Orazio - Studentville

Orazio

Orazio, insieme a Virgilio, è uno dei maggiori scrittori del periodo di Augusto. Alcuni aspetti della sua vita e delle sue opere assomigliano a quelli della vita di Virgilio, ad esempio, la confisca delle proprietà da parte dello stato per la distribuzione ai veterani. Questo fatto ha influito sul trasferimento di Virgilio e di Orazio a Roma e sulla loro conoscenza di Mecenate e di Augusto. Un elemento che li accomuna è che entrambi partono, come esperienza poetica, dalla poesia neoterica e alessandrina ma le superano per recuperare alcuni modelli della letteratura classica greca:
Virgilio con le Georgiche si rifà a Esiodo, mentre con l’Eneide si rifà ai poemi omerici
Orazio con gli Epodi si rifà al genere diatribico (poesia polemica), mentre con le Odi si rifà ai poeti antichi come Saffo e Alceo
Mentre Virgilio utilizza l’esametro, Orazio utilizza anche altri metri della poesia greca. Per quanto riguarda le satire, pur non esistendo nella poesia greca, poiché sono un genere prevalentemente latino, (Ennio – satire andate perdute – e Lucilio – 30 libri di satire -), Orazio cerca di dargli una provenienza dalla letteratura greca. Nella quarta satira Orazio paragona questo genere alla commedia antica, che aveva un certo carattere comico satirico, perché vuole emulare la letteratura greca antica.
Già questo tentativo di stabilire per le sue opere questi modelli greci, ci dice che alla base delle sue opere ci sono delle determinate caratteristiche. Pur partendo dagli elementi stilistici e formali della poesia neoterica la supera ed elabora un tipo di poesia quasi esclusivamente classica.
A differenza di Virgilio, Orazio diventa un pilastro nella letteratura per quanto riguarda l’elaborazione poetica perché scrive un’epistola chiamata “ars poetica” in cui detta norme per l’elaborazione poetica.
Orazio aveva elementi comuni con Virgilio e tutti e due ricevevano benefici da Mecenate e Augusto ma Orazio ha sempre cercato di rendersi indipendente. Dichiarava che avrebbe restituito tutto quello che aveva ricevuto se non avrebbe potuto mantenere la sua libertà. Nonostante gli ideali del programma augusteo non siano alla base di tutta l’opera di Orazio, ci sono alcuni aspetti di questa che lo appoggiano (come in Virgilio).
Fra queste opere troviamo il Carmen Seculare, composto per le giornate di spettacolo dei ludi del 17 a. C. E’ per questo componimento che dopo la morte di Virgilio Orazio è stato considerato il poeta del regime. Troviamo poi altri componimenti di adesione al programma di Augusto. Nel terzo libro delle Odi sono inserite sei odi dette Romane, che sono dei componimenti in cui Orazio dà il suo contributo al programma ufficiale e che comprendeva la restaurazione dei caratteri religiosi, del Mos Maiorum, del lavoro agricolo e in generale della vita sociale in crisi dall’età di Cesare.

[T2]La vita[/T]

La biografia di Quinto Orazio Flacco (Venosa 65-Roma 8 a.C.) è ricostruibile dai numerosi riferimenti personali sparsi nella sua opera e da notizie ricavabili da una Vita tramandata insieme ai suoi testi e risalente probabilmente al De poetis di Svetonio.

[P]Gli anni di formazione[/P]

Orazio nacque in una colonia militare romana al confine tra Puglia e Lucania, vicino al fiume Ofanto, da un liberto proprietario di un piccolo podere, esattore nella vendita alle aste pubbliche, incarico redditizio, anche se socialmente poco stimato. Trasferitosi a Roma, il padre volle che Orazio avesse un’accurata istruzione, come i giovani di famiglie aristocratiche. Studiò con il grammatico Lucio Orbilio Pupillo, da lui definito nelle satire plagosus (manesco), a causa della bacchetta usata sugli allievi distratti. In seguito, non si sa se prima o dopo il viaggio in Grecia, frequentò a Napoli il circolo epicureo di Filodemo e di Sirone. Come i giovani dell’aristocrazia romana si recò ad Atene per approfondire le sue conoscenze filosofiche e retoriche, frequentando le lezioni di maestri come l’accademico Teomnesto e il peripatetico Cratippo di Pergamo. Incominciò a scrivere i primi versi in lingua greca.
Portato dai suoi studi a ideali di libertà repubblicana, come tanti altri giovani romani, nel 44 si arruolò nell’esercito che Marco Giunio Bruto stava raccogliendo in Grecia e in Macedonia per affrontare i triumviri Ottaviano, Lepido e Antonio; col grado di tribunus militum comandò una legione, ma fu travolto con l’uccisore di Cesare nella battaglia di Filippi (42). Il fatto che, costretto alla fuga, avesse vilmente gettato lo scudo, è forse più che un dato storico un topos letterario, ripreso dai greci Archiloco e Alceo.

[P]La confisca del podere[/P]

Dopo il ritorno in Italia nel 41, godette di un’amnistia, ma si vide confiscare il podere in Puglia per la distribuzione delle terre ai veterani. Costretto dalle precarie condizioni economiche, trovò allora per vivere un impiego come archivista addetto ai questori (scriba quaestorius), con l’incarico di compilare i registri della pubblica contabilità. Iniziò a scrivere le prime satire e i primi epodi, composizioni di carattere polemico che lo fecero apprezzare da poeti famosi come Virgilio e Vario con cui strinse amicizia; furono proprio loro che lo presentarono nel 38 a Mecenate.

[P]Nel circolo di Mecenate[/P]

Il potente collaboratore di Augusto, dopo un breve periodo di attesa e di prova, accolse Orazio nel suo circolo; una profonda amicizia, fondata su una affinità spirituale li unì per tutta la vita; con lui condivise gusti letterari e occupazioni di ogni giorno, scherzi e malinconie. Nel 37 accompagnò con Virgilio il suo protettore in un viaggio a Brindisi, in seguito al quale fu stipulata un’effimera intesa tra Ottaviano e Antonio: il viaggio è descritto in una famosa satira. Da Mecenate il poeta ebbe in dono nel 33 una villa con un piccolo podere in Sabina, nella cui quiete spesso trovò rifugio, proteggendo la propria autonomia e le aspirazioni alla tranquillità, che lo indussero persino a rifiutare, pur con devota gratitudine, l’importante incarico di segretario personale offertogli da Augusto. Nel 17 Augusto gli conferì l’incarico di comporre l’inno a Diana e Apollo per i ludi saecolares di Roma (il Carmen saeculare). Nessun avvenimento degno di nota, a eccezione della pubblicazione delle sue varie raccolte poetiche, segnò il resto della sua vita, che si chiuse, come profeticamente aveva cantato il poeta stesso, il 27 novembre dell’8 a.C., due mesi dopo quella di Mecenate. Fu sepolto sull’Esquilino, vicino alla tomba del grande amico. Come Virgilio non si sposò e non ebbe figli; era “piccolo di statura, incanutito precocemente, abbronzato dal sole”, scrisse di se stesso il poeta nella ventesima Epistola del I libro.

