[T2]La
vita[/T]
Non sappiamo molto di questo scrittore. Nacque a Cordova nel 39 d.C. . È stato un talento intellettuale come
scrittore e come filosofo. Visse contemporaneamente a Seneca (suo zio) e a Petronio. Ebbe un educazione filosofica
fondamentalmente stoica; stoicismo però rivisitato in chiave autonoma; atteggiamento eclettico. Differentemente da Seneca aveva
il gusto del successo; bello e famoso, entrò alla corte di Roma e godé del pubblico dei vari salotti. Giovanissimo. Le sue sono
opere alla moda di cui ci serviamo per capire comera la moda romana del tempo. Innanzitutto scrisse una tragedia, Medea
(laveva scritta anche Seneca), scritta per far piacere a Nerone e al potere. Poi scrisse La guerra di Troia (aveva scritto
una tale tragedia Nerone, poi ne aveva fatta una parodia Petronio), si capisce quindi che tale tragedia al tempo era una specie
di esercizio letterario. I migliori poeti ne scrivevano una (fatte di luoghi comuni, con pochi contenuti interessanti) così,
per mettersi alla prova e rivaleggiarsi luno con laltro.
Inoltre, come altri poeti, scrisse Silvae, delle poesie d
occasione, per compleanni, feste
Scrisse poi Fabulae salticae, dei libretti per la pantomima. Scrisse quindi tanto,
buttava là, mirando al successo.
A un certo punto successe che cadde in disgrazia, probabilmente a causa di Nerone, che era
invidioso della sua bellezza e del suo successo. Lucano reagì però in modo diverso da Seneca e Petronio, con il combattimento:
aderì per ripicca allinsignificante congiura di Pisone. Quindi, nel 65, come gli altri due, fu costretto al suicidio. Si
contrappongo quindi due momenti:
1. giovinezza brillante e piena di successo
2. delusione del pessimismo dopo essere
stato stroncato nella sua spensierata e felice giovinezza: perse fede in Dio, nella letteratura, in tutto. Si pose nelle stesse
posizioni di Petronio, ma non aveva il suo sorriso ironico e deridente, il suo era un pessimismo nero, cupo,
terribile.
[T2]Opere minori[/T]
Tra le opere perdute di Lucano ricordiamo un “Iliacon” (componimento in versi
sulla guerra di Troia); un “Catachtonion” (carme sulla discesa negli inferi); i 10 libri di “Silvae”, raccolta di poesie di
vario genere; la tragedia incompleta “Medea”; epigrammi e 14 “fabulae salticae” (libretti per pantomime).
Il numero e la
varietà delle composizioni di cui si ha notizia indicano un’eccezionale precocità artistica, unita ad una notevole
versatilità; da queste opere, poi, sembra di poter cogliere una totale adesione ai gusti neroniani: l’ “Iliacon” veniva
incontro alla passione del principe per le antichità troiane, mentre “Silvae” e libretti per pantomime ben si inserivano nel
quadro generale della poesia cortigiana d’intrattenimento, tipica del tempo.
[T2]Il Farsaglia[/T]
Noi
non lo leggiamo per queste opere minori andate perdute, ma per la Farsaglia, un poema epico sulla guerra civile tra Cesare e
Pompeo (il nome viene dalla città di Farsalo). Probabilmente solo i primi 3 libri sono stati scritti quando ancora era nelle
grazie di Nerone; gli altri 7 li ha scritti quindi solo in pochi anni, se ne deduce:
1. abilità di scrittura dello
scrittore
2. volontà di scrivere una grande opera significativa, che compensi anche quello prima (cambiamento
profondo).
La storia (non completa, perché dovevano essere 12 libri) arriva fino al suicidio di Catone lUticense e alla
descrizione del rapporto tra Cesare e Cleopatra. La scelta dellargomento è significativa: si vuole contrapporre a due autorità
nel campo epico: gli Annales di Ennio e lEneide. Il suo scopo è proprio quello di ribaltare lEneide, per questo sceglie
un argomento storico come la guerra e non uno mitico. Si contrappone anche a tutti i poemi epici del suo periodo. Infatti ne
venivano scritti molti, anche se a noi non sono arrivati tutti. Piacevano perché:
1. erano lunghi e si prestavano
alla spettacolarizzazione
2. parlavano di imprese mitiche, lontane, sapevano di esotico, non toccavano i problemi del
tempo.
