Vita e opere Nicola Abbagnano nacque a Salerno il 15 luglio 1901, primogenito di una famiglia della borghesia intellettuale di quella città (il padre era avvocato). Studiò a Napoli, laureandosi in filosofia nel novembre 1922, sotto la guida di Antonio Aliotta, con una tesi che diede origine al suo primo libro, Le sorgenti irrazionali del pensiero (1923). Negli anni successivi insegnò filosofia e storia al Liceo Umberto I di Napoli, e dal 1927 al ’36 tenne l’incarico di Pedagogia e di Filosofia presso l’Istituto di Magistero “Suor Orsola Benincasa”; nello stesso periodo collaborò attivamente alla rivista “Logos”, diretta dal suo maestro Aliotta, della quale fu anche segretario di redazione. Dal 1936 al 1976 fu professore ordinario di Storia della filosofia nell’Università di Torino, dapprima nella Facoltà di Magistero e poi, a partire dal ’39, nella Facoltà di Lettere e filosofia. Nell’immediato dopoguerra fu tra i fondatori del Centro di Studi metodologici di Torino. Nel 1950 fondò, insieme a Franco Ferrarotti, i “Quaderni di sociologia”; e dal 1952 fu condirettore, a fianco di Norberto Bobbio, della “Rivista di filosofia”. Tra il 1952 e il 1960 fu l’ispiratore del gruppo “neolluministico”, organizzando una serie di convegni a cui parteciparono gli studiosi di filosofia impegnati nella costruzione di una filosofia “laica”, aperta ai principali orientamenti del pensiero filosofico straniero. Nel 1964 iniziò la collaborazione a “La Stampa”. Nel 1972 si trasferì a Milano, dove – lasciato il giornale torinese – cominciò a collaborare al “Giornale” di Montanelli, e dove ricoprì la carica di consigliere comunale, eletto nelle liste del Partito liberale, e di assessore alla Cultura. Morì il 9 settembre 1990. E’ sepolto nel cimitero di Santa Margherita Ligure, dove da molti anni trascorreva le sue vacanze. La produzione teorica di Abbagnano durante il periodo napoletano – rappresentata, oltre che da Le sorgenti irrazionali del pensiero, da tre volumi dedicati rispettivamente a Il problema dell’arte (1925), a La fisica nuova (1934) e infine a Il problema della metafisica (1936) – si colloca sotto il duplice segno dell’insegnamento di Aliotta, dal quale derivò l’interesse per i problemi metodologici della scienza, e della polemica anti-idealistica, particolarmente evidente nel volume sull’arte. Trasferitosi a Torino, Abbagnano si rivolse allo studio dell’esistenzialismo, verso cui la cultura filosofica italiana stava ormai rivolgendo la sua attenzione, e di cui egli elaborò una versione originale in un libro che ebbe larga risonanza, La struttura dell’esistenza (1939); ad esso fecero seguito l’Introduzione all’esistenzialismo (1942) e i saggi raccolti in Filosofia religione scienza (1947) e in Esistenzialismo positivo (1948). Nel 1943 ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito sull’esistenzialismo che si svolse su “Primato”, la rivista della fronda fascista che faceva capo a Bottai. Ma già negli anni immediatamente successivi alla guerra l’interesse di Abbagnano si rivolse al pragmatismo americano, soprattutto nella versione che ne aveva dato John Dewey, e alla filosofia della scienza, in particolare al neopositivismo. Nell’esistenzialismo, svincolato dalle implicazioni negative che egli scorgeva sia in Heidegger e in Jaspers, sia in Sartre, nel pragmatismo deweyano e nel neopositivismo Abbagnano vedeva le manifestazioni di un nuovo clima filosofico che egli contrassegnò, in un articolo del ’48, come un “nuovo illuminismo”. E lo sviluppo del suo pensiero negli anni Cinquanta ò stato caratterizzato appunto per un verso dall’interesse per la scienza e, in particolare, per la sociologia, per l’altro verso dal tentativo di definire le linee programmatiche di una filosofia neoilluministica o, com’egli ebbe a chiamarla più tardi, di un “empirismo