[T2]Cronologia Opere[/T]

Mentre di Virgilio non abbiamo molte opere, di Orazio ne abbiamo una vastissima gamma perché si è cimentato in diversi generi letterari.
In primo luogo compone le Satire (dal 41 al 30 a.C.) e nello stesso periodo gli Epodi (formati da 17 carmi). Dopo l’esperienza della poesia giambica e satirica si dedicò alla poesia lirica. Da prima pubblica nel 23 a.C. 3 libri di odi (88 componimenti). Nel 17 a.C. compone il Carme Seculare e intorno al 13 a.C. pubblica un altro libro di odi (15 componimenti). Nel frattempo dal 23 al 20 a.C. si era dedicato alla composizione del primo libro delle Epistole (20 componimenti). Il secondo libro delle Epistole, che ne comprende due di argomento letterario, le ha composte dal 19 al 13 a. C.
Una di queste due è l’epistola ai Pisoni che è anche conosciuta col nome di Ars Poetica (componimento di 476 esametri). Ars Poetica è molto importante perché come quella di Aristotele è stata presa come canone in tutta la letteratura successiva, compresa quella italiana.

[T2]Le Satire[/T]

{2 libri, il I° di 10 componimenti, il II ° di 8 componimenti scritti fra il 41 e il 30 a.C.}

Iniziate come gli Epodi in un momento di preoccupazioni finanziarie e di amarezza in seguito alla caduta degli ideali repubblicani a Filippi (42), le Satire (Saturae) furono composte tra il 41 e il 30 ca. Sono poesie di carattere satirico in esametri, ripartite in due libri, rispettivamente di 10 e di 8 componimenti. Il primo, dedicato a Mecenate, fu pubblicato tra il 35 e il 33, il secondo nel 30, insieme con gli Epodi.

Il genere satirico non aveva un corrispondente nella letteratura greca, e fu considerato da Quintiliano (studioso del I° secolo d. C.) un genere esclusivamente romano.
Questo genere esisteva nella letteratura arcaica e nel teatro; il primo scrittore di satire è stato Ennio la cui opera è però andata perduta. Per questo motivo l’iniziatore del genere viene considerato Lucilio che aveva composto 30 libri di satire di vario argomento e utilizzando vari metri. Lucilio fu il primo ad utilizzare la metrica greca (fatta eccezione per Ennio che utilizzò l’esametro) perché precedentemente veniva utilizzato il saturnio, verso tipico romano.
Orazio per le satire ha utilizzato l’esametro a differenza di Lucilio che utilizzò diversi metri. Questo contrasta un po’ col carattere delle satire la cui parola implicava originariamente il senso del miscuglio (Satura Lanx). Orazio mantiene la diversità per quanto riguarda i contenuti ma elimina utilizzando solo l’esametro la diversità metrica.
Dopo Lucilio, in particolare nel periodo di Cesare, non abbiamo scrittori di satire perché la satira era normalmente un genere utilizzato per ironizzare sui costumi e quindi sui vizi umani. Nel periodo di Cesare, in cui i costumi erano in grande degrado, anche i costumi più corrotti erano considerati normali e quindi non davano adito all’ironia.
Nel periodo di Augusto Orazio fa rinascere la satira perché siamo in un periodo di restaurazione in cui i costumi degradati vengono notati e messi in discussione; perciò un’opera di questo genere veniva piacevolmente letta da tutte le persone che aderivano al programma.
Nella letteratura romana successiva la satira viene ancora utilizzata in particolar modo da Marziale.
La satira ha avuto seguito anche nella letteratura italiana a partire dal 1400 tramite la riscoperta dei classici latini e la traduzione delle satire di Orazio; basti pensare ad Ariosto che scrisse sulle basi di Orazio utilizzando le stesse caratteristiche tecniche.
Una delle caratteristiche principali delle satire è il carattere soggettivo e cioè si prende spunto da un elemento soggettivo, che, può essere autobiografico o riguardare elementi della morale.

[T2]La poetica[/T]