Al tempo di Lucano già altri avevano scritto poemi epici sulla guerra civile, ma in chiave mitica, facendo della
storia una specie di fiaba da salotto. Lucano si contrappone a questa tendenza di moda.
I suoi obiettivi erano:
1.
protesta di un uomo deluso contro unetà che non apprezza, contro la moda del tempo. Ciò nonostante non è poesia impegnata.
Accusava ma non dava risposte: è questo un pessimismo totale. Per lui siamo vicini allApocalisse, alla dissoluzione fisica
delluomo. Possiamo solo prendere consapevolezza e guardare con disprezzo il mondo mostruoso e in decomposizione (è differente
da Petronio, che non è così convinto della dissoluzione delluomo e della società, ma semplicemente vede caos nel mondo).
2. volontà di esasperare il male al massimo. Si vede in due motivi in particolare:
a) filone
politico: accusa alla monarchia che ha indotto i romani a una lotta fratricida scellerata. Forse se non ci fosse stata la
guerra civile (un romano contro laltro) questo non sarebbe accaduto.
b) Concezione drammatica dellesistenza: la vita è
precaria. Visione di morte e di ripugnante disprezzo (immagini violente e sanguinose di morte e male). Tutto è contraddizione,
è conflitto. Tutta la vita è ruina: questo termine torna continuamente, soprattutto nel libro VII, volontà di insistere sui
particolari negativi.
Obiettivi che se ne deducono:
1. far riflettere sulle barbarie a cui è giunta Roma con
il passaggio alla monarchia: involuzione, regresso e decomposizione dello Stato Romano.
2. far riflettere sulla
condizione ormai morta e dissoluta dellesistenza.
Lopera lascia un quesito: in tutto ciò cosa può e deve fare luomo
per intervenire? È ancora possibile esercitare il libero arbitrio e decidere le proprie scelte? Quesito, questo, già proposto
da Virgilio, come per esempio il problema dellazione in Didone. I tre personaggi rispondono in modo differente:
Cesare:
presentato come assetato di sangue e di denaro, spietato e cinico.
Pompeo: presentato contro la volontà dei fatti, come un
vecchio imbelle e ormai mediocre.
Catone: eroico suicida.
Ci si chiede quale dei tre atteggiamenti sia più giusto: la via
del male, scelta da Cesare, ma che comunque porta allazione; la nullità di Pompeo; leroica rinuncia allazione di Catone. Non
si risponde chiaramente, ma dà a intuire che o si fa come Cesare o come Catone. O si combatte in modo spietato ed
inevitabilmente malvagio o si sceglie eroicamente il suicidio.
Virgilio cantava la provvidenzialità della storia, Lucano al
contrario deplorava la grandezza della storia. Voleva mostrare che lEneide era un inganno. Virgilio ha ucciso Roma. Per
Virgilio il mondo è sì malato, però credeva nella Provvidenza e vedeva come prova di questa il fatto che da poche capanne si è
riusciti a creare un impero. Lucano invece vede solo male nella storia. Non spiega bene cosè la storia. In generale sembra
credere in una Fortuna (caso esasperato che domina gli eventi, capriccio); in alcuni punti, tuttavia, parla di Fatum (una
specie di progetto divino) ed esprime come luomo non abbia alcuno potere di fronte ad esso, è una specie di burattino. Fatum
però comunque diverso da quello di Seneca, non è né buono né comprensibile. Resta la contraddizione filosofica fra Fortuna e
Fatum, che sono inconciliabili: non cè soluzione, ma probabilmente si pensa che tale duplicità nellutilizzo dei termini sia
data dal fatto che Lucano è uno stoico non più convinto, confuso, che stia a poco a poco perdendo la fede. A complicare il
tutto cè una terza visione, che emerge solo talvolta, secondo la quale luomo è unico responsabile delle sue azioni.