metodologico”. Risalgono a questo periodo i saggi raccolti in Possibilità e libertà (1956) e nei Problemi di sociologia (1959), ma soprattutto il Dizionario di filosofia (1961), una vera e propria summa dedicata alla chiarificazione dei principali concetti filosofici. Accanto ai volumi e ai saggi di carattere teorico Abbagnano ha pubblicato, fin da giovane, numerose monografie storiche: Il nuovo idealismo inglese e americano (1927), La filosofia di E. Meyerson e la logica dell’identità (1929), Guglielmo d’Ockham (1931), La nozione del tempo secondo Aristotele (1933), Bernardino Telesio (1941). Ma la sua impresa storiografica di maggior mole ò rappresentata dalla grande Storia della filosofia edita dalla U. T. E. T. (1946-50), preceduta da un Compendio di storia della filosofia di carattere scolastico (1945-47). Ad essa avrebbe fatto seguito, pochi anni dopo, un’opera collettiva dedicata alla Storia delle scienze da lui coordinata, anch’essa apparsa presso la U. T. E. T. (1962). La produzione degli ultimi decenni, a partire dalla metà degli anni Sessanta, ò in larga misura costituita da articoli apparsi su “La Stampa” o sul “Giornale”, poi confluiti in varie raccolte: Per o contro l’uomo (1968), Fra il tutto e il nulla (1973), Questa pazza filosofia (1979), L’uomo progetto Duemila (1980), La saggezza della vita (1985), La saggezza della filosofia (1987). L’ultimo libro, apparso pochi mesi prima della morte, ò di carattere autobiografico, e reca il titolo Ricordi di un filosofo (1990). Il pensiero La prima formulazione originale del pensiero di Abbagnano (dopo i tentativi giovanili di contrapporsi all’idealismo crociano e gentiliano attraverso la rivendicazione delle “sorgenti irrazionali del pensiero” o la rivalutazione dell’importanza filosofica del sapere scientifico) ò strettamente legata all’introduzione della filosofia dell’esistenza nella cultura filosofica italiana, quale viene delineandosi nel corso degli anni Trenta soprattutto tra Torino e Milano, e alla discussione che su di essa si sviluppò prima e durante la guerra. Nel 1939 Abbagnano pubblicava La struttura dell’esistenza, un libro che – com’ebbe a scrivere quasi trent’anni dopo Norberto Bobbio – “non assomigliava a nessuna delle opere filosofiche che si erano andate scrivendo in quegli anni, anche nella forma, che era scabra, lineare, senza i soliti impeti oratori e le solite virtuosità dialettiche”, un libro “non facile” ma che “proprio perchò era scritto con rigore, guidato e sorretto da una rara disciplina mentale, si lasciava capire”. Per Abbagnano la filosofia ò, come per Heidegger e anche per Jaspers, ricerca dell’essere, e questa ricerca avviene interrogando l’uomo, che ò definito nella sua esistenza proprio dalla possibilità di porsi il problema dell’essere, cioò dallo “sforzo verso l’essere”. Abbagnano distingueva però nettamente la propria posizione filosofica da quella dei due maggiori esponenti tedeschi della filosofia dell’esistenza, e soprattutto prendeva le distanze dall’esito negativo a cui gli sembrava che entrambi approdassero. Secondo Abbagnano, Heidegger considera lo sforzo verso l’essere “rispetto al suo punto di partenza”, cioò rispetto alla situazione iniziale, cosicchòâ “l’esistenza appare come un esistere dal niente”, e il niente diventa perciò “il termine che consente di definire l’esistenza e di stabilirla nella sua natura autentica”. Jaspers, invece, considera lo sforzo verso l’essere “rispetto alla sua situazione finale”, concependo l’essere “al di sopra dello sforzo che muove verso di esso” e cioò come trascendenza, inattingibile dalla ricerca. La conclusione ò che la ricerca dell’essere diventa per Heidegger “esistere per il niente”, e per Jaspers “realizzazione della propria impossibilità ” – vale a dire diventa nel primo caso “angoscia”, nel secondo “scacco”. Abbagnano respingeva così da un lato l’identificazione heideggeriana dell’esistenza autentica con il “vivere per la morte”, dall’altro la concezione jaspersiana di un essere inattingibile da parte dell’uomo, verso il quale la filosofia tende senza mai riuscire a raggiungerlo e, tanto meno, a oggettivarlo. All’esistenzialismo di Heidegger e di Jaspers egli contrapponeva un’impostazione per la quale “la situazione finale dello sforzo verso l’essere realizza la propria essenziale unità con la situazione finale”, e per caratterizzare questa unità faceva ricorso alla nozione di struttura qual era stata enunciata da Dilthey. L’esistenza ha una propria struttura, ma questa non ò data all’uomo; essa si presenta invece come una possibilità da realizzare. L’esistenza si costituisce infatti come possibilità , e trova il suo fondamento nella possibilità della possibilità , cioò nella possibilità trascendentale. Abbagnano proponeva perciò – in polemica con Heidegger e con Jaspers, ma più tardi anche con il Sartre de L’àªtre et le nèant – un esistenzialismo “positivo”, rivolto a sottolineare la problematicità dell’esistenza e l’impegno dell’uomo. In questo contesto assumono un rilievo centrale la nozione di libertà e, strettamente collegata con essa, quella di scelta. L’uomo ò definito, secondo Abbagnano, dalla possibilità di scegliere tra le possibilità che gli sono date, di realizzarne alcune e non altre – e in ciò consiste appunto la possibilità trascendentale. L’uomo può scegliere tra esistenza autentica ed esistenza inautentica, tra la fedeltà al proprio essere e la dispersione della quotidianità . La possibilità di scelta che Abbagnano gli attribuisce acquistava così un significato normativo, che Heidegger aveva invece escluso: “la norma ò il dover essere della libertà come trascendenza”, un dover essere che coincide con il dovere di pervenire alla realizzazione della propria struttura. Contro l’idealismo, contro la dissoluzione dell’individuo nel processo di realizzazione dello spirito infinito (Croce) o nell’atto puro del pensiero (Gentile), Abbagnano rivendicava perciò la finitezza dell’uomo, la sua temporalità , la sua libertà di scegliere tra le possibilità offerte dalla situazione in cui si trova, il valore morale di questa scelta. Negli scritti immediatamente successivi a La struttura dell’esistenza, cioò nell’Introduzione all’esistenzialismo e nei saggi di Filosofia religione scienza e di Esistenzialismo positivo, egli perveniva al riconoscimento del fondamentale carattere problematico non soltanto dell’esistenza dell’uomo, ma di ogni realtà : la filosofia stessa ò, per lui, “un sapere o una ragione problematica”. La ragione “finita”, consapevole della finitezza dell’uomo e del suo rapporto con un mondo anch’esso problematico, veniva così contrapposta alla ragione “giustificatrice” di stampo hegeliano. Su questa base Abbagnano definiva il rapporto della filosofia da un lato con la religione, dall’altro con la scienza. La filosofia addita all’uomo la via della ricerca, la religione quella della credenza. In quanto al rapporto con la scienza, esso ò determinato dal fatto che la filosofia non ò conoscenza, non può cioò pretendere di offrire ai risultati del sapere un’integrazione metafisica: la scienza esaurisce l’ambito di ciò che può essere conosciuto, e la filosofia non ha una via di accesso al mondo diversa dal sapere scientifico. Essa ò invece un “compito” che si pone all’uomo in virtù della sua stessa esistenza. Questa definizione della filosofia e del suo rapporto con la scienza costituisce il punto di partenza della fase “neo-illuministica” del pensiero di Abbagnano, inaugurata dalla partecipazione – insieme con Bobbio e con Ludovico Geymonat, ma anche con matematici, fisici, ingegneri – ai dibattiti del Centro di Studi metodologici. Fin dal 1934 