Le dichiarazioni di poetica con tutti i caratteri che la satira deve avere secondo Orazio, vengono esposti principalmente in tre satire:
• La quarta satira del primo libro (I – 4),
• La decima satira del primo libro (I -10)
• La prima satira del secondo libro (II – 2).
La più importante fra queste è la (I – 4); la (I – 10) e la (II – 1) riprendono gli stessi argomenti con delle precisazioni.
E’ nella satira (I – 4) che Orazio considera Lucilio iniziatore del genere, ed è sempre in questa satira che Orazio fa riferimento alla commedia greca antica, in particolare ad Aristofane. L’attinenza consiste nel fatto che la satira di Lucilio, come la commedia di Aristofane, aveva un carattere aggressivo di critica nei confronti dei grandi personaggi, delle istituzioni e dei costumi sociali. Tra Orazio e Lucilio e la commedia greca c’è però una differenza. Infatti, Orazio non mira ad emigrare con la satira personaggi politici, ma, prende in considerazione i vizi e i difetti delle persone comuni perché vuole fare del moralismo sui comportamenti umani in generale e non di un personaggio in particolare.
a) Il primo carattere che la satira deve avere per Orazio è l’essere composta in esametri.
b) Il secondo carattere è che deve avere carattere moralistico.
c) Il terzo carattere riguarda la forma: bisogna eseguire il labor limae, la forma poetica deve essere perfetta. Orazio critica Lucilio per la scarsa cura formale ed inoltre per aver scritto come un “fiume in piena” quindi in modo prolisso (scrivere moltissimo però così come viene), senza curarsi della forma, e di non aver attuato il labor limae (lavoro di limatura, elaborazione stilistica ricercata) che è appunto il terzo carattere che dovrebbe avere la satira. Questo aspetto è molto importante perché nel periodo di Cesare abbiamo avuto la poesia neoterica che dava importanza al labor limae, infatti, è proprio da essa che Orazio attingerà il concetto di perfezione poetica abbandonandone però i contenuti frivoli sostituendoli con contenuti di carattere politico, morale e sociale.
d) Il quarto carattere è che i contenuti devono essere di carattere politico sociale e morale.
Un altro aspetto della satira è la concezione aristocratica dell’Arte (differenza con Lucilio che indirizzava la sua opera alle persone di media cultura) tramite la quale Orazio afferma che la sua opera è riservata solamente pochi intimi (Virgilio Mecenate ed altri amici del circolo o persone molto colte in grado di leggere e capire ciò che lui scrive); possiamo quindi dire che Orazio scrive per pochi eletti, per coloro che si intendono di poesia.
e) Il quinto carattere della satira deve essere quello della conversazione: La satira può essere normalmente chiamata sermo (plurale sermones). Questo secondo titolo deriva dal fatto che il quinto carattere della satira deve essere quello della conversazione. In base a questo le satire potranno essere narrative, discorsive e dialogiche e dovranno contenere un linguaggio che rispecchia i modi della conversazione quotidiana.
f) Il sesto carattere è quello dei temi: La satira rifiuta i modi della letteratura sublime ed elevata. Essa non può affrontare tematiche teologiche o politiche o alte disposizioni filosofiche; i concetti morali presentati devono riguardare la quotidianità, non essere esposti secondo i canoni dell’etica filosofica ma esaltati con i modi della quotidianità cioè traendo una morale dai comportamenti comuni.
g) Il settimo carattere è la soggettività: per esprimere dei contenuti quotidiani il satirico parte da esperienze personali. Ciò che scrive si presenta quindi come una riflessione su ciò che comunemente gli accade e contemporaneamente questo gli permette di esprimere in modo diretto le sue opinioni e i suoi giudizi. In questo troviamo anche un processo di universalizzazione (i concetti espressi sono validi per tutti, sono estesi alla comunità).
Nella Satira (I – 10), che può essere considerata un congedo del lettore alla fine del primo libro sui temi politici e che ribadisce in modo particolare la concezione aristocratica dell’arte, troviamo un altro carattere:
h) L’ottavo carattere è la comicità della satira. Secondo Orazio la satira deve essere fra il serio e il comico; il componimento non deve solamente dilettare il lettore ma anche inviare messaggi seri seppur in modo comico.
La satira (II – 1) è l’ultima che è stata composta e si presenta come introduzione poetica del secondo libro. In questa satira troviamo ribaditi tutti i caratteri già esposti nelle satire (I – 4, 10), ma in questa Orazio si sofferma maggiormente sull’aggressività e quindi sugli attacchi ai personaggi.
Questo carattere proviene dalla letteratura filosofica greca e cioè dai discorsi pubblici che facevano i cinici e gli stoici (la filosofia stoica aveva caratteri molto rigidi e incitava il pubblico a rispettarli).

[T2]Il carattere[/T]

Nelle satire c’è una vasta gamma di argomenti che abbraccia la quotidianità in tutte le sue manifestazioni. Questa varietà di contenuti è organizzata in due forme tipologicamente diverse:
la satira narrativa e la satira dialogica o discorsiva.
a) La satira narrativa; prende spunto da un fatto o da un aneddoto ampiamente raccontato in modo brillante con lo scopo di intrattenere il lettore. Nel primo libro abbiamo quattro satire di questo tipo che normalmente hanno un finale comico.
• La settima satira narra lo scontro in tribunale fra due personaggi presentato come un grande spettacolo. Questa satira si rifà a una satira di Lucilio in cui veniva trattato un processo più o meno allo stesso modo.
• Nell’ottava satira viene descritta una scena di stregoneria.
• Una certa importanza viene poi data alla quinta satira conosciuta come “iter brundisium” (viaggio a Brindisi). Pare che con questa satira Orazio voglia emulare Lucilio e gareggiare con lui perché riprende l’“iter siculum” (viaggio in Sicilia) di Lucilio. Questo viaggio a Brindisi è avvenuto nel 37 con Virgilio e Mecenate. La satira è strutturata in una serie di episodi che sono inseriti nella narrazione del viaggio. La narrazione del viaggio è una sorta di cornice nella quale gli avvenimenti sono raccontati in prima persona ed esternamente; gli episodi che possiamo considerare come delle novelle, sono narrati invece in modo soggettivo. Non possiamo dire con certezza tutte le attinenze della satira di Lucilio con quella di Orazio perché quest’ultima è incompleta.

• La satira più conosciuta del primo libro è la (I – 9) conosciuta come la satira del seccatore. Questa satira non ha una grande profondità di contenuto perché il messaggio è celato nei comportamenti di Orazio e del seccatore. Questa satira ha schema dialogico nonostante venga inserita fra quelle narrative. Si sviluppa come un dialogo fra il poeta e un uomo, il seccatore, che gli si avvicina mentre passeggia per la via sacra e del quale non riesce a liberarsi. In tutta la satira c’è il tentativo del poeta di scrollarsi di dosso quest’uomo senza però riuscirci. Il seccatore conosce Orazio e sa che ha amici potenti come Mecenate e Augusto e lo accusa di essere un “arrampicatore sociale” e quindi di aver fatto di tutto per conquistare l’amicizia di questi personaggi per opportunismo. Gli chiede quindi di spiegargli la strada per entrare nella cerchia dei potenti vantandosi di avere le sue stesse qualità poetiche. Orazio, in modo comico, ribadisce che lui è arrivato a diventare amico di Mecenate per le sue qualità poetiche, di non aver fatto nulla per avvicinarlo ma che, al contrario, è stato Mecenate ad avvicinare lui. Sottolinea inoltre che questa amicizia non ha stravolto il suo modo di vivere generale.
Nella satira si vede la contrapposizione dell’ideale di vita equilibrato e tollerante di Orazio e invece il rozzo e prepotente opportunismo del seccatore.
b) La satira dialogica o discorsiva; è il tipo di satira che ha più affinità con la diatriba e cioè con l’aggressività del discorso cinico stoico e nella quale è presente in maggior misura la commistione fra comico e serio. Sono di questo tipo la (I – 1, 2, 3) e la
(II – 4, 10).
• La (I – 1) tratta l’argomento della incontentabilità umana e in un certo senso della felicità. Orazio sostiene che nessun uomo è soddisfatto della propria condizione ma dice che non lo sarebbe nemmeno se potesse cambiarla. In realtà dice che, non sono le condizioni in cui si vive a determinare la felicità e che quindi, è inutile affannarsi per accumulare ricchezze perché conta solo la capacità di capire quanto sono limitati i propri bisogni reali. Quindi basterà accontentarsi di quanto è necessario a soddisfare le proprie esigenze primarie e fondamentali. A questo punto Orazio introduce l’aneddoto della formica e cioè dice che è inutile che l’uomo accumuli tante ricchezze inutili e che egli dovrebbe fare come la formica che accumula l’estate per consumare in inverno. Il concetto fondamentale di questa satira (che è alla base di tutta l’opera di Orazio) è che non bisogna scegliere gli eccessi nella nostra condotta di vita. Per questo motivo, non bisogna accumulare grandi ricchezze ma neanche vivere nella più assoluta povertà, e quindi trovare fra i due eccessi una via di mezzo. “Est modus in rebus” ci deve essere misura in tutte le cose.
Il senso della misura di cui abbiamo parlato, deriva dal termine greco metriotes, termine filosofico asseriva che la virtù consisteva nel giusto mezzo e vale a dire nell’equilibrio che l’uomo deve trovare tra eccessi opposti. Questo concetto era presente nell’epicureismo ma è stato fatto proprio da tutte le filosofie greche. Aristotele per primo, lo assume aderendovi pienamente e facendolo diventare l’elemento base della sua morale.
• La (I – 6) è la più soggettiva perché trae spunto autobiografico e passa poi alle considerazioni morali. Viene discussa l’amicizia di Orazio con Mecenate nonostante le umili origini del primo. Orazio afferma che Mecenate lo ha gratificato della sua amicizia grazie alle qualità che lui ha acquisito tramite l’ottima educazione che il padre gli ha dato. In questa come in altre satire, Orazio è molto grato al padre per averlo fatto studiare nelle migliori scuole e per averlo costretto, a frequentare anche con metodi bruschi. Da questo punto Orazio passa a discorrere temi più ampi tra cui la superiorità del merito, delle qualità individuali e dell’intelligenza rispetto alla nobiltà di nascita. Discorre poi sul tema dell’ambizione che porta l’uomo alla follia (che è in se stessa una follia), e ancora dell’accettazione serena della propria condizione di vita.

