Biografia di Salvador Dalí, opere e spiegazioni

Biografia di Salvador Dalí, opere e spiegazioni

Salvador Dalì: biografia, personalità e tecnica artistica.

Vita di Salvador Dalí

Salvador Dalí nasce in Catalogna, a Figueras, l’11 Marzo 1904. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Madrid, dove conosce Garcia Lorca e Luis Buñuel. La sua prima pittura è connotata dalle influenze futuriste, cubiste, e soprattutto dall’opera di Giorgio De Chirico. Ben presto l’attenzione di Dalí viene attirata dalle riproduzioni di dipinti di Max Ernst, Miró e Tanguy; nel 1928 conosce Joan Miró e André Breton. L’anno successivo si reca a Parigi, dove partecipa alle attività del gruppo surrealista. Ma il surrealismo di Dalí é fortemente personalizzato: ispirato a De Chirico ed imbevuto di richiami alla psicanalisi freudiana, é caratterizzato da una tecnica minuziosa, levigata e fredda.

Dalí stesso scrive, nel 1927: “Faccio cose che mi ispirano una profonda emozione, e tento di dipingerle con onestà, ovvero con esattezza”. Nel 1930 pubblica “La femme visible”, saggio dedicato a Gala, dal 1929 sua moglie, modella e musa per tutta la vita. Questo libro segna un nuovo orientamento di Dalí, che inizia a coniugare un realismo quasi accademico con un delirio deformante, talvolta macabro. L’artista collabora con Luis Buñuel a due capolavori del cinema surrealista: “Un chien andalou”,1929; “L’âge d’ or”,1930. Nel 1938 Dalí viene espulso dal gruppo surrealista, e va negli Stati Uniti, dove resta fino al 1948, anno in cui fa ritorno in Spagna. Alla sua morte, nel 1989, lascia una notevole produzione, caratterizzata da acute provocazioni.

Dipinti di Salvador Dalí

Afgano invisibile con apparizione sulla spiaggia del viso di Garcia Lorca in forma di compostiera con tre figure, 1938

La persistenza della memoria, 1931

Cannibalismo in autunno, 1936-37

Ritratto di Paul Eluard, 1929

Giraffe in fiamme, 1936-37

Mezza tazza gigante sospesa con una inesplicabile appendice lunga cinque metri, 1944-45

La stazione di Perpignan, 1965

Testa raffaellesca che esplode, 1951

Ritratto di Gala o L’angelus di Gala, 1935

Sogno causato dal volo di un’ape attorno a una melagrana un secondo prima del risveglio, 1944

La tentazione di San Antonio, 1946

Il torero allucinogeno, 1969-70

Don Chisciotte legge poemi, 1964

Polifemo, 1966

La morte di Ofelia, 1967

Essere o non essere, 1967

Tecnica

Proviamo ad analizzare il metodo compositivo di Salvador Dalí partendo da un suo quadro:

“Sei apparizioni di Lenin su un pianoforte”
Anno: 1931
Dimensioni: cm.114×146
Tecnica: olio su tela

Questo dipinto è stato oggetto di un lungo processo creativo. Così Dalì ne descrive la genesi, in un saggio intitolato “Il mito tragico dell’Angélus di Millet“: “Nel 1932, al momento di coricarmi, vedo la tastiera bluastra, molto lucida, di un pianoforte, la cui prospettiva mi offre, in uno scorcio, una serie di piccole aureole gialle e fosforescenti contornanti il volto di Lenin”. Queste sei teste di Lenin che compaiono sulla tastiera, secondo la tecnica surrealista dell’ “eco ottico“, costituiscono il soggetto principale di questa complessa opera. La scena è proiettata in un’atmosfera fredda ed evocatrice di stati di dormiveglia.

L’uomo, seduto in primo piano a sinistra, è stato spesso identificato con André Breton, perché occupa lo stesso posto assegnatoli da Marx Ernst in un famoso ritratto collettivo: “Au rendez-vous des amis“. La posa impassibile contribuisce a creare un’ atmosfera inquietante. Dalí intensifica il senso di estraneità attraverso l’immagine dei tasti neri e lisci del pianoforte, sul quale è posato uno spartito i cui pentagrammi hanno lasciato il posto ad un groviglio di formiche, e attraverso il rosso fiammante delle ciliegie, posate su una sedia, che si ripetono come un’eco nella decorazione.

