Occorre reagire sempre alle sventure - Studentville

Occorre reagire sempre alle sventure

Ut enim fit in proelio, ut ignavus miles ac timidus, simul ac viderit hostem, abiecto scuto fugiat, quantum possit, ob eamque causam pereat non numquam etiam integro corpore, cum ei qui steterit, nihil tale evenerit, sic qui doloris speciem ferre non possunt, abiciunt se atque ita adflicti et exanimati iacent; qui autem restiterunt, discedunt saepissime superiores. Sunt enim quaedam animi similitudines cum corpore. Ut onera contentis corporibus facilius feruntur, remissis opprimunt, simillime animus intentione sua depellit pressum omnem ponderum, remissione autem sic urgetur, ut se nequeat extollere. Et, si verum quaerimus, in omnibus officiis persequendis animi est adhibenda contentio; ea est sola offici tamquam custodia. Sed hoc idem in dolore maxime est providendum, ne quid abiecte, ne quid timide, ne quid ignave, ne quid serviliter muliebriterve faciamus, in primisque refutetur ac reiciatur Philocteteus ille clamor. Ingemescere non numquam viro concessum est, idque raro, eiulatus ne mulieri quidem. Et hic nimirum est «lessus», quem duodecim tabulae in funeribus adhiberi vetuerunt. Nec vero umquam ne ingemescit quidem vir fortis ac sapiens, nisi forte ut se intendat ad firmitatem, ut in stadio cursores exclamant quam maxime possunt.

Versione tradotta

Difatti, come capita che in combattimento il soldato codardo e pauroso, appena vede (lett. ha visto) il nemico, gettato lo scudo, fugge quanto più può, e per questo motivo talvolta (non numquam) muore pur restando illeso (più lett. pur col corpo illeso), mentre a quello che è rimasto al suo posto non accade (lett. è accaduto) nulla di simile, così quelli che non possono sopportare l’idea (species) del dolore, si abbattono e pertanto restano accasciati e scoraggiati; quelli che invece resistono (lett. hanno resistito), si ritirano molto spesso vincitori. Vi sono infatti certe somiglianze tra anima e corpo. Come si portano più agevolmente i pesi tendendo tutte le forze del corpo (contentis corporibus), (mentre) rilassandole (essi) opprimono, in modo del tutto analogo (simillime) l’anima, tendendo le sue forze, rimuove ogni peso imposto (su di essa), mentre rilassandosi è così oppressa da non potersi sollevare. E, se cerchiamo la verità, nell’adempiere tutti i doveri bisogna valersi della tensione (anche: dello sforzo) dell’anima; essa è, per così dire, la sola tutela del dovere. Ma nel dolore bisogna stare attenti soprattutto a questo, a non comportarsi mai (più lett. fare mai qualcosa) da pusillanime, da pauroso, da ignavo, da servo o da donna, e anzitutto si rifiuti e si respinga quel modo di gridare (clamor) come Filottete. Gemere è concesso talora all’uomo, ma di rado, (emettere) grida lamentevoli (eiulatus) neppure a una donna. E senza dubbio questo è il “lamento lugubre” che le (leggi delle) Dodici Tavole vietarono di versare (più lett. che fosse versato) ai funerali. L’uomo forte e sapiente non geme mai, tranne eventualmente per indursi alla resistenza, come nello stadio i corridori gridano quanto più possono.

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