Un altro principio presente nelle satire è quello che in greco veniva chiamato autarkeia (autosufficienza), che consiste nella limitazione dei desideri per evitare i condizionamenti esterni che impediscono di raggiungere la piena libertà interiore. Questo principio nelle satire diventa un invito ad essere soddisfatti del proprio stato e a soddisfare nel modo più semplice le esigenze naturali. Questo principio e quello del senso della misura portano Orazio alla riflessione che l’uomo deve raggiungere l’armonia dell’animo e solo quando l’avrà raggiunta avrà trovato la felicità.
Nel secondo libro prevale lo schema dialogico tranne per la satira (II – 6) che è a carattere monologico. In questo componimento Orazio trae spunto da un avvenimento strettamente privato che è il dono della villa nella Sabina fatto da Mecenate. Questo componimento è molto conosciuto perché contiene la favola del topo di campagna e del topo di città.

[T2]Il contenuto delle Satire[/T]

[P]Libro primo[/P]
Satira I È dedicata a Mecenate e, prendendo lo spunto dell’incontentabilità di cui è causa l’avarizia, tratta del “giusto mezzo”, seguendo il quale l’uomo dovrebbe accontentarsi della propria sorte.

Satira II Si combattono gli eccessi amorosi, specialmente l’adulterio, che sono fonte di tormenti e di rischi, e si consiglia di non avere avventure con le si donne sposate di classe elevata.

Satira III Poiché tutti hanno difetti, il poeta invita a essere indulgenti verso i peccati degli altri, non applicando il rigorismo stoico secondo il quale tutte le colpe sono ugualmente gravi.

Satira IV È una difesa del genere satirico, che Orazio mutua dai poeti greci Eupoli, Aristofane e Cratino e dal latino Lucilio, che però ritiene “fangoso” e poco attento al “lavoro di lima”. Contiene interessanti notizie autobiografiche riguardanti l’educazione ricevuta dal padre.

Satira V È una vivace descrizione del viaggio, di 15 giorni, da Roma a Brindisi, fatto nel 37 con Virgilio per accompagnare Mecenate, inviato da Ottaviano a Taranto, per siglare un accordo con Antonio. Spassosi e impensati incidenti accadono durante le varie tappe. Il modello è la satira del viaggio da Roma in Sicilia di Lucilio.

Satira VI Orazio ringrazia Mecenate per l’amicizia accordatagli nonostante le sue umili origini, mettendo in risalto la propria disinteressata devozione verso il suo protettore. È quasi un’autobiografia e anche qui ricorda l’educazione morale ricevuta dal padre.

Satira VII È la descrizione brillante e comica dello scontro in tribunale (43), davanti al propretore d’Asia Marco Bruto, tra il romano Publio Rupilio Re e il greco Persio, ricco levantino di Clazomene. Forse Orazio aveva veramente assistito all’episodio.

Satira VIII La statuetta del dio Priapo racconta in prima persona come egli stesso abbia messo fine, con uno sconcio rumore, alle repellenti pratiche magiche sull’Esquilino di due fattucchiere, Canidia e Sagana, già ricordate dal poeta negli Epodi.

Satira IX In forma dialogica il poeta racconta come sia stato importunato, lungo la pubblica via, da un seccatore, che chiedeva con insistenza una raccomandazione presso Mecenate. Nello stesso tempo, loda l’illustre amico che sa ben distinguere negli uomini i veri pregi.

Satira X È una polemica letteraria contro coloro che esaltavano Lucilio a suo danno e un’esposizione delle idee del poeta riguardo all’arte poetica. Il poeta attenua il duro giudizio pronunciato in precedenza su Lucilio.

[P]Libro secondo[/P]

Satira I Il poeta difende il genere satirico, rispondendo al giureconsulto Gaio Trebazio Besta, suo amico, che lo metteva in guardia contro i rischi, in sede giudiziaria, derivanti dalle sue satire.

Satira II Orazio, tramite Ofello, modesto possidente terriero di Venosa, condannando i bagordi, esalta la vita semplice della campagna e la tradizionale temperanza del popolo latino.

Satira III È la più lunga, 326 versi; Orazio finge di ricevere la visita di un certo Damasippo che, economicamente rovinato e pronto al suicidio, era stato salvato dallo stoico Stettino con una dissertazione sulla pazzia universale. Il poeta prende lo spunto dalla sentenza stoica che ogni vizio è pazzia e tutti sono pazzi tranne il sapiente.

Satira IV Dialogo tra il poeta e un certo Cazio, che descrive una serie di raffinate e complicate ricette di cucina, apprese da un esperto, forse Cazio Milziade, liberto e scrittore di arte culinaria, ricordato da Cicerone.

Satira V È rivolta contro i cacciatori di testamenti. Il poeta immagina un incontro agli Inferi tra Ulisse e l’ombra dell’indovino Tiresia, che consiglia all’eroe, per rifarsi dalla rovina dei suoi beni sperperati dai Proci, di farsi nominare erede da un vecchio ricco e senza figli, non badando a scrupoli morali.