Abbagnano aveva dedicato un volume a La fisica nuova, prendendo in esame la teoria della relatività , la teoria dei quanti e il principio di indeterminazione di Heisenberg, e cercando di porne in luce il significato filosofico. Dopo il ’45, mentre andava maturando il distacco dall’esistenzialismo, l’interesse per la scienza ritornava a essere centrale nel suo pensiero. Contro le interpretazioni pragmatistiche o convenzionalistiche della scienza Abbagnano ne affermava il valore conoscitivo, anzi il carattere di conoscenza valida. Soltanto la scienza consente di “ordinare” e quindi di conoscere il mondo; la filosofia non costituisce una forma di conoscenza diversa o alternativa alla scienza, ma ò piuttosto riflessione su di essa, ò cioò indagine gnoseologica o epistemologica. Nello stesso tempo Abbagnano proponeva un’interpretazione del sapere scientifico rivolta a sottrarlo al determinismo della scienza ottocentesca, e in particolare alla categoria di necessità , che il positivismo classico ha avuto in comune con le metafisiche romantiche. Su questo terreno egli poteva rifarsi alla nozione di possibilità , quale egli l’aveva formulata nella stagione esistenzialistica. Se la scienza ottocentesca ha inseguito l’ideale di una concatenazione causale dei fatti, esprimibile in un sistema di leggi necessarie, la scienza contemporanea va invece in cerca di rapporti di condizionamento. Ciò vale non soltanto per la fisica, a partire dalla teoria della relatività e dal principio di indeterminazione, ma anche e soprattutto per le scienze sociali. E proprio sul terreno della sociologia – una disciplina verso la quale la cultura idealistica aveva proclamato l’ostracismo, considerandola una “falsa scienza” – Abbagnano dava un contributo importante, che si richiamava, del resto, al riconoscimento della socialità come dimensione fondamentale dell’esistenza umana. All’uomo ò essenziale il rapporto con gli altri, e quindi la possibilità di comunicazione: spetta alla sociologia porre in luce le dimensioni concrete che questa possibilità assume, muovendo dalla sua struttura portante che Abbagnano individuava nell’atteggiamento. La fase “neoilluministica” del pensiero di Abbagnano si apre nel 1948, con l’articolo Verso un nuovo illuminismo, che nel pragmatismo deweyano e nel neopositivismo riscontrava un’ispirazione comune all’idealismo positivo, consistente nel considerare la ragione “ciò che essa ò, una forza umana diretta a rendere più umano il mondo”. Da ciò il programma di una trasformazione razionale della realtà , in nome di una ragione “limitata” ma non per questo imponente, che si affiancava a una concezione “metodologica” della filosofia. Questa fase si concludeva nel 1961 con la pubblicazione del Dizionario di filosofia. Dopo di allora Abbagnano venne sempre più ponendo l’accento sui problemi dell’esistenza quotidiana e su una concezione della filosofia come “saggezza”, di chiara ascendenza platonica (e non a caso Platone fu, tra i filosofi del passato, l’autore da lui prediletto). Di fronte al fallimento del neo-illuminismo, in un clima culturale che aveva visto il successo di un marxismo proteso a raccogliere l’eredità dell’idealismo, il pensiero di Abbagnano si rivolgeva alla gente comune, assumendo uno stile sempre più “popolareggiante”. Se “la filosofia non consola” – come suonava il titolo di un saggio di un suo allievo morto giovanissimo – essa può almeno aiutare nelle scelte che ognuno deve compiere nella vita di ogni giorno, presentando le possibilità alternative che gli si prospettano: un compito estraneo alle scienze, a cui il sapere scientifico dà tuttavia un contributo indiretto, ma non perciò meno essenziale, attraverso la conoscenza del mondo e della stessa condizione umana.
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- Filosofia - 1900