Magistratibus igitur utendum est iisque opus est, quia sine eorum prudentia atque diligentia esse civitas non potest, eorumque descriptione omnis rei publicae moderatio continetur. Neque solum iis praescribendus est imperandi modus, sed etiam civibus modus obtemperandi. Nam qui bene imperat, paruerit aliquando necesse est, et qui modeste paret dignus esse videtur qui aliquando imperet. Itaque oportet eum qui paret sperare se aliquo tempore imperaturum esse et illum qui rerum potitus est cogitare brevi tempore sibi esse parendum. Nec vero solum ut cives obtemperent oboediantque magistratibus praescribimus, sed etiam ut eos colant diligantque. Iure igitur noster Plato Titanis dignos putat eos qui adversantur magistratibus, quia similes illis sunt qui caelestibus adversabantur.
Versione tradotta
Bisogna dunque ricorrere ai magistrati e v'è bisogno di essi, perché senza la loro prudenza e diligenza non può esistere uno Stato, e (perché) sul loro ordinamento si fonda l'intero governo dello Stato. Occorre stabilire non soltanto un limite al loro potere, ma anche un limite all'obbedienza dei cittadini (lett. per essi un limite di governare... per i cittadini un limite di obbedire). Infatti è inevitabile che chi ben comanda dovrà un giorno o l'altro essere sottomesso (lett. sarà stato sottomesso), e chi obbedisce assennatamente appare degno di governare in futuro. Bisogna pertanto che chi obbedisce abbia speranza di potere un giorno comandare, e che chi ha conseguito il potere (qui rerum potitus est) pensi che a breve dovrà essere sottoposto (ad altri). Né prescriviamo soltanto che i cittadini siano sottomessi e obbediscano ai magistrati, ma anche che li onorino e amino. A buon diritto, dunque, il nostro Platone ritiene assimilabili ai Titani coloro che si oppongono ai magistrati, perché sono simili a quelli che si opponevano ai celesti (= agli dèi).
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