Satira VI È divisa in tre parti: nella prima il poeta esprime a Mecenate la sua gioia per il dono della villa e descrive con vivacità i fastidi della vita cittadina; nella seconda esalta la tranquilla vita di campagna; nella terza narra la favola del topo di città e del topo di campagna.

Satira VII In un giorno delle feste Saturnali di dicembre, in cui veniva concessa libertà agli schiavi, Davo, servo di Orazio, fa la predica al suo padrone. Gli rimprovera tutte le contraddizioni della sua vita, servendosi di precetti appresi dal portiere del filosofo stoico Crispino.

Satira VIII Il poeta Fundanio descrive a Orazio una cena offerta da Nasidieno Rufo, un volgare arricchito. Fra i convitati ci sono, fra gli altri, il poeta Vario e lo stesso Mecenate. L’ospite pretende di essere un raffinato signore, mentre non manifesta che rozzezza e maleducazione.

[T2]Gli Epodi[/T]

La prima raccolta poetica di Orazio è costituita dagli Epodi (Epodon libri) alla cui composizione attese dal 41 al 30 circa. I 17 componimenti degli Epodi, di carattere satirico, si succedono secondo criteri non cronologici né tematici, ma semplicemente metrici: il termine stesso di epodo (ritornello) indica uno schema metrico formato da distici (o iambi) in cui a un verso lungo segue uno più breve. Orazio si vanta di essere stato il primo a introdurre nella letteratura latina questo tipo di strofa. I primi 10 epodi hanno un trimetro seguito da un dimetro giambico; altri 6 uniscono dattili e giambi; l’ultimo è un trimetro giambico continuato, cioè non epodico. Sempre scrupoloso nel citare le fonti greche, quasi a nobilitare la sua opera alla luce di un’ascendenza illustre, Orazio dice di aver mutuato da Archiloco e da Ipponatte i metri e l’ispirazione, non gli argomenti. Altre fonti del poeta latino furono gli epigrammisti ellenistici e il Callimaco dei Giambi. E in questo modo, iambi, li chiamò Orazio: il termine Epodi comparve per la prima volta in Quintiliano.

[T2]Tematiche e stile[/T]

Alla composizione degli Epodi il poeta sarebbe stato spinto dalla “sfrontata povertà”: in essi domina la passionalità, il furore giovanile, il gusto per l’invettiva, che sono talora espressione di sdegno e di rancore, ma più spesso raffinato gioco puramente letterario. Gli strali di Orazio si appuntano contro la vanità dei nuovi ricchi o dei cattivi poeti, contro la laida oscenità di qualche vecchia lussuriosa, ma anche, con voluta dissonanza tra l’enfasi della scrittura e la modestia dell’episodio, contro l’offerta inopportuna, fattagli da Mecenate, di una pietanza condita con troppo aglio. Alcuni componimenti si ispirano a temi politici, in altri prevalgono riflessioni morali. Nell’epodo più noto, il II, il commosso elogio della vita campestre è contraddetto a sorpresa, nei versi finali, dall’ambiguità di chi lo pronuncia: un usuraio.

[T2]Contenuto degli Epodi[/T]

I Orazio dichiara con fermezza di essere pronto a seguire l’amico Mecenate nella guerra contro Antonio e Cleopatra.
II In 33 distici fa un elogio entusiastico della serenità della vita agreste, messo ironicamente in bocca a un usuraio ipocrita.

III Il poeta rimprovera Mecenate di averlo quasi avvelenato a una cena con una pietanza fortemente agliata.

IV Invettiva contro un liberto arricchito, giunto alla carica di tribuno in virtù della rivoluzione sociale, che ostenta per Roma il suo denaro.

V Invettiva contro la maga napoletana Canidia, macchiatasi di delitti orrendi per preparare le sue pozioni magiche.

VI Invettiva contro un poeta che diffamava i deboli e non osava attaccare Orazio, conoscendone la violenza dei giambi.

VII Rimprovero ai cittadini romani per aver ripreso le lotte civili dopo l’uccisione di Cesare; condanna della guerra.

VIII Contro una vecchia donna lussuriosa e corrotta, cui il poeta scaglia ingiuriosi oltraggi.

IX Invito rivolto a Mecenate, rimasto a Roma, di festeggiare la vittoria su Cleopatra, di cui compaiono chiari indizi.

X Augurio al poetastro Mevio, che criticava gli scritti di Virgilio e di Orazio, di far naufragio in mare.

XI Confessione a Pettio in cui dichiara di non poter più scrivere versi perché preso da amore per la giovane Licisca.

XII Invettiva contro una vecchia prostituta insaziabile di piaceri.

XIII Probabilmente il primo epodo a essere composto; è un invito ai compagni d’arme a brindare sotto la tenda alla vigilia della battaglia di Filippi e ad approfittare di questa gioia perché la vita è breve.

XIV È una lettera di scuse a Mecenate cui non ha inviato una poesia promessa, perché l’amore per Frine gli ha impedito di scrivere.

XVTriste constatazione del tradimento di Neera che, dopo avergli giurato fedeltà, si è data a un altro uomo.

XVIInvito ai concittadini, che hanno di nuovo ripreso la lotta fratricida, a lasciare Roma per recarsi alle isole Fortunate, dove gli uomini non sono mai arrivati a portare disgrazie.

XVIIInvettiva ancora contro la fattucchiera Canidia, cui Orazio finge di chiedere perdono.

[T2]Le Odi[/T]

Le Odi sono raccolte in quattro libri, dei quali i primi tre pubblicati fra il 30 e il 23 e il quarto nel 13 (in tutto sono 103 componimenti). Con la composizione delle odi Orazio si vanta alla fine del terzo libro di aver introdotto nella poesia romana i metri e le forme liriche dell’antica poesia greca eolica i cui esponenti principali erano Saffo e Alceo. Quindi mentre le satire, per quanto riguarda la perfezione stilistica, si rifanno agli alessandrini e quindi alla poesia neoterica, le odi, altrettanto curate, si rifanno invece ai classici sia sul piano stilistico sia sul piano del contenuto sentimentale.
Per quanto riguarda la metrica nelle odi Orazio, introduce diversi metri tra i quali i più frequenti sono l’alcaico (da Alceo), il saffico (da Saffo) e l’asclepiadeo (da Asclepiade). Nonostante questa maggiore vicinanza con la poesia antica ci sono nelle odi anche spunti della letteratura ellenistica dall’epigramma all’elegia all’epillio. Rispetto all’ellenismo però la poesia di Orazio è caratterizzata da maggiore profondità di contenuto e da un linguaggio e uno stile più armonioso.
L’intento di Orazio è di emulare gli antichi. Per questa emulazione si serve di un procedimento che si può definire di “citazione” e cioè inizia la poesia riportando la frase iniziale di una lirica greca però poi prosegue in maniera del tutto diversa e originale con contenuti romani.
Anche se si rifà ai greci Orazio, non è un imitatore ma è un rielaboratore in forma strettamente personale e originale.
Per quanto riguarda le odi i critici hanno dato giudizi contrastanti. Per alcuni esse appaiono prive di vera ispirazione lirica perché troppo elaborate e nutrite di cultura ed inoltre perché vi ritrovano l’espressione superficiale dei sentimenti. Altri invece, ammirando soprattutto la perfezione classica, l’equilibrio, la ricchezza di motivi, la densità dei concetti e la saggezza morale, lodano senza distinzione tutta la produzione delle Odi. Si è trovata una soluzione a questo problema, cercando, in tutte le odi il loro centro ispiratore. E’ stato negato il valore poetico a tutte quelle parti delle odi che sono estreme al filone centrale dell’ispirazione dell’autore, nonostante tutta la critica riconosca la perfezione formale anche di quelle poesie celebrative e decorative.
Le Odi possono essere suddivise per tematiche:

