L’ etica di John Stuart Mill è basata sull’ utilitarismo mutuato da Bentham attraverso la mediazione del padre James Mill. A fondamento della morale sta, anche per lui, il principio dell’utilità , cioò della massima felicità per il maggior numero possibile di persone. Mill rivendica come propria l’invenzione del termino ‘utilitaristico’, che però in realtà era già stato impiegato, anche se con un’accezione lievemente diversa, da Shaftesbury. Rispetto alle formulazioni di Bentham e del padre James, John apporta alcune importanti modifiche, insistendo in particolare sulla necessità di una determinazione qualitativa dei piaceri, in opposizione al calcolo puramente quantitativo di Bentham, in modo da garantire la superiorità dei piaceri intellettuali e morali su quelli puramente sensibili. Per quel che concerne la religione, Mill sostiene che essa sia riconducibile all’ambito dell’esperienza ed è perfettamente conciliabile con la conoscenza scientifica del mondo. L’ordine cosmico rinvenibile nel mondo, anche in base a considerazione scientifiche, presuppone infatti una causa intelligente che agisce in vista di uno scopo. Questo non vuol dire però che il fautore del mondo sia onnipotente: la presenza di un disegno nella creazione presuppone anzi la commisurazione dei mezzi al fine, e il necessario ricorso ai mezzi rivela, a sua volta, una limitazione della capacità creatrice. L’ Essere da cui il mondo dipende deve essere piuttosto concepito come un Demiurgo finito: la sua potenza è limitate dalle sue intrinseche possibilità e dalla materia, da sempre esistente, sulla quale egli opera; già in Platone era presente l’idea che la materia fosse l’origine dell’imperfezione. Di conseguenza, gli uomini non possono attendersi ogni cosa dalla provvidenza divina, ma devono piuttosto collaborare con la divinità per il perfezionamento del mondo.
- 1800
- Filosofia - 1800