Punti
di contatto con lEneide: il VI canto della Farsaglia è simile al VI dellEneide. Nel VI canto dellEneide Enea scende
agli inferi (nékya) e Virgilio usa questo fatto per mettere in bocca ad Enea un discorso provvidenziale. Nel VI canto di
Lucano, una maga, Eritto, evoca dagli inferi un morto che predice tutte le disfatte e la dissoluzione di Roma. Un romano vede
quindi nella nékya di Enea la giustificazione della provvidenzialità di Roma, Lucano vuole dissolvere questo mito e inoltre
dimostrare la fallacità del mito dellEneide, ormai ovunque venerato a Roma. Inoltre, interessante è a chi viene fatta la
profezia? In Virgilio al Pius Aenea, figlio modello di Anchise, uomo romano fedele alla tradizione, agli dei, alla famiglia;
in Lucano, invece, la profezia viene fatta a Sesto Pompeo, nuovo modello di romano: dissoluto, figlio degenere, privo di
valori e di condotta e carattere mediocre.
Ruina cosmica, carattere pessimistico: ogni sfumatura e parola del poema ha su
di sé, esasperata, lidea della morte e del disfacimento. Addirittura si denota un gusto del macabro, un funereo desiderio di
morte: per esempio nel IV libro, cè Vultereo che muore gettandosi in mezzo ai nemici e insieme a lui cè una specie di
suicidio collettivo, esasperato e violento.
Per quanto riguarda i sentimenti, lamore è descritto come malato, in due modi:
1. amore ormai fragile, non vitale, come qualcosa di perduto (nasce da uomini oramai finiti, anche fisicamente), come per
esempio lamore fra Pompeo e sua moglie Cornelia. Pompeo, eroe ormai inetto e finito, si rifugia negli affetti famigliari per
sfuggire al timore della storia e alla sua incapacità di fronteggiarla: da qui nasce un amore sterile, esasperato e privo anche
della fantasia sessuale.
2. amore di moda alla Roma del tempo: malato repellente, sessualmente perverso e immondo, come
lamore di Cleopatra. Descrive lamore fra un mostro del male, come Cesare, che si unisce con la regina della perversione
immonda, Cleopatra, caratterizzato da unebbrezza dei sensi, degenerazione, voluttà carnale eccessiva.
Non esistono altri
sentimenti nel poema: né pietà, né amicizia, niente.
Il pessimismo si riscontra anche nelle descrizioni dei paesaggi:
macerie, deserto, descritto anche in modo esasperato; sul piano narrativo si poteva fare a meno di tali descrizioni, ma ha una
funzione simbolica: rappresenta la desertificazione delluomo. I serpenti e tempeste continue sono invece simbolo della
degenerazione della società e della vita. Anche la descrizione dellItalia è significativa: è descritta sempre accentuando il
fatto che è abbandonata, che è devastata, si allude, sul piano ideologico, alla dissoluzione delle istituzioni nellImpero
Romano.
Anche nel linguaggio si denota il pessimismo: le parlo funus (funereo, funerale) e ruina sono usate
continuamente, in modo ossessivo.
Personaggi: non ce nè uno, non esistono i singoli, ma solo scene corali, popolo, masse;
Lucano vuole presentare unintera società che sta degenerando. Ci sono però alcuni personaggi che emergono sugli altri. Questi
sono, oltre che a personaggi singoli, anche la personificazione di un concetto, di un prototipo dal valore singolare e
universale. Questo è funzionale per proporre il quesito sullo spazio che può avere nel mondo lazione delluomo.
Esempi:
Amiclo: barcaiolo nella sua capanna che resta impassibile quando Cesare gli fa irruzione in casa. È questa una
possibile soluzione: fuggire dalla storia, uscirne, restarne fuori, impassibili (come i poeti delle Bucoliche).
Cesare:
trionfo delle forze irrazionali, feroce e crudele; Lucano non gli attribuisce la sua caratteristica più nota, la pietà verso i
vinti, che corrisponde a falsità storica. È questa unaltra soluzione: trasformarsi in un essere malvagio e mostruoso,
accettando la logica che impone la storia.