All’origine di questo quadro c’è una visione, interpretata dall’ artista secondo il metodo “paranoico-critico”, che Dalí mette a punto e descrive come “metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull’associazione interpretativa critica dei fenomeni deliranti”. Tale visione è resa tramite uno stile minuziosamente artificiale, che amplifica l’effetto di irrealtà della scena. Così Dalí trasferisce accuratamente sulla tela le sue visioni, i suoi sogni, il suo inconscio; raffigura nei suoi quadri figure emblematiche, incubi artistici, creature deformi, sciolte, mescolando fra di loro elementi antitetici che solo in un sogno possono coesistere (un esempio sono gli elefanti con le zampe da ragno raffigurati nel quadro “La tentazione di San Antonio“).

Un altro esempio riguardante la genesi delle sue opere riguarda il quadro “Sogno causato dal volo di un’ape attorno ad una melagrana un secondo prima del risveglio” del 1944. In questo quadro in particolare è evidente il processo mediante il quale gli elementi onirici si oggettivizzano sulla tela. Durante il sonno il volo di un’ape lo aveva disturbato e, riaddormentatosi, gli aveva provocato una visione che ha ispirato questo quadro. Il sogno riutilizza elementi reali, presenti nella stanza dove Dalí stava dormendo: il melograno e il pesce. L’elefante che si vede nella parte superiore destra è l’elefante del Bernini di Piazza della Minerva, a Roma. Dalì fonde così in una stessa tela sogno e realtà, oggetti e proiezioni della sua mente.

Evoluzione

L’opera di Dalì è così vasta e variegata che è quasi necessario dividerla in diversi periodi in cui i soggetti dei suoi quadri e il modo di rappresentarli erano diversi. Una divisione proposta dal critico d’arte francese Roumeguer, autore insieme allo stesso Dalí dell’opera “Dalì par Dalì“, propone la seguente distinzione:

Dalí Planetario: le opere di questa fase sono caratterizzate dalla frequente presenza della luna come soggetto principale delle sue opere. I paesaggi raffigurati nelle sue tele sono scabri, deserti, surreali, del tutto simili alla superficie lunare che ancora non è stata visitata dall’uomo. Come ha detto il romanziere spagnolo Ramon Asnar: “Il primo uomo che andrà sulla luna non sarà né un russo, né un americano, ma uno spagnolo. Questo spagnolo si chiamerà Dalì, cioè sarà l’artista che dalla primissima adolescenza ha dipinto i famosi paesaggi rugosi, dove si proiettano ombre nere e nitiscenti in uno spazio lunare senza atmosfera.”

Dalí molecolare: la scoperta dell’acido desossiribonucleico e l’interesse per le strutture molecolari spingono Dalí ad una nuova ricerca artistica. I soggetti dei suoi quadri sono ora frammenti, scomposti in piccole particelle sferiche, molecole, arriva addirittura a rappresentare la struttura tetraedrica delle molecole filtrandola attraverso la sua ironia surreale.

Dalí monarchico: le sue bizzarre idee sulla coincidenza fra anarchia e monarchia (“La vera rivoluzione culturale è la restaurazione dei principi monarchici. Non dimentichiamo che i due fondatori dell’anarchia furono il principe Kropotckin e il principe Bakunin”). L’interesse di Dalì si sposta quindi sulle strutture architettoniche che nel corso della storia hanno sempre rappresentato il potere assoluto, ecco quindi apparire nei suoi quadri gigantesche cupole geodetiche che sovrastano i soggetti dei suoi quadri.

Dalí allucinogeno: Il profeta dell’LSD senza LSD, ecco chi è Dalì. E in questa fase aumenta il suo interesse per i sogni e le allucinazioni. I suoi quadri si riempiono di personaggi fantastici, volti terrorizzanti e fluorescenti che sembrano usciti dai quadri di Bosch (pittore a cui Dalì deve molto). Dalì unisce elementi dissonanti, figure oniriche, crea animali che sembrano degli errori della genetica e figure umane che si sciolgono, prive di una solidità innanzitutto interiore, retti soltanto dalle stampelle che sono un motivo ricorrente della sua arte.

Dalí futurista: anche Dalì è stato affascinato dal movimento, dal mito dell’azione, e le opere di questa fase lo testimoniano. Le figure sono colte nel loro movimento nello spazio, nella loro convulsa e continua mobilità.

