Ma è ancora attuabile la costruzione di una civiltà superiore? La scienza moderna, a parere di Nietzsche, è soltanto la forma più recente e nobile dell’ideale ascetico, essa ha ancora fiducia nelle verità come valore in sò, superiore ad ogni altro e, quindi, non è in grado di contrastare questo ideale. E’ tuttavia possibile quella che Nietzsche definisce gaia scienza, che si rivolge ai senzapatria, figli dell’avvenire e a disagio nel proprio tempo, amanti del pericolo e dell’avventura, avversi a ogni ideale, i quali non hanno intenzione di regredire ad alcun passato nò lavorare per il progresso, ossia per l’affermarsi dell’uguaglianza e della concordia tra gli uomini. Per raggiungere questo stato di gaiezza bisogna abbandonare la morale corrente, porsi liberi al di là del bene e del male e quindi staccarsi da parecchie cose, ma per far questo occorre acquisire una condizione di leggerezza: e Nietzsche paragona questo stato a quello della “danza”. La prima domanda che è bene porsi per costruire una gaia scienza è se i cosiddetti valori morali siano segno di impoverimento o di pienezza della vita. Già in “Umano, troppo umano” il pensatore tedesco formula una serie di alternative, che condurranno la sua riflessione successiva: “Non si possono capovolgere tutti i valori? Ed è forse bene il male? E’ Dio solo un’invenzione e una finezza del diavolo? E’ forse tutto in ultima istanza falso? E se noi siamo degli ingannati, non siamo per ciò stesso anche ingannatori? Non dobbiamo anche essere ingannatori? ” Ricostruendo la genesi della morale a partire dagli errori che la rendono possibile, Nietzsche ha provato a mostrare che proprio essa rappresenta il maggior pericolo per la vita e per l’uomo. Ma il capovolgimento radicale, la trasvalutazione ( in tedesco umwertung) dei valori morali può avvenire portando fino in fondo l’impulso dell’uomo teoretico alla verità , ossia quell’ “incendio” che, a partire da Platone e dalla fede cristiana, si è ingigantito fino a noi: è proprio l’amore per la verità che consente di smascherare come errori le stesse verità che sono alla base della morale tradizionale, in primis la verità stessa, poi la giustizia, l’amore per il prossimo e Dio. E liberarsi dall’errore vuol dire liberarsi anche dalla credenza erronea che esista la verità e, quindi, non comporta la sostituzione di tale errore con un’altra presunta verità : vuol dire, al contrario, andare oltre la contrapposizione fra verità ed errore, che traggono entrambi origine dalla vita. Il processo di liberazione dall’errore, tuttavia, è frutto anch’esso dell’educazione alla verità , che è andata avanti per millenni: esso giunge a compimento con l’ateismo assoluto. Non si tratta pertanto di dimostrare che Dio non esiste o di prescrivere l’eliminazione di dio dalla vita, quanto di prendere atto del declino inarrestabile della fede in Dio, che consente di liberare l’umanità dalla coscienza della colpa. Si apre così uno spiraglio per il nichilismo attivo, capace di portare ad una trasvalutazione di tutti i valori. Zarathustra ( ovvero Zoroastro, riformatore della religione iranica) è un personaggio messo in piedi da Nietzsche come contraltare della figura di Cristo: anche lui è venuto per portar via molti dal gregge e dai pastori, cioò quei seguaci dell’ortodossia che odiano chi “spezza le loro tavole dei valori”. Ma la verità nuova di cui Zarathustra si fa portavoce è che Dio è morto: “Dio è una supposizione” dell’uomo, caduta la quale non c’è più nulla da temere, nò diavolo, nò inferno, nò occorre più nutrire speranze ultraterrene, ma si può tornare ad essere fedeli alla terra e alla vita, senza farsi annebbiare da speranze di vita ultraterrena; e d’altronde Dio non era altro che una limitazione artistica per l’uomo, che si trovava dei valori già belli e pronti, doveva solo rispettarli: l’uomo deve essere un creatore di valori e poi “che resterebbe da inventare se esistessero gli dòi? “. Zarathustra è il “senzadio”, che proprio per questo motivo ha acquistato una nuova leggerezza, può danzare, ridere e rovesciare le vecchie tavole dei valori, in opposizione ai dispregiatori del