[T2]Odi civili e politiche[/T]

In tutti i quattro libri delle Odi si trovano carmi civili e politici in quanto questo tipo di poesia era incoraggiata e favorita da Mecenate e da Augusto che vedevano in essa un supporto per la loro azione politica. Fra tutte spiccano sei odi all’inizio del terzo libro che esaltano le virtù tradizionali romane in contrapposizione ai costumi corrotti della società del tempo. Orazio in questi componimenti suggerisce la moderazione e il ritorno al buon tempo antico e cioè al mos maiorum.
Orazio riscontrava nel mos maiorum molte affinità con le posizioni filosofiche epicuree e stoiche. Troviamo odi civili anche nel quarto libro che vengono dette Pindariche in quanto si rifanno al poeta greco Pindaro (altro modello di Orazio). In queste odi vi è la celebrazione della gloria e della grandezza di Roma, delle imprese di Augusto e dei figli Druso e Tiberio e dei generali che dipendevano direttamente da Augusto.
Il Carme Seculare (composto di 19 strofe saffiche), fa parte del quarto libro ma è stato composto a parte nel 17 a. C. E’ un inno cantato durante i ludi seculari di Roma (per il decennio di Augusto e il centenario di Roma) da ventisette ragazzi e ventisette ragazze. E’ l’unico di tutti i carmi composti da Orazio per essere letto ad una festa ufficiale. Nel carme seculare Orazio asseconda il programma augusteo di restaurazione della famiglia (costumi familiari) e di propaganda demografica. Inneggia alle origini di Roma, alla sua potenza civile e religiosa, al suo destino di grandezza eterna, alla pax romana instaurata da Augusto che si concretizzava in tutti gli aspetti della vita sociale e quindi nel benessere generale della famiglia e del lavoro.
Il carme seculare dal punto di vista poetico viene considerato freddo, troppo costruito tecnicamente e al di fuori dell’ispirazione del poeta perché in contrasto con la sua meditazione tipica. La meditazione di Orazio è fondata sulla ricerca, in base all’epicureismo, dell’isolamento dalla vita pubblica. In questo carme però Orazio appoggia il programma di Augusto che prevedeva un grosso impegno sociale; questo perché, seppur il suo ideale di vita fosse al di fuori della politica e dell’impegno sociale, essendo egli di provenienza contadina condivideva il programma politico dell’imperatore.

[T2]Odi religiose e mitologiche[/T]

Il filone religioso delle odi è ben attestato però in Orazio non vi è uno spirito religioso nel senso tradizionale del termine (l’epicureismo negava il rapporto fra umani e dei). L’attenzione di Orazio alla religione non può essere considerata attenzione per il sacro perché la sua religiosità consiste nell’avere un senso di qualcosa di superiore che egli identifica con le manifestazioni della natura che l’uomo non può conoscere. Quindi lo spirito religioso in Orazio corrisponde al senso del limite umano di fronte a ciò che non si può conoscere e che è al di fuori della ragione umana. Orazio inserisce nella raccolta, preghiere e inni, la maggior parte delle volte, riferiti ad oggetti ed elementi naturali (es. invocazione alla fonte Bandusia, invocazione alla sua lira, invocazione all’anfora del vino) in alcune delle quali troviamo il tono scherzoso e di parodia.
Solo nel carme seculare, che era rivolto ad un pubblico, ci sono invocazioni agli dei tradizionali mescolati con tematiche civili. Orazio vedeva qualche cosa di sacro nella poesia, si considerava un poeta vate (mediatore fra dio e uomo) e quindi investito da un qualcosa di sacro.

[T2]Odi amorose[/T]

Per quanto riguarda la tematica amorosa, per alcuni aspetti, si rifà alla poesia d’amore alessandrina e neoterica. C’è però tutta una serie di poesie che sono considerate molto poetiche; l’amore viene trattato da Orazio senza passione ma vi è nella tematica il ricordo della passione descritto con nostalgia e ironia. In questo modo Orazio guarda l’amore come una persona che se ne sia distaccata perché secondo lui l’amore è simbolo della giovinezza ed è nella descrizione dell’amore giovanile che troviamo le descrizioni più delicate e tenere
La figura della donna non appare reale ma sempre sfuggente e sempre come simbolo dell’adolescenza innocente e nello stesso tempo pudica oppure in alcune odi descrive il fascino della bellezza femminile.
Considera l’amore come una delle gioie concesse all’uomo della vita terrena.
Nelle odi c’è lo svolgimento di una storia d’amore, come si trova nei poeti elegiaci a lui contemporanei (Tibullo e Properzio), ma sono degli episodi che si concludono in ogni singolo componimento perché la situazione e l’occasione in cui si ha il rapporto prevalgono sui personaggi e sui loro rapporti.
La tematica amorosa è intrecciata con altre riflessioni sulla vita in generale, il trascorrere del tempo, il rifugio nella quiete della natura, il vino e anche con la tematica dall’amicizia.