Surrealismo

Il Surrealismo è un movimento d’avanguardia nato in Francia nei primi anni Venti e che ebbe vasta diffusione nel periodo fra le due guerre. Negli anni drammatici seguiti alla conclusione del conflitto il surrealismo si proponeva di come un vero e proprio progetto di liberazione, sia sul piano creativo che su quello sociale. Al contrario del dadaismo, che è il suo diretto precursore, e che ha mirato soltanto a distruggere tutte le convenzione artistiche che erano stabilite da secoli, il surrealismo oppone alla pure distruzione dadaista una funzione costruttrice dettata dalla psiche e dalla interiorità dell’uomo. Questa costruzione essendo assolutamente libera da ogni condizionamento della ragione, obbedisce esclusivamente al dettato della psiche, e diventa così rivelatrice di una realtà autentica, superiore a quella a cui siamo abituati, una sur-réalité, ovvero una “surrealtà”.

Gli strumenti assunti dal dadaismo per realizzare questo progetto sono la teoria dell’inconscio di Freud, su cui si basa l’automatismo (una dettatura del pensiero realizzata in assenza di ogni controllo razionale e al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale) e l’analisi marxista, riconosciuta come la prospettiva più coerente per raggiungere una radicale trasformazione della società. Breton, il fondatore del surrealismo, è profondamente influenzato dal dadaismo, ma, profondamente influenzato dalla dialettica hegeliana, riconosce in esso solo la seconda tappa del processo dialettico: la negazione.

La conquista del terzo momento della dialettica arriva, secondo lui, con una precisa rifondazione culturale, una ricostruzione dopo la demolizione del dadaismo: Il Manifesto del surrealismo del 1924. In esso espone organicamente le tesi del movimento, dalla condanna al realismo e del romanzo, alla necessità di tenere conto delle opere e delle scoperte di Freud, Einstein e degli altri fondatori della modernità novecentesca.

Il progetto del surrealismo prevede quindi una rivalutazione di tutto ciò che il paradigma positivistico aveva escluso: il “meraviglioso”, il sogno, la follia, gli stati allucinatori della coscienza, e quindi una notevole affinità con la sensibilità decadente di poeti come Baudelaire e Rimbaud, che proprio in quel periodo vengono indicati come “precursori” insieme ad altre figure emblematiche come il marchese De Sade. Il fine del surrealismo è quello di arrivare a cogliere l’essenza intima della realtà, prendere gli oggetti slegandoli dai nessi logici che li legano fra di loro, per riunire così due realtà inconciliabili su un piano a loro estraneo che permette la loro “trasfigurazione completa”, come testimonia la celebre frase di Latréamont: “bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire con un ombrello su un tavolo operatorio”.

Pur obbedendo alle stesse necessità, fra le quali la più importante è l’assoluto automatismo creativo con il quale si rende esplicito il reale funzionamento del pensiero, i pittori surrealisti non appaiono come un gruppo omogeneo (come gli impressionisti francesi). In a particolare ognuno di loro ha un suo modo personale di portare alla luce la propria psiche, fra di essi Salvador Dalí si distingue per la sua originale teoria della “paranoia critica”, definita come “metodo spontaneo di conoscenza irrazionale dei fenomeni deliranti”, che mira a oggettivare le immagini oniriche.

Psicanalisi

Il 20 luglio 1938, nella lettera a S. Zweig, Freud scriveva:

“Caro signore, bisogna realmente che io vi ringrazi della parola di introduzione che mi ha condotto il visitatore di ieri. Poiché fino a quel momento ero tentato di considerare i surrealisti, che apparentemente mi hanno scelto come santo patrono, come dei pazzi integrali (diciamo al 95%, come per l’alcool puro). Il giovane Spagnolo, con i suoi candidi occhi di fanatico e la sua indubbia padronanza tecnica, mi ha incitato a riconsiderare la mia opinione. In realtà, sarebbe molto interessante studiare analiticamente la genesi d’un quadro di tal genere. Dal punto di vista critico si potrebbe tuttavia dire che la nozione d’arte si rifiuta ad ogni estensione quando il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l’elaborazione precosciente non si mantiene entro limiti determinati. Si tratta qui, in ogni caso, d’un serio problema psicologico.”