corpo, ai rassegnati, allo spirito di gravità (che impedisce agli uomini superiori di spiccare il volo); e Zarathustra stesso dice che potrebbe credere solo in un Dio che sapesse danzare. Con la morte di Dio crollano i valori, che sancivano il “no” perentorio alla vita terrena, il disprezzo di essa nella convinzione che ve ne fosse un’altra (“un mondo dietro il mondo”, dice Nietzsche), e viene anche a cadere la supposizione dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio: e infatti, da che mondo è mondo, la plebe ha sempre sostenuto: “Noi siamo tutti uguali, l’ uomo è uomo; davanti a Dio siamo tutti uguali!. ” Davanti a Dio ! Ma questo Dio è morto. Davanti alla plebe, però, noi non vogliamo essere uguali. Zarathustra può dunque completare il suo annuncio profetico in questi termini: “Morti sono tutti gli dòi: ora vogliamo che il superuomo viva. ” Dal momento che non c’è più un Dio che dice all’uomo che cosa fare, l’uomo deve giungere con un balzo, più che con un’evoluzione graduale, a un superamento dell’uomo come è stato sinora: l’uomo è qualcosa di transitorio ed è paragonato da Nietzsche ad ” un cavo teso tra la bestia e il superuomo”: l’uomo non è un punto di arrivo, ma di partenza, per dare qualcosa in più, per arrivare al superuomo. Il superuomo non si trova più, come l’uomo, tra la realtà divina e quella animale, ma poggia soltanto su se stesso, pronto ad affrontare il pericolo dell’esperimento di nuove forme di vita. La nozione di superuomo è andata soggetta a molti fraintendimenti nel corso della storia e con il Nazismo il concetto è stato indebitamente esteso, passando da superuomo a “super-razza”. Nella sua autobiografia, “Ecce homo”, Nietzsche dà una definizione di superuomo come il “tipo riuscito al massimo grado”, radicalmente diverso dall’uomo moderno, buono, cristiano. Egli ci tiene a precisare che sarebbe un grave errore concepirlo come un eroe o una sorta di mezzo santo e mezzo genio o, addirittura, come l’esemplare di una razza superiore di uomini (come invece è stato inteso dal Nazismo), quasi un ulteriore anello nella catena evolutiva della specie umana. Ma sarebbe altrettanto sbagliato considerarlo come una sorta di modello con tratti e contenuti già definiti nel suo modo di vivere, da proporre all’imitazione di tutti. Sempre i “Ecce homo”, Nietzsche si ritrae con sgomento dalla possibilità di diventare egli stesso un modello, di avere seguaci che si ispirino a lui: “Non c’è nulla in me del fondatore di religioni: non voglio credenti, non parlo alle masse; ho paura che un giorno mi facciano santo”; e i timori di Nietzsche erano più che fondati, visto che, dopo la sua morte, venne esaltato da tutti esattamente come un santo. Ma questo atteggiamento equivale a reintrodurre norme e regole d’azione, che tornerebbero a soffocare la creatività della vita e la formazione di individualità irripetibili e irriducibili a denominatori comuni: sarebbe come scalzare Dio per sostituirlo con Nietzsche! Più che sostituire nuovi valori a vecchi, si tratta di eliminare la nozione stessa di valore come norma superiore a cui l’uomo e la vita dovrebbero sottomettersi. Quel che insegna Zarathustra è una nuova volontà , la volontà libera, capace di creare il nuovo. La morte di Dio e la trasvalutazione dei valori permettono all’uomo di oltrepassare e superare se stesso e di spingersi verso il nuovo, verso ciò che non è ancora stato scoperto nò sperimentato. Ma ogni creazione comporta al tempo stesso distruzione: il nuovo può emergere solo attraverso la distruzione del vecchio e, dunque, attraverso la sofferenza. La nuova virtù diventa allora la potenza. Nietzsche sa bene che non è facile accettare la nuova realtà , senza il “Dio-protettore” in cui credere, ma sa che senza Dio il “mare” che ci sta davanti è aperto come non mai, pronto a navigazioni artistiche e spericolate, forse non troppo sereno, ma comunque di una vastezza incommensurabilmente maggiore a quando era sovrastato da Dio: “noi filosofi e spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa- finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così aperto… “.
- 1800
- Filosofia - 1800