Pompeo: uomo finito, figlio di unaristocrazia ormai finita (è differente da
Amiclo perché non è fuori dalla storia, è dentro e non sa agire). Pompeo non dà soluzioni, forse ha una forma di riscatto nella
morte.
Catone: la sua figura si sintetizza in un verso la causa vincitrice piacque agli Dei, quella vinta a Catone. È
questa unaltra soluzione: la protesta di chi, in nome di un ideale, sceglie la lotta. In Catone emerge la crisi dello
stoicismo di Lucano: Catone è uno stoico, ma dello stoico non ha più la fiducia nella positività della Provvidenza. Esiste un
fatus, ma non è quello buono di Seneca. Non ci si deve adeguare, come dicevano Seneca e gli stoici, ma lottare ferocemente in
una titanica protesta e uneroica scelta del suicidio.
Gli altri personaggi si possono dividere in due gruppi:
Pompeiani:
bravi e buoni, ma sculati, muoiono tutti;
Cesariani: robotici, tutti uguali, assetati di sangue e di denaro, non hanno
singolarità e si limitano a copiare il loro capo.
I Cesariani sono un modello prototipico: Lucano dice che le soluzioni
sopra citate sono per pochi; la maggior parte dei Romani è destinata a diventare massa, omologazione totale, assoggettata alla
figura di uno dei primi (individui a sé).
La Farsaglia, con estrema contraddizione con quanto detto, comincia con uno
sfacciato elogio a Nerone, che stona del tutto il resto dellopera. Anche in tale encomio, inoltre, Lucano si riferisce a
spunti virgiliani e riprende alcune espressioni del primo libro dellEneide con le quali Giove parla del destino di Enea. Con
tutto ciò Lucano sembra voler dire che la rinascita di Roma non avviene con Augusto, ma con Nerone. In generale si nota che i
primi tre libri sono più filo-monarchici, mentre solo dopo comincia il pessimismo totale.
Alcuni critici vedono lencomio in
chiave ironica, come presa di giro di Nerone, questo però torna poco, perché non cè mai, in tutta lopera una traccia di
ironia, Lucano è differente da Petronio.
Altri considerano lencomio come unintroduzione convenzionale, qualcosa di
imposto, però è troppo elogiativo per non essere spontaneo.
Altri ancora, e probabilmente è così, vedono nella Farsaglia
unevoluzione del pensiero di Lucano: lencomio e i primi tre libri corrispondono al giovane Lucano, che, pur essendo avverso
al principato, crede nella politica di Nerone come efficace arma di miglioramento; gli altri sette libri corrispondono alla
delusione del giovane stroncato, allontanato dalla corte, che sfocia nel pessimismo. Su questa strada però alcuni critici hanno
ecceduto, trasformando levoluzione in un cambiamento netto e radicale, parlando di primo Lucano e secondo Lucano. Comunque
la tesi dellevoluzione è avvalorata dal fatto che lopera non è conclusa: magari una volta finito Lucano avrebbe modificato
anche linizio.
[T2]Lo stile e la fortuna[/T]
Lo spirito anticlassico di Lucano si esprime nella predilezione per
uno stile ben lontano da quello equilibrato di Virgilio a cui contrappone uno stile drammatico ed espressivo, con la ricerca di
effetti sublimi o patetici, con frequenti aperture al gusto dell’orrido e del macabro; ma lo scrittore sa anche essere
sobrio e sintetico specie nelle sentenze. La lingua presenta numerose antitesi, iperboli, nessi verbali arditi e oscuri e
periodi complessi, che rendono difficile la lettura diretta.
Il poeta godette di grande fortuna nel Medioevo. Dante lo
citò tra gli “spiriti magni” del Limbo e a lui si ispirò per il canto XXV dell’Inferno. F. Petrarca si rifece a Lucano per
il poema Africa. Amarono la Farsaglia poeti dell’età preromantica, quali V. Alfieri e U. Foscolo, nonché G. Leopardi.
Per una trattazione pù sintetica dell’argomento consultare:
– Lucano
- Scuole Superiori
- Letteratura Latina
- Lucano