[T2]Odi simposiache[/T]

Molte odi contengono l’invito a godere delle gioie della natura. Questo invito sugli aspetti dell’esistenza umana costituisce il nucleo centrale delle odi che si può compendiare nel motto “carpe diem”. Questa espressione è la più famosa delle odi di Orazio; è contenuta nell’ode (I – 11) e significa “cerca di afferrare il tempo”.
Questo è il significato che la maggior parte della critica ha ritenuto giusto mentre parte di essa ha accusato Orazio di superficialità. Vedeva, infatti, questo invito come un invito a non occuparsi dei problemi reali e a trascorrere la vita godendola momento per momento quindi solo nello svago e nel divertimento.
Il significato che gli viene dato normalmente ha un contenuto essenziale e simbolico più profondo. Orazio vuole affermare che l’uomo deve riuscire a sfruttare ogni attimo del suo tempo per vincere la precarietà della vita e dell’esistenza, cercando dentro di lui uno spazio interiore di cui possa essere totalmente padrone; questo perché l’uomo deve scontrarsi giorno per giorno col trascorrere del tempo, col destino che non possiamo conoscere e con la morte.
In tutte le odi che presentano quest’argomento c’è questo duplice aspetto, questo rapporto; abbiamo cioè, da un lato la ricerca di un rifugio interiore, e dall’altro la consapevolezza della precarietà di questo rifugio perché ci sono delle forze superiori alle possibilità umane che l’uomo può accettare serenamente solo se consapevole dei suoi limiti. Quindi qui rientra in gioco la ricerca della serenità interiore di cui si è già parlato nelle satire.
In generale questa tematica è affrontata da Orazio con diverse sfumature e atteggiamenti talvolta eroici, con l’invito ad affrontare coraggiosamente il destino, talvolta malinconici, meditando sulla morte e sulla precarietà della vita, altre volte in atteggiamento scherzoso e ironico dimenticando volutamente i grandi problemi e immergendosi nella fantasia.
Tutte queste tematiche sono state affrontate anche da Lucrezio nel “De rerum natura” con un sentimento di angoscia. In Orazio non diventano mai drammatiche proprio in virtù del dominio interiore e quindi del raggiungimento della serenità. In Orazio manca in pratica il senso del drammatico che pervade l’opera di Lucrezio. Questo tipo di poesia definita lirica in Orazio si intreccia con quella gnomica.

[T2]Odi gnomiche[/T]

(riguardano la meditazione sulla vita e sulla morte e la scelta del tipo di esistenza che ognuno di noi può condurre)
La poesia gnomica è un tipo di poesia dove sono presenti delle massime e delle sentenze che in Orazio sono di carattere morale. Orazio procede alla universalizzazione dei concetti (dal particolare al generale prendendo spunto dal quotidiano e dagli avvenimenti sentimentali).
Un altro elemento che caratterizza la poesia di Orazio e che segue il processo di universalizzazione è il paesaggio. Il paesaggio è sempre stilizzato con elementi convenzionali e la poeticità emerge nel valore simbolico che gli elementi paesaggistici assumono.
Ad esempio l’ombra di un albero, un ruscello, la primavera diventano simboli del rifugio interiore della serenità, della distensione e della gioia; le onde che si infrangono sugli scogli diventano simbolo delle contrarietà che l’uomo deve affrontare nella vita e i paesaggi desertici e selvaggi diventano simbolo del destino che tutti i giorni riserva all’uomo delle sorprese.
Orazio ha un ideale di vita tranquilla, isolata dal caos e quindi solitaria. In questo ideale un posto importante è occupato dalla poesia che ha il potere di sottrarre l’uomo al mondo ostile che lo circonda. La poesia ha il potere di rasserenare l’animo, e allo stesso tempo di renderlo eterno; questo perché la poesia ispirata dagli dei con la sua sacralità è destinata a superare il tempo. Questi due concetti li ritroveremo nel classicismo di Foscolo che in questo senso si rifà chiaramente ad Orazio.

[T2]Le Epistole[/T]

Dopo i primi tre libri dello Odi, Orazio si dedicò alle Epistulae, lettere rivolte ad amici o conoscenti e in questo sta la ragione del titolo. Il primo libro, di 20 componimenti, dedicato a Mecenate, fu pubblicato nel 20; il secondo libro di 3 lettere, composto presumibilmente tra il 19 e il 13, fu raccolto dopo la sua morte. A conclusione di quest’ultimo, a se stante è l’Epistola ai Pisoni, detta comunemente Arte poetica.

Non compreso nelle raccolte citate è il Carmen saeculare , scritto per incarico di Augusto nel 17 con lo scopo di propiziare e ringraziare le divinità e destinato a essere cantato da due cori di 27 giovinetti e fanciulle per celebrare la conclusione dei ludi secolari.

[T2]Stile e temi[/T]
Orazio torna a usare lo stile discorsivo tipico dei Sermones ; usa in prevalenza l’esametro e tratta temi più elevati fra i quali prevale quello moraleggiante, anche se alcune di queste Epistole possono sembrare niente più che lettere di amicizia. In corrispondenza di un atteggiamento di delusione e di stanchezza il poeta, che sente l’avvicinarsi della vecchiaia ed è più insofferente verso gli impegni della vita sociale, si ripiega sulle sue irrisolte inquietudini, rinuncia ai toni comici e talvolta aggressivi delle Satire e accentua invece i momenti pensosi e didascalici. Orazio vanta ora la propria autonomia di pensiero rispetto al dogmatismo delle scuole filosofiche: l’epicureismo gli sembra insufficiente e accoglie elementi del pensiero stoico. Le sue intenzioni didascaliche si accentuano nel II libro che comprende due lunghi componimenti ­ ad Augusto e a Gaio Floro ­ in cui sono trattati argomenti autobiografici e soprattutto letterari, con un confronto tra la poesia arcaica e quella moderna. A essi viene aggiunta la famosa Epistola ai Pisoni, sull’arte poetica.

[T2]Gli argomenti delle Epistole[/T]

Primo libro

Epistola I a Mecenate: giustifica l’abbandono della lirica con il nuovo interesse per la filosofia e dichiara di non seguire nessuna dottrina in particolare: il sapiente è libero e onorato.

Epistola II a Massimo Lollio: rivolge al giovane amico consigli di virtù che si possono ricavare dalla lettura di Omero.

Epistola III a Giulio Floro: chiede al giovane notizie sui letterati che avevano accompagnato Tiberio in Asia e lo esorta allo studio della filosofia.

Epistola IV ad Albio Tibullo: è una lettera spiritosa, in cui esorta l’amico poeta a godere la vita e lo invita ad andare a trovarlo.

Epistola V a Torquato: invita il famoso avvocato, la sera precedente il compleanno di Ottaviano, a casa sua per una cena frugale, ma allietata da sereni conversari.

Epistola VI a Numicio: tratta il tema dell’imperturbabilità e lo consiglia a tenere l’animo libero dalle passioni o, almeno, di essere coerente nel perseguire l’ideale di vita scelto.

Epistola VII a Mecenate: si giustifica per la sua prolungata assenza da Roma e riafferma con garbo la sua esigenza di libertà e autonomia.

Epistola VIII a Celso Albinovano: dichiara di trovarsi in un periodo di crisi spirituale e si congratula per il suo nuovo incarico.

Epistola IX a Tiberio: è un biglietto di raccomandazione per l’amico Settimio, del quale mette in buona luce le qualità.