Con queste parole Freud descriveva le sue impressioni di fronte alle tele del giovane Dalí. Freud era stato per il surrealismo quello che Winckelmann era stato per i neoclassici: l’ispiratore o, come egli stesso si definisce, “il santo patrono”.

Già nel Manifesto del Surrealismo (1924) di André Breton, era lo stesso Breton a riconoscere apertamente l’apporto fondamentale degli studi di psicanalisi, anzi dichiarava apertamente che il metodo della psicanalisi era proprio la strada da seguire per raggiungere la libertà dell’immaginazione: lasciarsi guidare dall’inconscio, come accade nel sogno, lasciare che le immagini scorrano nella propria mente liberamente, per rivelare la nostra interiorità che altrimenti resterebbe ignota anche a noi stessi.

Freud d’altra parte si era subito stancato di questa scomoda “paternità”, accusando i surrealisti di essere dei “pazzi integrali”. La sua opinione cambia però di fronte alle opere di Dalì, di cui ammira la notevole padronanza tecnica; Freud si dichiara profondamente interessato nello scoprire la genesi delle opera di Dalí, ma quello che più lo affascina è la complessa personalità del pittore, che, come scrive egli stesso, dimostra un “serio problema psicologico”. Freud, pur non conoscendo la vicenda interiore di Dalí, deduce che qualcosa nel corso della vita lo ha intaccato dal punto di vista psicologico.

E, come sempre accade in tutti i casi più gravi di psicopatologia, Dalí, bambino, visse delle vicende talmente “anormali” da alterare la normale evoluzione della sua personalità. Tre anni prima della sua nascita i suoi genitori avevano subito la perdita di suo fratello maggiore, un altro piccolo Dalí di sette anni. E quando nacque Dalí, egli sin dall’inizio somigliava all’altro fratello “come un’immagine riflessa nello specchio”. E i suoi genitori gli diedero il nome del fratello morto: Salvador. La sua infanzia trascorse quindi fra foto del fratello morto sparse per la casa e rimproveri dei suoi genitori: “Non uscire senza sciarpa, altrimenti morirai come tuo fratello”.

Quel periodo critico che porta i bambini alla scoperta della propria immagine del corpo (o schema corporale), essenziale a un corretto sviluppo psicologico, in quanto influenza poi tutti i comportamenti futuri della persona, si rivelò drammatico per Dalí. Egli, col passare del tempo, si identificò sempre di più nel fratello morto. Dalì si sentiva “l’ombra in decomposizione” dell’altro Salvador, non dotato di essenza reale, ma un guscio vuoto in continua decomposizione e scioglimento.

La sua vita è segnata da altre vicende emblematiche, ma è stata proprio la sua infanzia a segnare definitivamente la sua personalità e, quindi, la sua pittura. La mollezza delle sue figure, il loro stato di decomposizione, sono tutti elementi che discendono direttamente dalla sua identificazione con il fratello morto. La sua pittura è quindi interessante non soltanto perché ha lo scopo di portare alla luce le immagini e le pulsioni dell’inconscio, ma anche perché è quasi una autobiografia ermetica dell’artista.

Citazioni di Salvador Dalí

Ecco una breve raccolta di frasi di Salvador Dalí che possono aiutare a comprendere la sua arte e la sua originale, quanto provocatoria, personalità.

“Gli orologi non sono altro che il camembert paranoico-critico, tenero e solitario del tempo e dello spazio”

“Io non mi sono mai drogato perché sono la droga”

“Io non racconto allucinazioni perché le provoco”

“Che cos’è la verità? Un po’ meno che niente”

“Che cos’è la bellezza? Ancora non si sa, è troppo manifesta”

“Da chi non vuol imitare nessuno non viene fuori niente”

“Che cos’è la bruttezza? Ciò che ti fa becco ogni volta con la bellezza”

“Invece di scrivere una storia dell’Arte io scrivo l’arte della Storia, perché gli storici dell’arte sono tutti cretini medi, salvo l’umile sottoscritto.”

Ed ecco cosa ha detto Timothy Leary, il profeta dell’LSD, su di lui:

“Dalì è l’unico pittore dell’LSD senza l’LSD”.

La sua quindi è un’arte allucinata-allucinogena. Dalí ha saputo vedere al di là della realtà, è stato l’anticipatore della LSD generation degli anni ’70, è stato in grado di tuffarsi nelle allucinazioni del suo inconscio per trarre inquietanti soggetti per le sue opere.

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