natura, in cui manca un potere superiore che imponga in modo coercitivo il rispetto della legge naturale, non esiste alcuna garanzia di una tutela effettiva del diritto. La legge di natura può infatti facilmente essere violata da chiunque non intenda sottomettersi alla disciplina della ragione, da cui essa prorompe. Per questo ( Locke concorda con Hobbes ) bisogna uscire dallo stato di natura e costituire la società civile attraverso un patto sociale. Ma se per Hobbes ciò equivaleva a una rinuncia, da parte dell’ individuo, del proprio diritto naturale a favore del sovrano, per Locke lo Stato ha lo scopo di conservare e di garantire con la forza i diritti naturali e inalienabili di ogni singolo cittadino. L’ unico diritto a cui l’ individuo rinuncia entrando nella società civile è quello di farsi giustizia da sò, dal momento che proprio la giustizia, ossia la difesa dei diritti individuali, costituisce il compito fondamentale dello Stato. Il potere del sovrano non è quindi assoluto ( come era per Hobbes ) ma limitato alla funzione della tutela dei diritti dei cittadini. Per Hobbes il contratto sociale si risolveva nel patto di soggezione con cui gli individui cedevano pressochò incondizionatamente il loro diritto naturale al sovrano. Locke ( in questo è più fedele al giusnaturalismo classico ) distingue invece un patto di unione in cui la moltitudine degli individui si trasforma in un’ unica res publica ( commonwealth in inglese ), la cui volontà unitaria è espressa dal principio della maggioranza, e un patto di soggezione, in cui i cittadini si sottomettono al sovrano alla condizione che egli garantisca i loro diritti. Qualora questo non avvenga, o non avvenga più, gli individui possono recedere dal patto che non è stato rispettato dal sovrano. Nella facoltà , che essi riacquistano, di opporsi legittimamente con la forza al sovrano divenuto usurpatore consiste la legittimità del diritto di resistenza. L’ assolutezza del potere politico si rispecchiava per Hobbes nella sua indivisibilità . Viceversa, l’ esercizio legittimo del potere trova la propria garanzia nella separazione dei poteri che concorrono alla determinazione della vita dello Stato. Locke distingue infatti tre poteri: legislativo, che esprime nella legge la volontà della maggioranza; esecutivo che risiede nel governo e ha il compito di far eseguire la legge; infine il potere federativo che ha per così dire la funzione diplomatica di rappresentare lo Stato all’ estero. Se il potere federativo dipende legittimamente da quello esecutivo di cui è un’ emanazione, tra potere esecutivo e potere legislativo ci deve essere un rapporto di separazione ( sono detenuti da persone o corpi politicio diversi ) e di controllo reciproco ( nessuno dei due è autosufficiente, ma ciascuno dei due condiziona ed è condizionato dall’ altro ). Riconoscimento del carattere naturale e inalienabile dei diritti dell’ uomo, negazione di ogni forma di potere assoluto, affermazione del diritto di resistenza, formulazione della dottrina della separazione dei poteri: questi concetti fondamentali del pensiero di Locke diventano i princìpi del liberalismo politico moderno, del quale Locke è solitamente considerato il fondatore. Tuttavia il liberalismo successivo avrà differenze da quello tratteggiato da Locke: radicalizzerà l’ esigenza di limitare i poteri e le funzioni della società politica fino ad elaborare una concezione puramente negativa dello Stato, del quale si sottolineerà soprattutto il dovere di non interferire con l’ iniziativa privata. Locke, al contrario, ha ben presente che lo Stato non è soltanto un meccanismo istituzionale per la garanzia dei diritti individuali, ma anche un corpo politico che, attraverso la voce della maggioranza, esprime una totalità socio-politica unitaria. Il liberalismo tratteggiato da Locke non troverà terreno fertile solo in Inghilterra, bensì verrà esaltato nel 1700 anche da personaggi come Montesquieu e Voltaire per poi sbarcare in America nella Rivoluzione Americana e in Francia nella Rivoluzione Francese.
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- Filosofia - 1600