Epistola X ad Aristio Fusco: sostiene che la felicità consiste nella vita agreste e nell’accontentarsi di poco.

Epistola XI a Bullazio: gli consiglia di trovare uno scopo nella vita, senza cercare lontano la tranquillità dello spirito che forse è vicina.

Epistola XII a Iccio, amministratore dei beni di Agrippa in Sicilia: è una lettera di raccomandazione in favore di un amico, Pompeo Grospo.

Epistola XIII a Vinio Asina: gli affida l’incarico di consegnare ad Augusto i volumi delle sue Odi.

Epistola XIV dedicata al fattore della sua villa in Sabina, che desiderava vivere in città: tratta della bellezza della vita di campagna rispetto a quella della capitale.

Epistola XV a Numonio Vala: chiede informazioni sul clima di Salerno e Velio, perché gli è stato consigliato di andarvi per ragioni di salute.

Epistola XVI a Quinzio Irpino: ribadisce la serenità della vita di campagna e lo esorta a essere virtuoso e saggio.

Epistola XVII a Sceva: gli dà una serie di consigli sul come comportarsi con i potenti, esortandolo a non rinunciare alla propria libertà e offre se stesso come esempio.

Epistola XVIII a Lollio: tratta ancora del modo di comportarsi con i grandi e gli consiglia di valutare i vantaggi e gli svantaggi, di essere cauto e discreto.

Epistola XIX a Mecenate, in difesa della sua poesia lirica contro imitatori e detrattori.

Epistola XX è un congedo rivolto dall’autore alla sua opera e una raccomandazione all’attenzione dei lettori.

Secondo libro

Epistola I ad Augusto: è una lunga lettera di 270 versi nella quale Orazio lamenta che i lettori preferiscano i poeti arcaici a quelli viventi senza rendersi conto dei loro difetti e descrive lo sviluppo della letteratura latina contemporanea; si scusa infine di essere incapace di celebrare degnamente le gesta di Augusto.

Epistola II a Giulio Floro: è una specie di commiato dalla poesia perché ha raggiunto una certa agiatezza e preferisce dedicarsi allo studio e alla meditazione filosofica nella quiete della sua casa di campagna.

Epistola III ai Pisoni o De arte poetica: è un trattato organico sulla poesia, che illustra il pensiero estetico oraziano secondo la concezione di Aristotele, al quale il poeta si riferisce, soprattutto per il genere epico e drammatico: tragedia, commedia e dramma satiresco, del quale non è pervenuto nulla. Fonte delle teorie furono, con buona probabilità, gli scritti del peripatetico Neottolemo di Pario, vissuto nel sec. III a.C. Il poeta ribadisce anche la sua concezione di una poesia raffinata, frutto di un paziente labor limae.

[T2]Lo stile[/T]

[P]Stile delle satire[/P]

Orazio ci parla dello stile delle satire nelle satire letterarie in cui ha esposto la poetica. La poetica è strettamente legata al sermone (discorso), ha un livello linguistico e stilistico apparentemente non elevato in quanto contiene termini della vita familiare ed espressioni colloquiali. Orazio elimina i grecismi e i termini greci che si usavano nella lingua parlata e tutti quei termini che rientravano nella conversazione della plebe. Possiamo affermare che il linguaggio parlato da cui Orazio trae qualche parola o struttura è quello delle persone colte. Per quanto riguarda la sintassi è caratterizzata dalla paratassi ed inoltre da un andamento discorsivo. Questi sono gli elementi che costituiscono lo stile medio che però è uno stile curato perché si rifà, nonostante questi inserimenti, alla poesia neoterica ed è quindi frutto di un lungo lavoro di limatura. Una delle caratteristiche principali dello stile delle satire è l’apparente semplicità, ottenuta col principio della brevitas. In pratica Orazio tende sempre ad eliminare tutto ciò che è superfluo, artificioso e troppo abbondante. Riduce i mezzi espressivi nel senso che utilizzando la paratassi elimina le strutture sintattiche che rendono il testo molto complesso. Uno dei mezzi espressivi che Orazio utilizza è la callida iungtura. Con questo mezzo tutte le parole hanno una disposizione precisa nella frase o nel verso (Orazio ha studiato la posizione in cui doveva mettere le parole) tramite un’associazione originale dei termini per cui, anche le parole più comuni assumono un significato nuovo.

[P]Stile delle odi[/P]

Il tono delle odi è elevato perché alla perfezione della poesia neoterica si aggiungono i modi poetici della poesia lirica greca. Per questo motivo, per quanto riguarda il lessico, ci troviamo ad un livello superiore rispetto alle satire. Lo stile delle odi presenta pochi arcaismi e neologismi e pochi diminutivi tipici invece del linguaggio colloquiale. La sintassi è semplice ma impreziosita da costruzioni greche o strutture poco comuni. Nelle odi utilizza poche metafore e poche allitterazioni; utilizza molto le antitesi e gli enjambement (si ottiene separando parole che dovrebbero invece rimanere unite). Anche nelle odi il punto centrale dello stile è costituito dalla disposizione delle parole che si incastonano studiatamente (in modo elaborato) le une con le altre in modo da essere valorizzate. Questo effetto Orazio lo ottiene con la figura retorica dell’iperbato (separazioni delle parole in modo da poterle disporre dove servono per sottolineare la funzione della parola) anche qui utilizza la iungtura e l’ossimoro (che consiste nell’associare parole con significato contrario).Il risultato di tutto questo lavoro di forma è la perfezione classica che lo accosta allo stile sublime di Saffo, Alceo e di altri autori della poesia lirica antica.

[T2]La fortuna di Orazio[/T]

Orazio ebbe nel tempo non tanto imitatori quanto estimatori; Ovidio ne riconobbe la perfezione tecnica e Quintiliano sostenne che era l’unico poeta degno di essere letto. Entrò presto nel numero degli autori studiati nelle scuole e fu commentato nei primi secoli dell’era volgare. Nel Medioevo fu apprezzato come poeta didascalico: Dante lo citò come “Orazio satiro” e lo collocò nel Limbo con i grandi poeti classici, Omero, Ovidio e Lucano. Nell’Umanesimo e nel Rinascimento la sua poesia fu assunta come modello di classicità e anche l’Ars poetica fu un esempio autorevole. L’opera oraziana venne apprezzata per l’eleganza e la raffinatezza nell’epoca illuministica; restò estranea alla cultura romantica, ma Leopardi ne riconobbe la superiorità e ritenne imprescindibile lo studio delle sue opere anche per la sua età, in quanto rappresentative della cultura classica.

Versioni e traduzioni di Orazio:

Versioni di Orazio

  • Letteratura Latina
  • Orazio

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